Fin dalle primissime settimane di pandemia quasi tutti ci siamo chiesti: "Ne usciremo migliori o peggiori?". Era solo una domanda astratta che doveva ancora confrontarsi con il peso di un'emergenza complessa e protratta. Oggi - a 20 mesi dal primo lockdown - ci guardiamo attorno e il panorama è ancora molto desolato, incognito, amaro. Eppure è anche possibile vedere segni di chi fin da subito - forse anche oltre una chiara consapevolezza - ha piantato semi al buio.
Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. - Giovannino Guareschi
Le domande astratte fanno perdere tempo, soprattutto quando ci sono da stanare piccole-grandi storie di chi - senza essere Batman o Elon Musk - ha scommesso e rischiato qualcosa per non buttare tutti questi mesi nel bidone del "destino crudele". Ogni vita, in fondo, è un seme piantato al buio. Di questa storia sono protagonisti cinque pianticelle già belle e robuste, piantate in un fazzoletto di terra tra Toscana e Marche e partiti alla volta di Santiago.
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Belforte all'Isauro è un comune di circa 700 abitanti in provincia di Pesaro Urbino. Quasi quasi fa pensare alla contea degli Hobbit di Tolkien. Il collegamento viene spontaneo perché anche a Belforte è nata una compagnia di amici che negli ultimi mesi si è messa in viaggio, ma già in precedenza aveva fatto cose degne dell'estro di Bilbo Baggins.
Belfortini è il nome degli abitanti di Belforte all'isauro. Ma nessun ragazzo tollera i diminutivi, da giovani si ha la certezza assoluta che la vita non deve essere niente meno che un superlativo assoluto. E allora hanno deciso di chiamarsi Belfortissimi. Sono Manuel, Cristiano, Marco, Davide e Adam. Hanno tra il 16 e i 18 anni e come tutti i ragazzi sono in cammino per capire chi saranno e se si può essere felici, qui e ora.
Molti quotidiani hanno rilanciato l'impresa che i Belfortissimi hanno compiuto tra giugno e agosto: 50 giorni di cammino per percorrere i 902 km del cammino di Santiago. L'hanno fatto insieme e portando una joelette, una sedia monoruota che serve alle persone disabili per praticare i sentieri di montagna. Questo ha consentito a Marco, affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne, di essere protagonista insieme ai suoi amici di questa camminata.
Non è un viaggio che s'improvvisa. Perché l'hanno fatto? Ne ho parlato (a dire il vero ho avuto il privilegio di ascoltare, soprattutto) con Michela Mauri che è la mamma di Marco e di Cristiano. Due quinti dei Belfortissimi sono suoi figli biologici, i restanti tre quinti sono diventati di fatto una famiglia allargata. Dietro i Belfortissimi c'è il suo zampino. Lei ha accompagnato i ragazzi nel cammino di Santiago, portando con sé anche il suo terzo figlio, Ludovico di 3 anni.
Intuisco che Michela non gradirebbe essere messa troppo al centro della scena, ma si merita il ruolo del filo di platino. Mi spiego, è T. S. Eliot a fare questo esempio:
Michela è stato ed è l'innesco invisibile dei Belfortissimi. Il grande traguardo che è aver percorso il cammino di Santiago (portando una joelette, ma soprattutto condividendo 50 giorni di rapporti stretti, fatiche, imprevisti) parte da lontano, dal 2016. Ed è una storia che merita di essere raccontata.
Tutto parte da un dono. Nella chiacchierata fatta con Michela una delle parole usate più spesso da lei è stata 'restituzione', nell'accezione entusiasta di chi non può tenere per sé il buono e bello che si è ricevuto. Nel caso particolare, il dono è proprio concreto: nel 2016 la famiglia di Michela riceve una donazione in denaro. Poteva essere solo un bell'imprevisto, ma è diventato altro, come racconta Michela:
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Siamo ancora ben lontani dalla pandemia, eppure è qui che un seme viene piantato al buio. Ci sono gesti, occasioni, imprevisti di cui siamo parte semi-consapevole. Ci mettiamo il nostro zampino, siamo fili di platino che innescano qualcosa il cui frutto, talvolta, va oltre i calcoli stretti della nostra testa (per fortuna!).
Un gruppo di giovani che cucina, serve a tavola e organizza una serata medievale per il proprio paese: siamo creature 'compagnevoli' - dice Dante. Una cena è il primo passo della restituzione, che diventa dono a sua volta.
Il racconto di Michela passa a introdurmi un altro tassello davvero bellissimo di questa storia di amicizia, che procede senza pianificazioni a tavolino ma spinta da occasioni che la realtà mette all'improvviso sul tavolo. L'idea di un'asta di beneficienza non è una novità. Eppure nel caso dei Belfortissimi è diventata più dell'organizzazione di un evento.
L'idea di quest'asta racconta qualcosa di enorme. Si parte da un ragazzo che dice "io non so fare niente" e si arriva a ragazzi che riconoscono innanzitutto di esserci, capaci di suonare campanelli, fare compagnia, tagliare l'erba. Non sei niente - anche questo è un seme enorme da piantare continuamente al buio. Ed ero piena di gratitudine nell'ascoltare come Michela ha concluso il racconto di questo momento:
Il Covid è entrato a gamba tesa anche a Belforte all'isauro, costringendo i ragazzi all'isolamento e alle rinunce che tutti abbiamo conosciuto da 20 mesi a questa parte. L'ipotesi del cammino di Santiago, però, è maturata proprio durante il periodo dei lockdown perché buona parte dei Belfortissimi compiva 18 anni proprio in questo tempo amaro e apparentemente avaro di opportunità.
L'idea è stata lanciata da mamma Michela:
Proprio Marco, però non l'ha presa bene, ma anche in questo caso ha ribaltato la prospettiva offrendo una nuova lettura anche dell'avventura che poi sarebbe decollata.
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Ora noi abbiamo sotto gli occhi la parte più visibile e luminosa di questa impresa: sappiamo che questi 5 ragazzi hanno portato a termine un cammino lungo, impegnativo, unico. Hanno percorso 902 chilomentri in 51 giorni portando una joelette.
Ma la parte davvero poderosa e coraggiosa è accaduta prima. Perché un cammino così impegnativo non s'improvvisa e, anzi, moltissimi sassolini imprevisti potrebbero mandarlo all'aria. Innanzitutto occorreva prendere la patente, per la joelette. I 5 Belfortissimi hanno trascorso l'inverno e la primavera 2020/2021 a fare allenamento e addestramento per poter portare questa sedia monoruota speciale. E poi hanno anche costruito un sito per raccogliere fondi per finanziare il loro cammino.
Mamma Michela, a lato e invibisibile come il filo di platino, ha osservato i ragazzi:
Manuel, Cristiano, Marco, Davide e Adam sono partiti il 19 giugno 2021 da Belforte per intraprendere sul serio il cammino di Santiago, percorso francese. Sulle loro spalle uno zaino con le cose essenziali. Michela era con loro:
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902 chilometri da macinare portando una joelette, 50 giorni insieme senza poter 'scappare'. Montale disse che l'unica cosa bella da aspettarsi da un viaggio sono gli imprevisti. Ce ne sono stati? Tantissimi ogni giorno, mi racconta Michela.
Ringrazio Michela Mauri di questo racconto a cuore aperto: una storia di gente normalissima, in un fazzoletto di terra italiana di 700 anime o poco più. Anime, appunto. Le lamentele stanno a zero di fronte a una testimonianza così disarmante. Lì dove siamo ci è chiesto di esserci, di piantare i piedi e il cuore nel nostro pantano quotidiano. Non è solo fango e fatica. Ci sono anime fresche e in attesa di poter fiorire anche sotto un cielo nuvoloso.
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