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4 ore su un ponte tibetano per evitare il suicidio di una madre di 3 figli

WOMAN, BRIDGE, VERTIGO

M Vision | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 06/10/21

Belluno: la giovane carabiniere Martina Pigliapoco è corsa sul posto temendo di arrivare tardi. Poi si è presa tutto il tempo di stare sospesa su quel ponte a condividere il dolore di una donna disperata. E se ne sono andate via dall'incubo insieme, abbracciate.

Sospese sul vuoto

Lunedì mattina, tutti mettiamo in conto le fatiche di una nuova settimana che comincia. Una madre di 3 figli ha deciso di farla finita, di lunedì mattina. Non si sa nulla del prima, di come sia arrivata sul ponte tibetano in località Perarolo, provincia di Belluno. Si sa che verso le 10 di lunedì scorso una chiamata ai Carabinieri segnala una donna sospesa a 80 metri d’altezza sul vuoto.

Una pattuglia interviene e una giovane carabiniere di nome Martina Pigliapoco è la prima ad arrivare sul posto: di fronte a lei una figura femminile, che ha già scavalcato la recinzione del ponte. Nelle 4 ore successive le due donne sono rimaste insieme, sospese sul vuoto.

Verso le 14, sempre insieme, sono ritornate coi piedi per terra. Sane e salve.

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“Faremo in tempo?”

Oggi Martina Pigliapoco è l’eroina del giorno. Si corre a intervistare la giovane carabiniere di 25 anni che è stata protagonista di questa impresa di mediazione durata 4 ore su un ponte tibetano vicino a Cortina d’Ampezzo.

Non aveva messo in conto quel che le sarebbe accaduto, non aveva ripassato le lezioni su come si sta accanto a chi tenta il sucidio. Si è trovata lì per caso e anche perché ha corso. La sua pattuglia era vicino al luogo da cui era arrivata la segnalazione e, capita la gravità del fatto, Martina si è messa a correre perché temeva che la donna avesse già fatto un salto nel vuoto.

No, non è stato nulla di programmato. Dopo la prima segnalazione ci siamo precipitati all’imbocco del sentiero che porta al ponte tibetano di Perarolo. Lì abbiamo dovuto procedere a piedi su un sentiero un po’ in salita. Io sono stata la prima a scendere dell’auto e ho corso più velocemente del collega. Ma non sapevo se tra la chiamata e il nostro arrivo sul posto la signora si fosse buttata giù. Il pensiero era questo: faremo in tempo?

Da Avvenire

Questi sono i fatti che confermano una delle più grandi intuizioni di Chesterton: “Quando vale la pena fare qualcosa, vale la pena farla male“. Eroismo è correre dove c’è bisogno senza essere sicuri di essere pronti, preparati, all’altezza. La realtà ci chiama senza darci il tempo di ripassare manuali, di valutare i pro e i contro. Vale la pena esserci, così come siamo.

Un Angelo al telefono

Dopo la corsa il tempo si è fermato. Arrivata in prossimità della donna che stava per buttarsi dal ponte, Martina ha dovuto rallentare, addirittura sedersi. E’ cominciato il tempo lungo della mediazione, cioé il tentativo di stabilire un contatto e di riuscire a fare desistere la signora dal suicidio.

Per le prime 3 ore ho parlato solo io, lei piangeva e non replicava. Però voleva solo me su quel ponte, ha allontanato tutti gli altri. […] Ho affrontato tantissimi argomenti. Ho dato fondo alla mia fantasia. Ma era sostanzialmente un monologo, lei non voleva scoprirsi, rendersi ancora più vulnerabile. Poi anche su suggerimento del mio collega Angelo, ho iniziato a parlarle della famiglia e lei ha risposto, confidandomi i motivi che l’avevano portata a progettare il suicidio. 

Ibid.

Non erano solo in due su quel ponte sospeso. Martina Pigliapoco è riuscita a rimanere in contatto tramite cellulare con un mediatore professionista che l’ha guidata tramite messaggi su Whatsapp. Il suo nome è Angelo. Non è l’unico nome che sembra scritto apposta per questa storia. Pigliapoco, il cognome della giovane carabinere, meriterebbe un discorso a sé, pare quasi rendere inutile ogni altro commento. Ci si aggrappa a poco, a tutto quel che c’è.

TIBETAN BRIDGE, WOMAN

Mediare, cos’è? Per trovare un punto di contatto tra sé e uno sconosciuto bisogna oltrepassare di molto la linea mediana, quella finta accoglienza del “questo è il mio spazio, questo è il tuo spazio”. 3 ore di monologo ci sono volute per aprire una fessura in un cuore disperato. La libertà di squadernare se stessi a cuore aperto, questa è la suprema forma di mediazione.

Una cordata sul vuoto

Molto crolla, poco tiene. Lo abbiamo visto coi nostri occhi quando è crollato il ponte Morandie di nuovo col disastro della funivia del Mottarone. E anche se ci precipitiamo a trovare colpevoli in carne e osse, ci fiondiamo a comprendere i calcoli e gli scenari degli ingegneri, in fondo in tutti questi casi sappiamo che si parla anche di altro.

Che siamo sospesi, ecco la verità. Molto crolla e poco tiene, è questo che ha portato una madre sull’orlo del suicidio. A tenerla ancora nel mondo dei vivi è stato il recupero lento e paziente del pensiero della famiglia, delle sue 3 figlie. E molto probabilmente erano proprio le troppe incognite che pesavano su quella stessa famiglia ad averla precipitata nel terrore. Non importa impicciarsi troppo dei fantasmi di questa madre, li conosciamo. Forse con tinte diverse, meno cupe, sappiamo il peso che può opprimere un’anima, le incertezze economiche, il disagio psicologico aggravato dalla pandemia.

Siamo noi stessi dentro la stessa cornice, sospesi e atterriti. Racconta Martina Pigliapoco del momento della svolta su quel ponte:

Ha detto molte cose, mi ha confidato le sue preoccupazioni, i suoi problemi, piangeva e si disperava. Comunque, è stata una leonessa. È stata a un passo dal baratro per quattro ore di fila, e poi ha trovato la forza di tornare indietro. […] Quando ho capito che qualcosa era cambiato, mi sono avvicinata a lei, pian piano.Fino a toccarla. L’ho convinta a risalire, lei si è messa a cavalcioni della rete di protezione, si è aggrappata alla mia mano ed è venuta di qua, con una forza incredibile.

Ibid.

Piano piano, fino a toccarla. Suona ancora più clamoroso alle orecchie di noi ormai avvezzi a rispettare il distanziamento sociale. Ma un certo distanziamento sociale pessimo e nocivo è sempre esistito. Ci siamo sempre tenuti alla larga da quelli che sfioravamo, ognuno sul suo ponte e affacciati sui propri baratri. Toccareun altro è sempre stata un’impresa eroica e rara. La presunzione di salvarci da soli, possibilmente schivando gli inciampi altrui, l’abbiamo sempre avuta.

E oggi, una volta di più, siamo qui ad ascoltare la viva voce di chi racconta un’ipotesi opposta vissuta sulla propria pelle. Perché sulla faccia di chiunque è scritto: “Maneggiami con cura, ma stai qui con me”.

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