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Ubriaco e smarrito si unisce al gruppo di soccorritori che lo cercavano

WOODS, NIGHT, LIGHT

Joachim Bago | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 01/10/21

Turchia: un 50enne dato per disperso si è ritrovato ... da solo. Senza saperlo si era unito al gruppo di soccorritori che lo cercavano. (Così la cronaca spoilera il lieto fine della nostra vita: non sei solo e stordito nella tua selva, sei parte di una squadra che vuole riportarti a casa).

Cose turche

È stato l’occhio di lince di Pablo Trincia (autore del podcast Veleno) a stanare una notizia che poteva tranquillamente perdersi nei rivoli di una cronaca internazionale in altre faccende affaccendata. E’ uno di quei fatti piccoli, che non spostano di una virgola le sorti del mondo. Sì, ma forse svegliano la coscienza sempre a un passo dal letargo.

Certa cronaca locale, senza dubbio bislacca, custodisce segni di un ritratto umano che in fondo ci assomiglia tanto. Sono fatti che fanno sorridere, ma anche pensare.

Cosa è successo? Un gruppo di amici esce per una serata in compagnia, siamo nella provincia di Bursa in Turchia. Tra loro c’è anche il 50enne Beyhan Mutlu che a fine serata lascia il gruppo e non è affatto sobrio. Gli amici lo perdono di vista nella notte di mercoledì scorso e di lui si perdono le tracce. Ci si preoccupa, ma lo spettro di una brutta storia si trasforma in un copione tragicomico.

Non avendo più sue notizie e non riuscendo a contattarlo, la moglie di Mutlu, preoccupata, aveva contattato le forze dell’ordine.

Le squadre di soccorso avevano così iniziato le operazioni di ricerca nell’area boscosa dove Mutlu si era perduto, complice l’eccessiva quantità di alcol ingerita.

Incontrata la squadra, Mutlu aveva deciso di unirsi a loro per aiutarli per poi sentire uno dei loro membri gridare il suo nome e rispondergli: “Sono qui”.

Da Agi

Alcuni quotidiani riportano il dettaglio che Mutlu sia rimasto per molte ore nel gruppo dei soccorritori che lo cercavano. Alla fine, l’uomo smarrito-che-si-è-ritrovato-da-solo ha chiesto alla polizia di non essere punito troppo duramente. La storia finisce con un’auto di pattuglia che gli dà uno strappo a casa.

“Sono qui”

Certo, il bravo redattore a cui arriva questa notizia la gira subito al collega che si occupa di fatti bizzarri o curiosità. Basta un trafiletto e la risata assicurata anche di un lettore distratto. Di questi tempi c’è bisogno di smorzare i nervi tesi dell’opinione pubblica.

Eppure, sotto sotto e a ben vedere, queste storie parlano. Svelano un ritratto più autentico di quello che saremmo disposti a fare di noi stessi. Altro che selfie, la realtà è l’obiettivo più a fuoco per scattare delle istantanee che davvero ci somigliano in corpo e anima. Sono queste le notizie che ci fanno sentire a casa in mezzo al genere umano – almeno per me è così.

HERO–The Forest-Focus Features-

E’ doveroso ridere immaginando la scena. (Perché ridere è un gesto prettamente cristiano, nasce – consapevolmente o meno – dal mistero dell’umiltà e dal segreto buono della gioia). Dunque c’è questo bosco di notte, e gente con le torce che va per sentieri. Passano ore. Poi qualcuno grida un nome nel buio: Mutlu! Mutlu!. E sempre nell’ombra qualcuno di quello stesso gruppo risponde: Sono io!.

Sarebbe epica pura e semplice anche senza aggiungere una virgola: sentire il proprio nome chiamato nella notte, rispondere all’appello. Diciamolo, questo è lo spoiler della nostra più importante di tutto, il nostro destino. Saremo davvero tolti dalle nostre tenebre da una voce che ci chiama a casa e ci renderemo conto che la vita sulla terra è stata l’avventura suprema: trovare noi stessi.

Il bello del nascondino

Nel bosco ci si perde, lo abbiamo imparato dalla favole fin da bambini. E lo abbiamo riscoperto insieme a Dante studiando a scuola la Divina Commedia. Il fatto straordinariamente bello che accade nella selva non è che un uomo smarrito ritrova la strada giusta. Questo potrebbe capitare per caso, magari un passante dà l’indicazione giusta a uno straniero che si è perso. Solo io ricordo con grandissima ilarità quella pubblicità in cui Bruce Willis, aprendo il finestrino dell’auto, chiedeva aiuto dicendo: “Perso!”?

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Non è questa la storia di Dante e del poco sobrio Mutlu. C’è qualcosa di infinitamente più luminoso nell’idea che Dante non muoia nella selva perché qualcuno si era messo a cercare proprio lui. Forse il signor Mutlu avrà vissuto la cosa in modo onirico (non essendo sobrio del tutto), però avrei l’ardente desiderio di chiedergli: cosa hai provato sapendo che qualcuno cercava te, proprio te?

Chesterton disse che ai bambini piace il gioco del nascondino proprio perché voglio essere trovati. E’ bello nascondersi solo quando si è certi che qualcuno verrà in cerca di noi. Magari dovremmo giocare a nascondino più spesso per sentire cosa si prova a stare in un cantuccio sentendo i passi e le voci sussurrate dei nostri amici che vogliono stanarci. Agli antipodi di questa emozione lieta c’è tutto quell’amaro che sentiamo in bocca quando incrociamo la cronaca di qualcuno che è morto e nessuno si è accorto della sua mancanza per giorni, settimane, mesi.

Tutti vogliamo essere trovati, ci ricordano i bambini che giocano a nascondino. E Beyhan Mutlu ce lo ha ricordato in modo ancora più bizzarro: pur essendo un po’ alticcio si è unito a un gruppo di soccorritori in cerca di un ‘uomo smarrito’. A quanto pare, anche quando siamo poco lucidi la nostra umanità riconosce ciò che è scritto nel DNA: nessuno dovrebbe essere perduto.

Trova te stesso? No, lasciati trovare

Quante volte abbiamo sentito quel ritornello sul fare un viaggio lontano per ritrovarsi? Si molla la vita quotidiana per un po’, credendo che un’avventura in un posto esotico e lontano possa portarci al cospetto del grande assente: l’io.

Questa notiziola di cronaca turca ci offre lo spunto per ribaltare tutto. La vera avventura è qui: il posto più strano ed esotico è il ritaglio di vita in cui ci muoviamo ogni giorno, è lì che tutti siamo poco lucidi e impantanati. Anche se volassimo lontano mille miglia dal qui e ora, la nostra selva ci seguirebbe.

Quasi spontaneamente, a questo punto, penso a quello spezzone di Amarcord di Fellini in cui il nonno si perde nella nebbia a un passo da casa.

C’è un uomo qui – grida il nonno. E poi chiama i suoi. E poi chiede aiuto a un vetturino, il quale gli indica la casa, a un passo da lui. Grazie. La vera buona notizia è che possiamo liberarci dello sforzo egocentrico di trovarci da soli. Lasciamoci trovare. Sono sempre stata una pessimista narcisista convinta di essere indifferente a tutti. Ma al di là delle paranoie assurde personali, può capitare davvero che ci siano tratti di strada in cui l’io è solo nella selva, circondato da una pesante indifferenza.

Nonostante ciò la squadra di soccorritori non viene meno. Perché Dio è creativo e non abbandona nessuno. Chiunque ci passa accanto può essere tra i nostri soccorritori. Chiunque incrociamo, anche senza che lo faccia consapevolemente, ha un indizio per portarci a casa. In ogni altra storia che urta con la nostra c’è una spinta che può far sussultare la nostra coscienza, risvegliandola. Basta sentire per strada un perfetto sconosciuto che dice: “E’ dura accudire un padre che non mi riconosce più”. Ed ecco, il nostro smarrimento riconosce una voce nel buio.

Vorrei imparare a guardare più spesso gli altri come parte della mia squadra di ricerca. E mi aiuterebbe molto a smarcarmi da certi egoismi essere consapevole che con la mia nuda presenza faccio parte della squadra di cui qualcun altro ha bisogno.

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