Cose turche
È stato l’occhio di lince di Pablo Trincia (autore del podcast Veleno) a stanare una notizia che poteva tranquillamente perdersi nei rivoli di una cronaca internazionale in altre faccende affaccendata. E’ uno di quei fatti piccoli, che non spostano di una virgola le sorti del mondo. Sì, ma forse svegliano la coscienza sempre a un passo dal letargo.
Certa cronaca locale, senza dubbio bislacca, custodisce segni di un ritratto umano che in fondo ci assomiglia tanto. Sono fatti che fanno sorridere, ma anche pensare.
Cosa è successo? Un gruppo di amici esce per una serata in compagnia, siamo nella provincia di Bursa in Turchia. Tra loro c’è anche il 50enne Beyhan Mutlu che a fine serata lascia il gruppo e non è affatto sobrio. Gli amici lo perdono di vista nella notte di mercoledì scorso e di lui si perdono le tracce. Ci si preoccupa, ma lo spettro di una brutta storia si trasforma in un copione tragicomico.
Non avendo più sue notizie e non riuscendo a contattarlo, la moglie di Mutlu, preoccupata, aveva contattato le forze dell’ordine.
Le squadre di soccorso avevano così iniziato le operazioni di ricerca nell’area boscosa dove Mutlu si era perduto, complice l’eccessiva quantità di alcol ingerita.
Incontrata la squadra, Mutlu aveva deciso di unirsi a loro per aiutarli per poi sentire uno dei loro membri gridare il suo nome e rispondergli: “Sono qui”.
Da Agi
Alcuni quotidiani riportano il dettaglio che Mutlu sia rimasto per molte ore nel gruppo dei soccorritori che lo cercavano. Alla fine, l’uomo smarrito-che-si-è-ritrovato-da-solo ha chiesto alla polizia di non essere punito troppo duramente. La storia finisce con un’auto di pattuglia che gli dà uno strappo a casa.
“Sono qui”
Certo, il bravo redattore a cui arriva questa notizia la gira subito al collega che si occupa di fatti bizzarri o curiosità. Basta un trafiletto e la risata assicurata anche di un lettore distratto. Di questi tempi c’è bisogno di smorzare i nervi tesi dell’opinione pubblica.
Eppure, sotto sotto e a ben vedere, queste storie parlano. Svelano un ritratto più autentico di quello che saremmo disposti a fare di noi stessi. Altro che selfie, la realtà è l’obiettivo più a fuoco per scattare delle istantanee che davvero ci somigliano in corpo e anima. Sono queste le notizie che ci fanno sentire a casa in mezzo al genere umano – almeno per me è così.
E’ doveroso ridere immaginando la scena. (Perché ridere è un gesto prettamente cristiano, nasce – consapevolmente o meno – dal mistero dell’umiltà e dal segreto buono della gioia). Dunque c’è questo bosco di notte, e gente con le torce che va per sentieri. Passano ore. Poi qualcuno grida un nome nel buio: Mutlu! Mutlu!. E sempre nell’ombra qualcuno di quello stesso gruppo risponde: Sono io!.
Sarebbe epica pura e semplice anche senza aggiungere una virgola: sentire il proprio nome chiamato nella notte, rispondere all’appello. Diciamolo, questo è lo spoiler della nostra più importante di tutto, il nostro destino. Saremo davvero tolti dalle nostre tenebre da una voce che ci chiama a casa e ci renderemo conto che la vita sulla terra è stata l’avventura suprema: trovare noi stessi.
Il bello del nascondino
Nel bosco ci si perde, lo abbiamo imparato dalla favole fin da bambini. E lo abbiamo riscoperto insieme a Dante studiando a scuola la Divina Commedia. Il fatto straordinariamente bello che accade nella selva non è che un uomo smarrito ritrova la strada giusta. Questo potrebbe capitare per caso, magari un passante dà l’indicazione giusta a uno straniero che si è perso. Solo io ricordo con grandissima ilarità quella pubblicità in cui Bruce Willis, aprendo il finestrino dell’auto, chiedeva aiuto dicendo: “Perso!”?