Aleteia logoAleteia logoAleteia
mercoledì 24 Aprile |
Aleteia logo
Senza categoria
separateurCreated with Sketch.

Ricominciamo da zero? No! Allora “da tre”?

WEB-Screenshot-Ricomincio-da-tre-Wikimedia.jpeg

Italian International Film

Padre Bruno Esposito, O.P - pubblicato il 20/09/21

Annotazione previa

Il genere ‘riflessioni’ da me scelto, postula non sono la proposta di uno o più argomenti, ma necessariamente anche un minimo di presentazioni argomentate sugli stessi, proprio al fine di suscitare un’attenzione pensosa da parte del lettore. Per questa ragione risulta inevitabile una certa lunghezza del testo (8 pp. la presente) della quale mi è sembrato giusto avvertire il potenziale lettore in vista della decisione di proseguire o meno nella lettura.

Introduzione

            La presente riflessione è debitrice di uno scritto inedito sul kerygma e la necessità, oggi come non mai, di un vero e proprio catecumenato, inviatomi da un anziano sacerdote, e da un dialogo con una coppia della quale ho assistito al matrimonio tanti anni fa, in una parrocchia di Firenze. Parlando con quest’ultimi dell’odierna situazione di caos e conseguente incertezza a tutti i livelli, sociale ed ecclesiale[1], che tocca proporzionalmente tutte le fasce d’età, i vari ambienti e livelli sociali, la moglie a un certo punto ha esclamato: “Dobbiamo ricominciare da zero!”. In modo immediato ho risposto: “Neanche per sogno!”, al che il marito, ricordando il famoso film del 1981 di Massimo Troisi, a mo’ di battuta e con la sagace del buon fiorentino disse: “Allora ricominciamo da tre!”[2]. Al di là questo scambio di battute, vorrei qui spiegare il senso della mia risposta e proporre alcune considerazioni con la sola finalità di ripensare per recuperare la fortuna, ma anche la responsabilità personale, di essere dei battezzati e quindi membra di quel Corpo che è la Chiesa. Un corpo vivo, non un cadavere, ma nella misura in cui questo corpo rimanga sempre unito al suo capo che è il Cristo risorto e vivo, e per questo tuttocambia[3]. Infatti, vorrei qui tentare di prospettare un’altra realistica possibilità, quindi né ricominciare da zero né da tre, o quattro o cinque che si voglia – ognuno ha o  i numeri che vuole – ma da Colui che è l’inizio ed il fine di tutti e di tutto: ricominciare da Cristo. Affermazione che, a seconda dei punti di vista, potrà risultare melensa, melliflua ovvero sensata, intelligente, ed è per questa ragione che cercherò d’indicare qui solo qualche pista da seguire, per arrivare a qualche punto fermo e ragionevole, non tentando, e tanto meno presumendo, neanche lontanamente di scrivere qualcosa di originale, ma semplicemente ricordare alcune verità oggettive che si possono ricavare dalla Rivelazione e che alcuni autori e il magistero hanno intelligentemente presentato, per cui io mi limito solo a riproporle.

Il Cristo figlio di Dio: inizio e fine di tutto (cf Ap 1, 8)

            Per la fede cristiana, che è prima di tutto ed essenzialmente un ‘avvenimento’ – Dio che incarnandosi si è fatto uomo, ha dato la propria vita per riconfermare il suo amore per noi, è morto e risorto regna alla destra del Padre – è per le donne e gli uomini che la professano, vivere la propria vita alla luce di questa verità, riassunta nel Credo che professiamo ogni domenica e nelle varie solennità, è una questione di vita o di morte, di senso o nichilismo non solo pensando nella prospettiva ultima della morte, ma soprattutto per quello che vogliamo essere e facciamo ogni giorno, per il significato che intendiamo dare a quanto fa parte del nostro quotidiano per non sprecarlo inesorabilmente per sempre, perché le lancette del tempo della vita non tornano mai indietro.  

            La nostra fede si basa su quanto ci hanno trasmesso gli Apostoli che sono stati veri testimoni di quell’avvenimento che ha cambiato per sempre la storia del mondo e le vite delle persone: la risurrezione alla vita dell’eterno (ζωή του αιώνιου – zoí tou aióniou) di Gesù il Cristo (non il ritorno alla vita terrena per essere stato rianimato come in qualche serie cinematografica sugli ospedali come E. R. The Good Doctor!). Di questo avvenimento – e solo in forza di esso e delle grazie loro concesse dello Spirito Santo – di cui sono stati testimoni, gli Apostoli si sono fatti annunciatori convinti e convincenti, coscienti che: “… se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Cor 15, 14). Su questo dato mi sembrano illuminanti per la loro stringente logicità, che rimangono una sfida ad eventuali dubbi, le parole di san Giovanni Crisostomo riguardo la morte in croce e la risurrezione di Cristo: “La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto non servendosi di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto di uomini poco dotati. Il discorso della croce non è fatto di parole vuote, ma di Dio, della vera religione, dell’ideale evangelico nella sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò gli illetterati in dotti. […] quando Cristo fu arrestato dopo tanti miracoli compiuti, tutti gli apostoli fuggirono e il loro capo lo rinnegò. Come si spiega allora che tutti costoro, quando il Cristo era ancora in vita, non avevano saputo resistere a pochi giudei, mentre poi, giacendo lui morto e sepolto e, secondo gli increduli, non risorto, e quindi non in grado di parlare, avrebbero ricevuto da lui tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Non avrebbero piuttosto dovuto dire: E adesso? Non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? Non è stato capace di proteggere se stesso, come potrà tenderci la mano da morto? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione, e noi, col suo nome, dovremmo conquistare il mondo? Non sarebbe da folli non solo mettersi in simile impresa, ma perfino soltanto pensarla? È evidente perciò che se non lo avessero visto risuscitato e non avessero avuto una prova inconfutabile della sua potenza, non si sarebbero esposti a tanto rischio”[4]. Conseguenza dell’aver partecipato a questi avvenimenti che sorpassano la sfera terrena e materiale, spiega anche la ricaduta della loro predicazione sugli ascoltatori: “Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete” (1 Ts 2, 13).

Solo la forza della vera fede può spiegare la diffusione del messaggio di Cristo

            Gli Apostoli e i loro successori convertirono il cuore delle persone che incontravano in quanto toccavano con le loro parole e il loro esempio le loro esistenze che venivano attratte ed edificate da un ‘diverso modo’ di vivere le cose di ogni giorno, dal loro diverso spirito, dalla loro speranza di livello incomparabilmente superiore. Anche se questo non ha comportato sempre e comunque una risposta coerente data l’incapacità dei destinatari dell’annuncio, come nel caso degli abitanti di Corinto: “… perché siete ancora carnali: dal momento che c’è tra voi invidia e discordia …” (1 Cor 3, 3) comportandosi in maniera meramente umana e non di fede[5]. Però in altri contesti e comunità le cose sono andate in modo completamente diverso. Al riguardo basta rileggere il libro degli Atti degli Apostoli, dove proprio il loro essere: “… un cuor solo e di un’anima sola” (At 4, 32) fu l’azione missionaria più efficiente (cf At 2, 41; 4, 4). Il fatto del modo di vivere nuovo dei cristiani e della sua incidenza a livello sociale è confermato da una un anonimo autore della seconda metà del II sec. d. C. il quale attesta: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. […] Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. […] Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati. Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore. Quando fanno dei bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio”[6].

            Quindi, rimanendo anche solo a ciò che ci forniscono la Sacra Scrittura e, tra le tante, la testimonianza di questo anonimo autore, possiamo ricavare la spiegazione della rapida diffusione del cristianesimo ed allo stesso tempo della sua profonda penetrazione, all’inizio nel mondo allora conosciuto, e poi nei continenti e nelle terre che si andavano scoprendo. Il modo d’intendere e di vivere la vita da parte dei cristiani, persone che sono state toccate e trasformate dalla grazia di Dio. Persone che liberamente hanno dato fiducia, hanno creduto nel Dio di Gesù Cristo ed hanno tradotto il credo in vita vissuta divenendo un interrogativo per chi li vedeva e percepiva che loro avevano trovato la risposta. La diffusione del cristianesimo è stata solo una questione di fede coerentemente vissuta, ovviamente per quanto è possibile ad un essere finito e peccabile. Su questo aspetto vorrei richiamare la riflessione di chi legge, proponendo alcuni brani di diversi autori che, a mio avviso, per la loro limpidezza espositiva devono essere solo riproposti, con la speranza che ciascuno recuperi la propria responsabilità nel vivere la propria fede.

            Il brano seguente è dell’allora card. J. Ratzinger che durante un corso di Esercizi Spirituali nel 1986, ad un gruppo di sacerdoti del Movimento di Comunione e Liberazione, valutando realisticamente il presente, ricordando la diffusione del cristianesimo nei primi secoli, indicava loro la strada e il metodo da intraprendere: “… che la Chiesa antica dopo la fine del tempo apostolico sviluppò come Chiesa un’attività missionaria relativamente ridotta, non aveva alcuna strategia propria per l’annuncio della fede ai pagani e che ciononostante il suo tempo divenne un periodo di grande successo missionario. La conversione del mondo antico al cristianesimo non fu il risultato di un’attività pianificata, ma il frutto della prova della fede nel modo come si rendeva visibile nella vita dei cristiani e nella comunità della Chiesa. L’invito reale da esperienza ad esperienza e nient’altro fu, umanamente parlando, la forza missionaria dell’antica Chiesa.La comunità di vita della Chiesa invitava alla partecipazione a questa vita, in cui si svelava la verità da cui veniva questa vita. Viceversa l’apostasia dell’età moderna si fonda sulla caduta di verifica della fede nella vita dei cristiani. In questo si dimostra la grande responsabilità dei cristiani oggi. Essi dovrebbero essere dei punti di riferimento della fede come di persone che sanno di Dio, dimostrare nella loro vita la fede come verità per diventare così dei segnavia per gli altri. La nuova evangelizzazione, di cui abbiamo oggi così urgente bisogno, non la realizziamo con teorie astutamente escogitate: l’insuccesso catastrofico della catechesi moderna è fin troppo evidente. Soltanto l’intreccio tra una verità in sé conseguente e la garanzia nella vita di questa verità può far brillare quell’evidenza della fede attesa dal cuore umano; solo attraverso questa porta lo Spirito Santo entra nel mondo[7].

            Joseph Ratzinger, una volta divenuto Benedetto XVI, ribadirà, approfondirà e spiegherà, con la consueta lucidità detti concetti nel 2005, nella sua Lettera Enciclica Deus caritas est, testo a cui rimando nella sua totalità per la centralità che riveste l’esperienza di Dio come amore (cf 1 Gv 4, 16) nella vita del cristiano. Qui riporto solo un brano, per me significativo, che riguarda la ‘qualità’ dell’impegno caritativo del credente in Cristo[8]. Ricorda il Pontefice: “Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la ‘formazione del cuore’: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cfr Gal 5, 6).

            I seguenti brani sono invece tratti dalla prima Esortazione Apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium (2013). Anche l’attuale Pontefice prende atto delle problematiche, della società civile e di quella ecclesiale, dell’epoca in cui viviamo e indica nella testimonianza di comunità che vivono con gioia e coerenza il Vangelo la loro soluzione, per quanto è umanamente possibile.

“42. Questo ha una grande rilevanza nell’annuncio del Vangelo, se veramente abbiamo a cuore di far percepire meglio la sua bellezza e di farla accogliere da tutti. Ad ogni modo, non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce, qualche oscurità che non toglie fermezza alla sua adesione. Vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell’amore, al di là della chiarezza con cui se ne possano cogliere le ragioni e gli argomenti. Per questo occorre ricordare che ogni insegnamento della dottrina deve situarsi nell’atteggiamento evangelizzatore che risvegli l’adesione del cuore con la vicinanza, l’amore e la testimonianza.

70. Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che aumentano i genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare, e che c’è un certo esodo verso altre comunità di fede. Alcune cause di questa rottura sono: la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale.

92. Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un «piccolo gregge» (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova.

99. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: «Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda» (Gv 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti.

            Proprio qualche giorno fa, il card. Erdő ha chiaramente confermato questa prospettiva, completandola significativamente, in una intervista concessa al quotidiano Il Foglio, in occasione del 52° Congresso Eucaristico Internazionale che si terrà a Budapest la prossima settimana[11]. Interrogato dal giornalista sulle cause dell’odierna secolarizzazione (anche se sarebbe stato più corretto usare qui il termine ‘secolarismo’) e le possibili soluzioni o eventuali vie d’uscita, il porporato pur individuando nella sostituzione di Dio con quella di ‘progresso’ – infinito e inarrestabile riguardo le capacità dell’uomo di risolvere prima o dopo ‘tutti’ i problemi, spesso scambiando quella che è in realtà l’ultima novità con il progresso – notava che ormai da qualche tempo che: “… anche la secolarizzazione è stata secolarizzata …” e ci si interroga sul significato di progresso. “Andare verso una situazione che rappresenta un valore più grande? Ma se Dio non esiste cos’è la base di comparazione che ci permette di giudicare cos’è prezioso? Ossia cosa significa andare avanti? Dov’è il davanti e dov’è il di dietro? Per molta gente è rimasto il desiderio di sentirsi bene nel dato momento. Ma se questo è l’unico punto di vista, allora si capisce perché molti hanno paura dell’avvenire. Forse domani posso sentirmi meno bene, oppure si comincia ad avere paura degli altri perché è possibile che devo rinunciare a qualche cosa per gli altri. Allora anche l’individualismo può essere la conseguenza di questa mentalità”.[12] Quale tipo di risposta possono dare i cristiani all’odierna situazione di vera e propria delusione, insicurezza e di mancanza di senso riguardo la vita? La risposta, afferma senza se e senza ma il card. Erdő, è “… il rapporto personale con Cristo. Ciò significa un rapporto storico, concreto, perché Gesù Cristo è una persona storica e il rapporto con lui ha una concretezza storica che presuppone anche la testimonianza della Chiesa. D’altronde il rapporto con Gesù Cristo è anche un rapporto diretto ed esistenziale, non soltanto un fenomeno culturale. Questa immediatezza viene messa in risalto da movimenti spirituali e anche dalle cosiddette comunità carismatiche”[13]. L’importanza di una fede vissuta e tramandata con la testimonianza della coerenza, fino alla sofferenza, è ciò che ci trasmetta l’esperienza storica di Paesi come l’Albania, l’ex Unione Sovietica, la stessa Ungheria, dove la fede vissuta e trasmessa prima di tutto nelle famiglie è stato quel piccolo ‘granellino di senape’ che a suo tempo ha germogliato.

121. Certamente tutti noi siamo chiamati a crescere come evangelizzatori. Al tempo stesso ci adoperiamo per una migliore formazione, un approfondimento del nostro amore e una più chiara testimonianza del Vangelo. In questo senso, tutti dobbiamo lasciare che gli altri ci evangelizzino costantemente; questo però non significa che dobbiamo rinunciare alla missione evangelizzatrice, ma piuttosto trovare il modo di comunicare Gesù che corrisponda alla situazione in cui ci troviamo. In ogni caso, tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri”[9].

            Al termine di questa breve carrellata, ritengo interessante riportare anche la conclusione della Relazione introduttiva del card. P. Erdő al Sinodo dei Vescovi sulla famiglia del 2014, significativa proprio per il contesto in cui è stata pronunciata e per la fondamentale importanza che la famiglia ha per ogni tipo di società. Egli, infatti, ricordava che:“Se guardiamo alle origini del cristianesimo, vediamo come esso sia riuscito ad essere accettato ed accolto – malgrado ogni rifiuto e diversità culturale – per la profondità e forza intrinseca del suo messaggio. Infatti, è riuscito a illuminare la dignità della persona alla luce della Rivelazione, anche riguardo l’affettività, la sessualità e la famiglia.

La sfida da accogliere da parte del Sinodo è proprio di riuscire a proporre nuovamente al mondo di oggi, per certi versi così simile a quello dei primi tempi della Chiesa, il fascino del messaggio cristiano riguardo il matrimonio e la famiglia, sottolineando la gioia che danno, ma allo stesso tempo di dare delle risposte vere ed impregnate di carità (cf Ef 4, 15) ai tanti problemi che specialmente oggi toccano l’esistenza della famiglia. Evidenziando che la vera libertà morale non consiste nel fare ciò che si sente, non vive solo di emozioni, ma si realizza solamente nell’acquisizione del vero bene.

In concreto ci viene chiesto prima di tutto di porci a fianco delle nostre sorelle e dei nostri fratelli con lo spirito del buon Samaritano (cf Lc 10, 25-37): essere attenti alla loro vita, essere in particolare vicini a coloro che sono stati ‘feriti’ dalla vita ed aspettano una parola di speranza, che noi sappiamo, solo Cristo può darci (cf Gv 6, 68 [Riporto per praticità il testo per esteso: “Gli rispose Simon Pietro: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; …’”])”[10].

Ricominciare da Cristo: “essere più credenti per essere credibili”

            Alla luce di quanto qui ricordato, dobbiamo allora prendere coscienza che l’unico modo per uscire dall’attuale ‘crisi’ è di rimettere Cristo al centro recuperando la sua pedagogia e il nucleo centrale della sua predicazione, del suo Vangelo. Per quanto riguarda la pedagogia intendo la sua scelta d’istruire, nel senso più completo che include oltre che la dimensione intellettuale anche il vissuto, prima un piccolo gruppo, gli Apostoli, che a loro volta hanno continuato a trasmettere nello stesso modo quanto avevano ricevuto. Nella verifica di una traduzione del messaggio evangelico nella vita di ogni giorno in famiglia, nel lavoro, nella politica. Piani pastorali, riflessioni sinodali e tutto quello che si può pensare o progettare senza il recupero della centralità della fede in Cristo e la personale conversione, sono destinati a fallire. È necessario che pastoralmente da una parte si aiutino le persone impegnate nel sociale a scoprire il fondamento teologico di questo loro impegno e, dall’altra si ricordi a chi si professa cattolico che questa fede è morta senza le opere di carità, se non incoerente o addirittura ipocrita (cf Gc 2, 2; 18; 20; 26). Per spiegare l’attuale situazione e la risposta di fede che si esige per superarla, ho trovato, come sempre illuminante, quanto affermato a suo tempo dal card. G. Biffi e per questo mi limito a riportare alcune sue conclusioni affinché siano uno stimolo ad intraprendere l’unica vera strada per uscire da questo vuoto di senso che sempre più sembra travolgerci, soffocarci, farci perdere la vera speranza, cosa diversa dal vacuo ottimismo, e questo soprattutto per le nuove generazioni. Riferendosi a queste ultime, si è detto sempre, che hanno ideali alti, fermi, esigono onestà e coerenza, e per questo non si accontentano delle mezze proposte. La mia esperienza è che si accontentano anche di meno, di un minimo che dia però loro soddisfazione sul momento. I giovani di oggi, prevalentemente, appaiono incredibilmente superficiali, ‘annoiati’ e sembrano irrefrenabilmente risucchiati dalle varie ubriacature e stordimenti, dalle emozioni momentanee, ma allo stesso tempo già rincorrendo quelle successive, vittime di chimeriche ansie che non sono altro che illusioni che presto si trasformano e si vivono con la depressione che comporta ogni seria delusione.

            Al riguardo dell’attuale situazione, soprattutto in Europa, che sembra connotarsi per l’essere il ‘post’ di tutto e anche del di più, il card. Biffi nota che però, nonostante tutto, sono presenti in modo indelebile, anche se in ‘frantumate’, le radici cristiane. “La cultura europea prevalente di questi due ultimi secoli – nelle diverse forme di razionalismo, socialismo, radicalismo, laicismo – può essere tutta connotata dal tentativo di salvare le virtù ‘sociali’ del cristianesimo separandole dal fondamento trascendente che è loro assegnato dal messaggio evangelico; quindi: uguaglianza, ma non necessariamente fondata sull’identità del Creatore che è all’origine di tutti gli uomini; libertà, ma non come frutto di redenzione operata dal Figlio di Dio; fraternità, ma non come logica conseguenza dell’esistenza di un Padre comune. Nella società attuale coesistono queste che – rispetto all’’intero’ cristiano e alla sua intrinseca ‘cattolicità’ – possiamo chiamare ‘mutilazioni’”[14]. Anche per queste ragioni è allora necessario che si riscopra l’importanza di vivere in prima persona il Vangelo e che la Chiesa recuperi sempre di più la dimensione che le è propria, quella di fede. “La Chiesa deve continuare a fare quello che ha sempre fatto. I compiti veri e sostanziali non sono quelli richiamati dalla volubilità dei tempi, ma quelli immessi dentro di lei dal suo Fondatore. La Chiesa deve essere annunciatrice della verità evangelica, della salvezza, deve proporre una speranza che è l’unica speranza sostanziale che l’uomo può avere, anche in un tempo dove sottilmente ma implacabilmente prevale un senso di disperazione. E deve proporre la legge della carità, che è la legge della nuova alleanza. E quindi la Chiesa più che preoccuparsi di ciò che deve fare per venire incontro al mondo deve preoccuparsi di essere sé stessa. Ecco: non si tratta di essere più credibili. Dobbiamo diventare più credentiSe saremo più credenti saremo anche più credibili, nel senso più vero. Altrimenti rischiamo di fare della Chiesa un’istituzione che deve stare attenta a tutti gli ‘input’ che vengono da tutte le parti. Così la Chiesa non diventa strumento di salvezza: si aggrega al disorientamento generale. Dico di più: anche nel campo della carità, della solidarietà, dello stesso volontariato la Chiesa deve guardarsi da certi rischi. Il Figlio di Dio non si è incarnato per fondare la Croce Rossa internazionale con duemila anni di anticipo. Si è incarnato per insegnarci e per darci un nuovo modo di essere uomini. E perciò l’azione della Chiesa non può limitarsi a fare il pronto soccorso di tutti i guai del mondo. Deve veramente proporre il modo nuovo di essere uomini in tutti i campi, pur senza dimenticare che se un mio fratello è in qualche difficoltà io sono tenuto, in forza della mia fede, a trattarlo da fratello e ad aiutarlo. Ma non può essere questa l’ottica primaria, altrimenti si riduce la Chiesa soltanto a un’azione di solidarietà”[15].

Conclusione

            I testi che ho qui riportati sono un invito, alla fine, a rivedere come viviamo la nostra fede e quindi alla conversione prima di tutto dei cuori, ma anche delle varie realtà ecclesiali, tutte nessuna esclusa. Dall’esperienza di duemila anni abbiamo un dato incontestabile circa la nascita e la diffusione del cristianesimo, che diventa impegno responsabile per la nuova evangelizzazione: verba movent, exempla trahunt! In modo particolare un invito a riscoprire l’insufficienza di una mera catechesi e predicazione che non si traducano in un concreto cammino di vita cristiana ai diversi livelli della vita ecclesiale. In questa prospettiva risulta essenziale ripristinare un vero e proprio catecumenato per gli adulti con l’applicazione sistematica del Rito per l’iniziazione cristiana degli adulti (RICA), se pur adattato alle varie realtà ecclesiali al fine di tutelarne l’originale identità, dono dello Spirito Santo alla Chiesa. Dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che se non ripartiamo da quella fede che si è tradotta nel vissuto di tante persone all’inizio della Chiesa ed è diventata attraente per altre, non andremo da nessuna parte. Quindi: annuncio di un avvenimento e incontro con Cristo in un vero e proprio catecumenato vissuto nella propria comunità. Altrimenti, quando sarà sicuramente troppo tardi, ci accorgeremo di avere sprecato tempo ed energie, ma ancora di più che avremo omesso di partecipare a questo mondo “sazio e disperato” (cf G. Biffi) l’unico modo per non esserlo: la fiducia in Cristo. Credo che il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale a Budapest e i vari cammini sinodali previsti a vari livelli nella Chiesa cattolica, siano un richiamo forte e chiaro e allo stesso tempo un’occasione da non perdere suscitata dallo Spirito Santo, per riscoprire la centralità della fede in Cristo, ma anche della sua pedagogia e dell’importanza di tradurre in vita di comunità questa fede, iniziando dalle famiglie, dalle parrocchie, dalle comunità religiose ed ecclesiali, dai luoghi di lavoro, dalla politica, in una matura e consapevo adorazione del: “… Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15). Prendendo sempre di più coscienza di: “Non avere paura della santità. Non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario, perché arriverai a essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere”[16]. Affinché questo possa realizzarsi bisogna però rimanere: ”… fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo …” (Col 1, 23).

Terracina (LT), 3 settembre 2021 Memoria di san Gregorio Magno

Qui l’articolo originale apparso sul sito di padre Bruno Esposito, O. P.


[1] Solo a mero titolo di esemplificazione e ricordando solamente gli eventi con risonanza a livello di opinione pubblica mondiale che stiamo vivendo in questo periodo: la pandemia, con tutto quello che ha e continua a provocare e significare, la situazione di violenza gratuita e ingiustificata in Afganistan, ma anche in tanti altre parti del mondo dove si vivono violenze e persecuzioni, emergenze causate da eventi naturali come il terremoto ad Haiti e il ciclone in Bangladesh, i vari scandali morali nella Chiesa cattolica sia tra i ministri che tra i fedeli, ma soprattutto l’impressione di una vera e propria inadeguatezza in questo momento della Chiesa a proporre con parresia e coerenza il Vangelo, inadempienze che non fanno altro che solidificare sempre di più l’indifferenza alla dimensione spirituale, iniziata e sistematicamente pianificata dal XVIII sec. in poi, delle donne e degli uomini di oggi.

[2] Per chi non avesse visto il film, soprattutto per i più giovani, riporto di seguito il famoso dialogo:

“Gaetano: Chell ch’è stato è stato… basta, ricomincio da tre…
Raffaele: Da zero! …
GaetanoEh? …
Raffaele: Da zero: ricomincio da zero.
Gaetano: Nossignore, ricomincio da … cioè … tre cose me so’ riuscite dint’a vita, pecché aggia perdere pure chest? Aggia ricomincia’ da zero? Ricomincio da tre!”.

[3] Cf G. Biffi, Se Cristo è risorto ed è vivo cambia tutto, a cura di E. Ghini, con Prefazione di M. Zuppi, Castel Bolognese 2021, p. 50.

[4] Dalle Omelie sulla prima lettera ai CorinziOm. 4, 3.4, in PG 61, 34-36: Liturgia delle Ore, vol. IV, Città del Vaticano 1993, pp. 1233-1234.

[5] Per questo l’Apostolo ammoniva a comportarsi da veri credenti in Cristo: “Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 21-23).

[6]Epistola a Diogneto, Cap. 5-6, in Funk 1, 317-321.

[7] J. Ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di Fede, Speranza e Carità, Milano 2020, p. 31; testo originale in: Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg i. Br. 1989, p. 38. Il grassetto è del redattore.

[8] Sulla presentazione di alcuni aspetti all’indomani della pubblicazione dell’Enciclica rinvio a: G. Minnucci, ‘Deus caritas est’Prime riflessioni sulla Lettera Enciclica di Benedetto XVI, in Eco delle Missioni 43 (2006) 16-19.

[9] Il grassetto è del redattore.

[10] P. Erdő, ‘Relatio ante disceptationem’del Relatore Generale, 6 ottobre, 2014, in L. Baldisseri (ed.), Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Città del Vaticano 2015, p. 59.

[11] Cf “’Volevano sostituire Dio con il progresso, oggi si chiedono cosa sia il progresso’”. Parla il cardinale Erdő. Domenica si apre a Budapest il 52° Congresso eucaristico. Parteciperà anche il Papa, Il Foglio 31 agosto 2021, in https://www.ilfoglio.it/chiesa/2021/08/31/news/-volevano-sostituire-dio-con-il-progresso-oggi-si-chiedono-cosa-sia-il-progresso-parla-il-cardinale-erdo–2844497/, consultato il 1° settembre 2021.

[12]Loc. cit.

[13]Loc. cit.

[14] G. Biffi, Se Cristo è risorto …, p. 42. Il grassetto è del redattore.

[15] G. Biffi, Se Cristo è risorto …, pp. 48-49. Il grassetto è del redattore. Anche se non ho potuto verificare la fonte, sembra che Pio XI nel 1936, in un’udienza a mons. Benjamin-Octave Roland-Gosselin, Vescovo di Versailles, avrebbe detto: Non bisogna perdere mai di vista che l’obiettivo della Chiesa è di evangelizzare, e non di civilizzare. Se essa civilizza, è per l’evangelizzazione.

[16] Francesco, Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, 2018, n. 32.

Top 10
See More