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“Eccomi”, storia di un malato di Covid e del miracolo della preghiera

INTENSIVE CARE UNIT

Alexandros Michailidis | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 20/09/21

La vicenda di Alberto Del Grossi è più di una storia di guarigione, è una testimonianza del miracolo presente della preghiera: un Dio che si fa compagnia nell'ora più buia.

Alberto Del Grossi entra al Pronto Soccorso venerdì 13 marzo del 2020. Sono i giorni in cui dall’anticamera della pandemia si sta velocemente entrando in un tempo tragico e sospeso. Lui ha solo un vago malessere ed è sicuro di tornare a casa presto. Invece ritornerà a casa solo il 19 maggio, dopo mesi di lotta col Covid che lo hanno portato a un passo dalla morte. E’ stato sottoposto alla sedazione profonda e nel momento più cruciale i medici sono dovuti ricorrere all’EMCO (circolazione extracorporea).

La morte dietro la porta

«Signora Del Grossi, tenga il telefono sul comodino. Purtroppo suo marito potrebbe non superare la notte. Il quadro clinico continua a peggiorare. Abbiamo fatto tutto quanto
possibile per fermare il degrado, ma non c’è stato verso. Potrebbe essere questione di ore».
Era la sera del 31 marzo 2020.

COVID HOSPITAL

Non so se Alberto conosca il racconto Sette piani di Dino Buzzati, in molti lo ritengono una storia del mistero più che altro simbolica. Parla di un uomo che entra in ospedale quasi per sbaglio e dal settimo piano scende via via tutti i piani, sprofondando in una malattia che, giunto al piano terra, incontra la morte.

Alberto più di chiunque altro avrebbe titolo per dire che quello di Buzzati non è un racconto horror e fantastico, bensì realistico all’ennesima potenza. La fragilità ci coglie di sopresa e ci fa sprofondare fino a toccare l’osso nudo del nostro essere. E in fondo a questo viaggio un uomo può incontrare la parola ‘miracolo’.

Eccomi, stare dentro la malattia

Anche Alberto Del Grossi ha scritto un libro, un diario della sua malattia e guarigione. Fin dal titolo, Eccomi! Storia di una preghiera virale (edizioni Ares), è chiaro che non ne è il solo protagonista e che il fulcro della storia non è né la malattia né la guarigione. “Eccomi” è l’inizio di tutti i messaggi Whatsapp con cui la moglie Chiara ha chiesto di pregare per suo marito nei mesi di malattia e con cui ha aggiornato una compagnia sempre più grande di persone che si è unita al calvario di questa famiglia.

Se l’aspetto appariscente è quello di un diario, ne esce in filigrana una testimonianza autentica di cosa sia la preghiera. E qui il tema si fa scottante. Lo ha capito molto bene uno dei figli di Alberto, Matteo:

Ma allora perché prego? Per ricordare a Gesù che ci sono anche io? E perché ci riuniamo in cento la sera a ripetere per venti minuti le stesse parole tutte le sere? Per affidare tutti papà a Gesù? Per chiedere quello che vogliamo noi? Per farci compagnia?

Cosa bisogna chiedere a Dio?

Questo è proprio il punto. Quelle di Matteo sono domande benedette che spostano l’orizzonte da una trappola insidiosa: si prega per chiedere a Dio il miracolo di una guarigione. Se così fosse, questo libro parlerebbe di un miracolo esaudito, di persone che hanno chiesto a Dio qualcosa e ne hanno ricevuto una risposta chiara e positiva, anche se attraversando mesi di tribolazione. Ma sarebbe un abbaglio leggere così questa trama di vita e susciterebbe il rancore giusto di tanti che hanno pregato non meno sinceramente per parenti che non sono guariti. Preghiamo per chiedere quello che vogliamo noi? – si chiede Matteo, intuendo che è riduttivo. La scoperta disarmante che l’uomo di fede può fare dentro ogni prova è che il suo Padre nei Cieli vuole di più che esaudire i suoi desideri, Dio vuole essere con ciascuno dentro la prova.

Il rapporto quotidiano con Dio

Non a caso Alberto, dopo aver conosciuto a quale nulla può ridursi un corpo ammalato, è andato a recuperare la definizione di miracolo espressa da un’intuizione profondissima di Don Giussani:

Dio si è reso familiare alla vita dell’uomo: il suo modo di rapportarsi a lui si esprime in una familiarità sperimentabile attraverso il miracolo. Il miracolo è perciò il metodo di rapporto
quotidiano di Dio con noi, la modalità con cui Egli diventa oggettivo nel contingente.
Da questo punto di vista tutte le cose sono miracolo. Noi non ce ne accorgiamo perché viviamo come fuori dalla trama originale che ci costituisce, tendiamo a estromettere noi stessi dal nesso originario con la realtà oggettiva.

Da Perché la Chiesa

Una compagnia dentro il buio, questo è il miracolo

Dal giorno del ricovero di Alberto sua moglie Chiara ha condiviso con gli amici la prova a cui la sua famiglia è stata chiamata all’improvviso: un marito e padre malato, che si aggrava di giorno in giorno e che non si può incontrare. Malattia e isolamento hanno trovato il loro opposto in una preghiera quotidiana condivisa che si è allargata come i centri concentrici di un sasso buttato nello stagno. Dio vuole che noi buttiamo il sasso, che lo chiamiamo a sprofondare con noi nel peso della realtà.

19:52 Chiara: “Eccomi. Purtroppo un’altra seria complicanza rende vera Via Crucis la settimana santa che Alberto sta e che noi stiamo vivendo. Chiedo davvero che il Signore ci faccia capire il suo misterioso disegno. Continuiamo incessantemente a pregare per chiedere il miracolo della guarigione di Alberto.
Un abbraccio”.

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In questo messaggio il miracolo c’è già. Ed è nel doppio valore di quell’ Eccomi. Chiara dice eccomi alla prova che vive suo marito, vive il presente con un atto di disponibilità accogliente. E’ un passo gigante mettere all’inizio di ogni giorno un eccomi, anziché una lista di cose da fare o timori e ansie; è miracolo vivere così. E non appena una creatura cede a questa disponibilità, subito Dio risponde con il suo eccomi. Anche se è comprensibile che il nostro pensiero umano corra avanti e si preoccupi di quel che sarà (la guarigione, superare una prova, ecc), in realtà Dio gioca un asso che sbaraglia tutto.

Chiara scrive a qualcuno e quel qualcuno diventa di giorno in giorno una compagnia sempre più grande. Non essere soli nel momento della prova, questo è l’eccomi e il miracolo di Dio. La preghiera di Chiara è diventata virale. O meglio: il presente di questa famiglia non è diventato solo una storia di malattia, ma sì è dilatato a ospitare il bene di una compagnia di voci, ciascuna delle quali non faceva altro che dire: “Siamo con voi”. Lui è l’Emanuele, il Dio con noi dentro ogni passo dell’oggi, non è il Dio degli oroscopi che può promettere una buona o cattiva sorte.

Quanto vale il nulla di un uomo

Ho trascurato il protagonista di questo libro-diario. Perché in effetti il libro parla della scomparsa di Alberto, parola che a volte usiamo per non pronunciare ‘morte’. Come il protagonista del racconto di Buzzati, Alberto è entrato in ospedale sereno e sicuro di non avere nulla di grave. Non aveva previsto di conoscere il limite della sua fragilità all’improvviso e con una spirale di peggioramento così veloce.

Respirare da solo diventa difficile alla svelta, allora impara l’uso della CPAP. Poi muoversi diventa impossibile. Poi i polmoni cedono del tutto e viene trasferito in Terapia Intensiva. Presto si rende necessaria la sedazione profonda e da quel momento è buio. Ed è un buio da cui rischia di non risvegliarsi più, i medici ricorrono alla circolazione extracorporea. Il cuore è sul punto di cedere. Questa è una discesa agli inferi, alla parte inferiore di noi (la fragilità ci accompagna sempre, ma noi teniamo al buio questo pensiero). Siamo poca cosa, è il messaggio che scrive sul corpo una malattia così aggressiva. Per il resto del mondo è “il Covid”, per Alberto e quelli come lui è essere stati esposti alla vulnerabilità estrema.

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Un goccio d’acqua

Il passo – per me – più ricco di speranza di questo diario di preghiera e malattia riguarda un momento preciso della riabilitazione di Alberto. La sua risalita dagli inferi è stata un’impresa tostissima.

Faccio allora esercizi per quasi ogni parte del corpo. In particolare le dita delle mani. Le mani le utilizziamo per tutto, le diamo per scontate; ci sono, ci sono sempre state e hanno sempre funzionato a dovere.
Mi hanno portato le mollette dei panni, le tipiche mollette che usiamo per stendere la biancheria. Credo mi abbiano portato le mollette più dure sul mercato. Devo solo aprire e
chiudere, con due dita, pollice e indice, poi pollice e medio, poi pollice e anulare e via così. Prima con le dita leggermente inarcate, quasi a formare un cerchio, così si stimolano i muscoletti delle falangi. Poi con le dita distese per rinforzare i muscoletti del palmo della mano e dell’avambraccio. Ma pensa! Movimenti così semplici, così naturali, consueti. Una
così piccola variazione e spostiamo l’uso dei muscoli. Speriamo che questo serva per riuscire ad aprire la bottiglietta dell’acqua.

PALIATIVE

Aprire una bottiglia d’acqua, credo che sarà un gesto che Alberto non farà più soprappensiero. Quale forza scopre un uomo quando vede che non è neanche capace di aprire una molletta da bucato? Che siamo ridicoli a ritenerci signori della nostra storia. La debolezza estrema è il contributo migliore che Alberto ha offerto raccontando la sua malattia. Perché solo quando siamo deboli ci permettiamo di vedere quanta parte della nostra vita sta in piedi perché la roccia è la compagnia quotidiana di Dio, qualunque sia la croce da portare, qualunque esito comporterà.

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