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Padre Martin Mekel, in missione tra i Rom di Slovacchia

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crédit est AED / Martin Molnár / Roma Mission Sigord

Père Martin Mekel auprès des Roms de Slovaquie.

Thomas Oswald Thomas Oswald - Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 18/09/21

Nel corso della sua visita in Slovacchia, dal 12 al 15 settembre, papa Francesco ha incontrato la minoranza rom a Košice, la seconda città slovacca per dimensioni. Il racconto di padre Martin Mekel, in missione nel popolo rom.

Ogni anno folle di turisti vengono a passare le loro vacanze in una regione chiamata Sigord, nei pressi della riserva di Veľká Domaša, un lago artificiale situato non lontano dalla città di Prešov, nell’est della Slovacchia. I turisti prendono generalmente la strada principale per evitare i paesini e arrivare a destinazione più rapidamente possibile, ma non è questa l’unica ragione. 

Questo paese da 5 milioni di abitanti conta circa 350mila persone appartenenti alla minoranza rom. Cento anni fa, la più grande minoranza etnica d’Europa centrale aveva una vita itinerante, i suoi membri si guadagnavano da vivere come fabbri, parrucchiere e chiromanti. Il regime comunista, poi, li ha sedentarizzati a forza e impiegati in officine locali e in imprese di Stato, alloggiandoli alla periferia dei paesi o nelle borgate delle città. Niente di tutto ciò ha funzionato. 

Decenni dopo questo esperimento sociale contro natura, e talvolta anche brutale, all’inizio degli anni ’90, i Rom si sono ritrovati in piena democrazia, in un paese in rapida evoluzione. 

Circolo vizioso 

Il circolo senza fine di sovvenzioni pubbliche, mancanza di istruzione, povertà, sessualizzazione precoce, ha condotto a una situazione in cui migliaia di Rom si ammassano nelle bidonvilles della Slovacchia orientale, in quei paesini che i turisti cercano di evitare mentre vanno al lago. Non solo perché essi offrono uno spettacolo sgradevole alla vista, ma anche perché quelli temono che i bambini (che corrono ovunque nei paesi) si gettino davanti alle loro automobili importunandoli. 

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Padre Martin Mekel

Padre Martin Mekel, prete greco-cattolico, vive in una di queste bidonvilles vicino alla riserva di Veľká Domaša. Sposato e padre di tre figli, dirige la Missione greco-cattolica presso i Rom. Perché dedica ai Rom la sua vita? «È lo Spirito Santo che mi ha portato qui», dice sorridendo: «Non avevo mai pensato di lavorare con i Rom, neanche dopo essere entrato al seminario di Prešov». Dopo, però, da seminarista, era stato avvicinato da un giovane Rom che viveva in un centro d’accoglienza nel medesimo villaggio da cui lui proveniva, e si era sentito chiedere se organizzasse incontri di preghiera. Lo Spirito Santo aveva trovato la sua via. 

Abbiamo allora cominciato a incontrare dei ragazzi rom del mio paese natio, durante le vacanze estive. Poi un amico, un salesiano, mi ha chiesto di andare ad aiutarlo nell’occuparsi di bambini rom. Dopo qualche tempo mi sono ritrovato in un paese composto al 75% da Rom. 

Evidentemente, le cose non furono facili, perché il suo zelo per i Rom fu malvisto dagli altri abitanti: 

Semplicemente – racconta con un sorriso contagioso e una scintilla negli occhi – non erano abituati a questo. Un nuovo prete arriva in paese e subito i Rom vanno in chiesa, entrano nella casa parrocchiale, sono dappertutto… Non è stato facile. 

Avvicinare i Rom a Dio 

Oggi avvicinare i Rom a Dio è la sua sola e unica missione: lui e la sua famiglia vivono nel cuore stesso di questa comunità. Nel settore di Sigord, gestiscono una grande casa di riposo ceduta dallo Stato qualche anno fa. Che serva da casa di ritiri spirituali o da campo estivo per i bambini o per le famiglie alla ricerca di un posto abbordabile dove riposarsi in estate, Casa Sigord è sempre una buona scelta. 

Chi conosce la Chiesa greco-cattolica, la sua pratica e la sua divina liturgia, potrebbe domandarsi se sia la liturgia – il misticismo, i colori o gli inni antichi – ad avvicinare a Dio un popolo antico come i Rom, popolo arrivato in Europa probabilmente dall’India svariati secoli fa. Niente di tutto questo, sembrerebbe. Secondo padre Martin, 

i Rom sono molto più attratti dalle chiese protestanti che dai riti cattolici… Io stesso ho dovuto introdurre dei cambiamenti, necessari e leciti, alla nostra liturgia, perché per loro era troppo complessa. È solo che… quando sei missionario non puoi aspettarti che le persone accettino immediatamente tutto quello che dite o chiedete loro. È un processo. 

Padre Martin è nondimeno sicuro di una cosa: «Quel che conta è il tipo di relazione». Spiega poi che la maggior parte delle ONG lavora coi Rom come se fossero dei “clienti”: 

Ma non sono nostri clienti, sono nostri fratelli e nostre sorelle. Un’organizzazione ha condotto un’inchiesta per capire che cosa vogliono i Rom. Non cercano istruzione superiore, né più denaro o impieghi nelle banche… Cercano buone relazioni nelle loro famiglie e nelle loro comunità. Vogliono pure essere accettati, avere da qualche parte un posto per loro, perché sono in tanti che non vogliono vederli da nessuna parte. 

Padre Martin è molto critico riguardo all’“aiuto” che si offre ai Rom: 

Da molti anni si cerca di cambiarli, di educarli, di plasmarli a nostra immagine e somiglianza. Sono proprio loro a dire di volere qualcosa di diverso! Forse è giunto il momento che noi Slovacchi tornassimo a più miti consigli e li ascoltassimo. Dopo tutti questi anni, dovremmo aiutare meno e comprendere di più. Dovremmo smettere di essere degli assistenti, dei coordinatori, dei cooperatori, e cominciare ad essere loro amici. 

Certamente, padre Martin lo riconosce, è impossibile «nutrire qualcuno spiritualmente» quando ha bisogno di un tozzo di pane: «Questo è vero, ma nel mio caso ho sempre saputo, fin dal primo istante, che Dio non mi aveva chiamato perché fossi un operatore sociale. Ho visto tanta gente “impegnata nel sociale” sfinirsi e poi mollare tutto. Io faccio il prete, non l’operatore sociale. 

SLOVAKIA
Padre Martin davanti a Casa Sigord

Non è sorprendente che il principale vettore del cambiamento sia quel che molti chiamano le “piccole comunità”, un modello impiantato e sviluppato in Slovacchia decenni fa, sotto il regime comunista, dalla Chiesa clandestina. Piccole comunità o piccoli gruppi si riuniscono regolarmente per pregare, condividere, istruirsi con l’aiuto di un prete o di un catechista: 

Niente di eccezionale, a dire il vero – commenta padre Martin –: preghiamo e facciamo catechesi, e facciamo ogni tipo di attività per dare loro l’occasione di trafficare i loro talenti e sviluppare il loro potenziale: musica, teatro, sport… È importante che siano loro a fare tutto. Se voglio costruire una nuova stazione missionaria, o un luogo di riunione, chiedo loro di costruirla col mio aiuto.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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