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Novità e filosofia delle nuove norme canoniche sugli abusi

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 15/09/21

Ormai più di un anno fa (luglio 2020) è stato pubblicato il Vademecum per la gestione canonica di casi di abusi sessuali contro minori, e nel maggio 2021 la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico ha proseguito il cammino di riforma in materia. Si tratta però di un percorso che rimonta al Concilio e anzi a più di un secolo fa!

Nell’ultimo numero de La Civiltà Cattolica – in uscita fra tre giorni – padre Federico Lombardi si è diffuso nell’illustrazione di due “novità tecniche” della vita della Chiesa, inerenti “Diritto e buon governo ecclesiale”: la pubblicazione del Vademecum su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici e la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice di diritto canonico. 

In conclusione – scrive appunto Lombardi chiudendo le undici pagine del suo resoconto –, sia il Vademecum sia il nuovo Libro VI del Codice non apportano grandi novità nei contenuti della lotta contro gli abusi sessuali, ma costituiscono rispettivamente un sussidio pratico formidabile e necessario per i vescovi e i superiori religiosi per attuare con efficacia questa lotta, e una riaffermazione chiara e impegnativa dei doveri di giustizia e di coraggiosa applicazione delle norme del diritto nel governo e nella vita della comunità della Chiesa. 

Federico Lombardi, Diritto e buon governo ecclesiale, in La Civiltà Cattolica 4110, 525-535 

Non una questione formale, né di ritocchi 

A mitigare l’impressione che questa sola considerazione conclusiva, decontestualizzata, potrebbe lasciare nel lettore, vale la pena riportare anche un altro paio di considerazioni. La prima sul Vademecum

[…] Esso non è stato messo a disposizione dei vescovi e dei superiori religiosi […] per vie riservate, ma è stato pubblicato e messo a disposizione di tutti sul sito della Santa Sede in | sette diverse lingue. Ciò costituisce un chiaro e fondamentale passo nella direzione della “trasparenza”, di cui tanto si parla e che è stata tanto raccomandata anche nell’Incontro del 2019. 

Ivi, 529-530

La seconda sul nuovo Libro VI: 

La riforma è giunta in porto dopo un lungo cammino. Già nel 2001, con il famoso Motu proprio di Giovanni Paolo II Sacramentorum sanctitatis tutela, vi era stato un intervento efficace per riservare alla Santa Sede la guida della disciplina penale nei casi più gravi, come quelli degli abusi sessuali su minori compiuti da chierici. Negli anni seguenti Benedetto XVI, alla luce della sua lunga esperienza come Prefetto della Congregazione della Fede [sic], dava mandato al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi di avviare la revisione del Libro VI del Codice di diritto canonico. […] Per rendersi conto della profondità della revisione, si pensi che sugli 89 canoni del Libro VI ne sono stati modificati 63, spostati altri 9, mentre ne sono rimasti immutati soltanto 17. 

Ivi, 532

La considerazione conclusiva, dunque, non intende minimizzare la portata di un lavoro letteralmente epocale, bensì riportarne oneri e onori sul medio e sul lungo periodo: “dal 2001” significa “da quando è esploso il Caso Spotlight”, e dice dunque della reazione della Chiesa alla crisi degli abusi già in fase acuta. Si tratta quindi di un cammino ventennale, che giunge ora a raccogliere ordinatamente alcune preziose (e dolorose) lezioni apprese nel frattempo. 

Il “lungo periodo” e la “filosofia del diritto” canonico 

Se dunque c’è una fase gestativa di questi documenti, relativamente lunga poiché la si computa in due decenni di interventi monocratici e di lavori preparatorî di commissioni, essa pure va riportata nell’alveo di un “periodo più lungo”, cioè quello al cuore del quale Giovanni Paolo II promulgava il nuovo Codice di diritto canonico: 

«Il Codice di Diritto Canonico – scriveva Giovanni Paolo II – è estremamente necessario alla Chiesa. Poiché infatti è costituita come una compagine sociale e visibile, essa ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica e organica sia visibile; sia perché l’esercizio della sacra potestà possa essere adeguatamente organizzato; sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, e possano essere garantiti e ben definiti i diritti dei singoli». 

Giovanni Paolo II, Sacræ disciplinæ leges, in Federico Lombardi, Diritto e buon governo ecclesiale, cit., 530

Era il 1983, e la Chiesa, avendo rinunciato a dotarsi di una “legge fondamentale” («la lex fundamentalis Ecclesiæ – disse sempre il papa polacco – è il Vangelo»), promulgava una versione aggiornata di quel Codice di Diritto Canonico che nel 1917 era stato un primo “aggiornamento” della Chiesa alle res novæ del diritto moderno. Era stato un cedimento? Alcuni lo pensarono, ma fu perlopiù superficiale malpancismo, allora: la questione importante era capire come il Concilio Vaticano II avesse giudicato lo sforzo pio-benedettino da cui aveva preso vita il Codice del ’17: 

È opinione comune – scrive Lombardi toccando l’argomento – che nel clima di accentuato orientamento pastorale connesso al Concilio Vaticano II l’attenzione alle esigenze del diritto fosse rimasta per diverso tempo in secondo piano, in nome di un’infondata contrapposizione fra pastorale e diritto, e diritto penale in particolare. Il Codice di diritto canonico promulgato nel 1983 aveva giustamente ridimensionato i canoni del diritto penale rispetto al Codice del 1917, ma aveva anche seguito un diverso orientamento. Mons. Juan Ignacio Arrieta osserva che «i nuovi testi erano spesso indeterminati, proprio perché si riteneva che i singoli Vescovi e i superiori, ai quali spetta applicare la disciplina penale, avrebbero stabilito meglio quando e come punire nel modo più adeguato». Ma l’esperienza dimostrò presto la concreta difficoltà in cui si trovavano gli Ordinari nel coniugare giustizia e carità, e le diverse linee seguite dalle autorità causarono sconcerto nelle comunità cristiane. 

Ivi, 531 

Tra i poli del lassismo e dell’asprezza si generava talvolta un’atmosfera anarcoide, che in alcuni segmenti ecclesiastici ha potuto lasciare un terreno favorevole allo svilupparsi di numerosi casi di abuso (non solo sessuale – anche se il Vademecum, in particolare, sceglie di dedicarsi soltanto a questi). 

Alcune novità puntuali 

La Chiesa, insomma, non ha colto il dramma degli abusi come un fenomeno estrinseco a sé, bensì ne ha fatto in qualche modo l’occasione per una profonda verifica sul proprio essere e sulla propria autocoscienza, della quale la legge canonica è un’espressione privilegiata. Il valore del contributo di Lombardi sta – ci sembra di poter dire – proprio in questa contestualizzazione di ampio angolo che offre chiavi di lettura non limitate ai meri contenuti dei testi, ma che bensì li superano per guidare il lettore a cogliere l’intentio legislatoris e i riverberi stessi dello Spirito di Cristo nell’istituzione ecclesiastica. 

Entrambi i testi sono pubblicamente e gratuitamente consultabili sul portale della Santa Sede, come si è già accennato, e tuttavia anche noi vogliamo riportare alcuni dei già non molti punti di rilievo segnalati da Lombardi: 

Si ricorda [ad esempio, N.d.R.] che nel delitto sono comprese tipologie diverse, come – oltre ai rapporti sessuali e i contatti fisici – la produzione, acquisizione, detenzione o divulgazione di immagini pornografiche di minori, la conversazione o proposta di carattere sessuale anche mediante mezzi di comunicazione (si pensi a che cosa succede oggi nel mondo digitale o dei social media…). 

Ivi, 527 

Si ricorda pure che «a chi effettua la segnalazione, alla persona che afferma di essere stata offesa e ai testimoni non può essere imposto alcun vincolo di silenzio riguardo ai fatti» (n. 30). 

Ivi, 528 

Chiaramente, anche la riforma del Libro VI ha comportato una revisione dell’approccio canonistico alla materia degli abusi, che (tanto per cominciare) è stata spostata dal Titolo V (incentrato sui preti) al Titolo VI (dedicato alla dignità umana): 

Il che – chiosa Lombardi – non è un piccolo progresso: si mette finalmente al centro della prospettiva il bene delle persone stesse la cui dignità viene violata. Non è una pura formalità, perché rispecchia il grande cammino compiuto nel mettere le vittime al centro dell’attenzione, nell’ascoltarle e comprendere le loro sofferenze e i danni gravissimi loro arrecati. 

Ivi, 534 

Al contrario, se prima gli abusi erano sanzionati “in quanto perpetrati da preti”, adesso l’attenzione privilegiata alla vittima in quanto persona umana ha comportato un allargamento pressoché illimitato dello spettro dei potenziali rei: oltre ai chierici si considerano infatti 

1) i membri di un Istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica; 2) qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella | Chiesa (can. 1398.2). 

Ivi, 534-535 

Se “i membri di un istituto…” si riferisce alle religiose e ai religiosi non insigniti dell’Ordine sacro, “qualunque fedele” significa il sagrestano, il responsabile degli scout e perfino la catechista. Sembrerebbe che si sia detto tutto… «Si può e si deve fare ancora meglio», suggerisce sommessamente don Fortunato Di Noto, che ha salutato con gioia entrambi i documenti: «La Chiesa deve impegnarsi a tutelare tutti i minori, e non solo dentro la Chiesa: se una famiglia viene ai Centri di Ascolto delle diocesi e racconta che il figlio ha subito un abuso a scuola, che facciamo? Rinunciamo ad accompagnarlo solo perché non ne ha abusato “uno dei nostri”?». 

Evidentemente non è questa la direzione indicata dai documenti, e perché la loro ricaduta pratica non sia troppo sotto le aspettative bisogna che ci impegniamo tutti a leggerli tenendo lo sguardo fisso sul loro spirito… e sulla legge fondamentale della Chiesa – l’Evangelo. 

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