Ci sono presenze nella nostra vita che sono come i trailer di un film. Anticipano qualcosa prima ancora che noi conosciamo tutta la trama della pellicola. Prima ancora che ci rendiamo conto di dove stiamo andando, anche quando siamo in ricerca e a quelle parole, solo dopo aver visto tutta la proiezione, magari mentre stiamo uscendo dalla sala, riusciamo a dare pieno significato.
In fondo, il bello dei trailer è proprio questo: il film devi vederlo tu, coi tuoi occhi. Non c'è gusto quando qualcuno ti spoilera il finale sul più bello e senza tutta la storia appassionante e drammatica che ti porta li.
Non so a che punto della proiezione sia Giacomo Poretti, attore milanese "nel trio con Aldo e Giovanni", giusto per dirla come le parole crociate. Da quello che leggo in un estratto del suo ultimo libro in uscita per Mondadori, anticipato su Avvenire (qui il link per leggerlo tutto), un piccolo trailer sulla domanda imprescindibile "chi è Dio", mentre era intento a pensare a scuse per ottenere ferie e permessi o a cambiare il pappagallo del 45, glielo ha offerto la sua caposala: nel libro tale suor Silvina.
si affretta a precisare l'autore presentando l'energica religiosa a inizio pagina.
"Turno di notte" è la storia tragicomica di un infermiere, Sandrino detto Saetta, alter ego di quel Giacomo in divisa verde all'ospedale di Legnano. Quello che per undici anni si è confrontato con una umanità varia e con una sofferenza con cui uno non si aspetterebbe di vedere alle prese il futuro e famoso Giacomino. Eppure si sa, forse è proprio nel dolore che è più necessario imparare a strappare sorrisi. Se ci riesci lì, sei un comico nato.
Suor Silvina fa parte di questo mondo in corsia, ma diciamo che per deformazione professionale, o forse è meglio dire spirituale, non è di questo mondo.
Mentre Saetta pensa alle cose materiali, tipo a come rendere invalida la comunione del fratello che non ha o a far morire per l'ennesima volta sua nonna anche se "lei mi fece notare che solo i gatti hanno sette vite", la suora svela il lato divino nascosto negli insegnamenti di fisiologia.
Quel Dio così lontano e disinteressato (e quante volte, attraversando le corsie degli ospedali ci viene da chiedere "dove sei?") in realtà è nel liquido sinoviale tra le ossa o nel dolore che segue una puntura di vespa sul naso. Quel dolore che impedisce il nostro fare e ci impone di stare, di fermarci, per il nostro bene.
Non l'avevo mai vista così: siamo fatti "come un prodigio", anche nella nostra fragilità. Questa sì che è una di quelle anticipazioni che fanno bene al cuore e da tenere a mente per le parti tristi e difficili del nostro, di film.
Suor Silvina, che mi sembra una tipa pratica, ci ricorda che Dio non è filosofia, ma è nell'abbraccio fisico del Calor, Tumor, Rubor, Dolor e Functio laesa.
Ecco che il primo miracolo di Dio, quello che è tutti i giorni sotto i nostri occhi, siamo proprio noi. Questa cosa imperfetta, piena di acciacchi è lo specchio di un creatore che fa bene tutte le cose, anche quando ci sembrano limitate da una malattia o dal dolore.
Lui, che ha pensato persino al liquido sinoviale che ha fatto vincere a Carl Lewis il record del mondo dei 100 metri insieme ad altre non trascurabili "18 miliardi di operazioni che hanno luogo in meno di dieci secondi", come ricorda la caposala col velo a Saetta, non lascia nulla al caso, non si è dimenticato di sistemare i difetti di fabbricazione.
Ci ha dato la possibilità di fare cose incredibili proprio confrontandoci coi limiti della nostra fisicità, come il record dei 100 metri. Siamo noi, però, a doverci ricordare che "invincibile" non è qualcosa che attiene solo al corpo o ai risultati raggiunti, quelli che vediamo e a cui diamo dei numeri, quanto al riconoscere che siamo fatti a immagine di qualcuno di davvero onnipotente, che ha lasciato la sua impronta nel DNA e nell'anima.