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La redenzione della leggenda degli scacchi Bobby Fischer

Bobby Fischer

CC Nationaal Archief

Lauriane Vofo Kana Lauriane Vofo Kana - pubblicato il 03/09/21

Una partita da antologia nel 1972 ed eccolo per sempre nella storia. Le meraviglie di Bobby Fischer, prodigio degli scacchi, sono note… la sua feroce opposizione alle religioni pure. Il suo funerale, nel 2008, svoltosi secondo il rito cattolico, ha sorpreso. Forse è stato il punto di caduta di una ricerca iniziata decenni prima.

Reykjavík. Bobby Fischer davanti a Boris Spassky. L’Aquila Pescatrice contro la Falce e il Martello. Non c’è dubbio: l’estate del 1972 ha visto gli Stati Uniti affrontare l’URSS sopra la scacchiera. 

Più giovane vincitore del campionato americano di scacchi, più giovane grande maestro internazionale e, nel 1972, primo americano a vincere il campionato del mondo: il talento di Bobby Fischer è innegabile. Film, documentari o articoli narrano l’uomo dal palmarès pluridecorato. Spesso vengono ricordati i suoi successi e la storia della revoca della cittadinanza, ma il suo itinerario spirituale resta poco noto. 

Solitario enfant prodige 

Robert John Fischer vide la luce a Chicago in una famiglia monoparentale: sua madre, Regina Wender, di origine svizzera, è di ascendenza giudaica; la fede, però, non aveva un vero posto nel focolare, dove si simpatizzava per il comunismo. Quando Bobby aveva 6 anni, la sorella maggiore Joan gli offrì una scacchiera. Due anni più tardi, il ragazzino veniva iscritto al club degli scacchisti di Brooklyn. Le letture e le partite si susseguono, il giovane si rifugia nel gioco, lontano da un quotidiano monotono marcato dall’assenza della madre. Quando aveva 12 anni, nessun iscritto del suo Stato è più in grado di batterlo. Il prodigio proseguì la sua folgorante ascesa fino alla “partita del secolo”, nel luglio 1972. 

A quasi 30 anni, il giocatore era all’apice della sua gloria: scelse invece di allontanarsi dai riflettori per prendersi cura della sua anima. Si unì allora a una setta sedicente cristiana, la Worldwide Church of God (che da allora ha cambiato nome), dove studiò testi biblici e – in qualità di aderente – lasciava cospicue somme in denaro. 

Nel 1977 lasciò il gruppo sbattendo la porta, non credendo più alle profezie millenarie del fondatore. Seguì allora un lungo periodo di peregrinazione: i progetti di matrimonio finirono per aria, Bobby perse la madre e poi la sorella. L’ultima partita di rilievo, nel 1992, non gli permise di rinverdire gli antichi fasti, e oltretutto si era già lasciato andare a dichiarazioni dal sapore xenofobo. 

Ricerca di senso 

Quando nel 2005 si esiliò in Islanda, non era più che l’ombra di sé stesso. Dopo essersi dichiarato ateo, Bobby si rivolse alle opere del guru indiano Rajneesh, prima di prestare attenzione agli insegnamenti della Chiesa. Fu finalmente nel piccolo paese nordico che la sua ricerca sembrò concludersi: un amico, Gardar Sverusson, cattolico, tentò di rispondere alle questioni che il genio degli scacchi si poneva sulla fede. 

Secondo il biografo del giocatore di scacchi, Bobby Fischer offrì un catechismo a Gardar per sostanziare le loro conversazioni. Sapendosi malato, il già campione lasciò al suo amico le ultime volontà. Tra queste, chiese di essere seppellito secondo il rito cattolico. Una conversione sulle soglie del grande passaggio? Una cosa è sicura: il 21 gennaio 2008 padre Jakob Rolland – della diocesi di Reykjavik – ha celebrato una messa per l’estremo saluto al Mozart degli scacchi. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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