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Praticando castità e verginità si può imitare la vita degli angeli

PURGATORY

Renata Sedmakova | Shutterstock

don Marcello Stanzione - pubblicato il 02/09/21

Già Tertulliano affermava che anche le vedove che rinunciano alle seconde nozze, passano a far parte della famiglia degli spiriti celesti

La vita degli angeli, in effetti, non è patrimonio esclusivo di quelli che si mantennero sempre separati dall’opera della carne: “la castità” e non solo la verginità, “è la vita angelica”. 

Già Tertulliano affermava che anche le vedove che rinunciano alle seconde nozze, passano a far parte della famiglia degli spiriti celesti. E San Giovanni Crisostomopropone loro lo stesso ideale delle vergini, giacché è possibile arrivare alle stesse vette sebbene il principio della loro ascensione sia situato su un piano meno alto. 

TERTULLIAN
Tertulliano, padre della Chiesa.

Una “filosofia superiore”

Certo è che le vergini realizzano una “filosofia superiore”, e da questo punto di vista, il loro stato è più sublime di quello delle vedove; ma questo non impedisce loro di poter raggiungere lo stesso grado di perfezione angelica. Lo stesso si dica dei monaci, di tutti i monaci che vivono in coerenza con la loro professione. 

“Non hanno parentela carnale”

Anche se l’abito monastico è considerato spesso come veste penitenziale! Simone di Tessalonica si poneva questo problema: come può – si domanderà a volte – l’abito di penitenza chiamarsi abito angelico, se gli angeli né peccano, né possono peccare per natura?”. E fra le altre ragioni cita la seguente: il monaco “ha abbandonato la vita secolare. Ha detto addio al mondo, ai suoi genitori, a sua moglie, ai suoi figli e ai suoi fratelli” per imitare “la vita degli angeli, i quali non sono sottomessi a nessun potere di amore terreno, e non hanno parentela carnale”. 

PURGATORY
Una rappresentazione di angeli e anime del Purgatorio.

I “registri angelici”

In qualsiasi modo siano arrivati alla soglia della vita religiosa, per il solo fatto di vestire l’abito e obbligarsi a conservare la castità, “fanno una vita simile agli angeli”; a non darsi in pasto alla concupiscenza per il voto che emettono, dalla loro stessa professione sono iscritti nei “registri angelici”, ed essendo uomini impastati con carne e sangue, soggetti alle necessità di una natura mortale, la loro purezza li rende adatti ad operare “come se non avessero corpo”, o meglio ancora, “fuori da poche cose”, sono “esseri incorporei”. 

La Gerusalemme di sopra

Come si vede, la castità gioca un ruolo importantissimo nell’equiparazione tradizionale della vita monastica alla vita angelica. “È monaco” – dice San Giovanni Climaco – “colui che imita, in un corpo terreno e sordido, lo stato e la vita di quelli che non hanno corpo”. E San Bernardo afferma che non c’è nella Chiesa stato più simile ai cori celestiali di quello monastico. Nessuno è più vicino alla Gerusalemme di sopra “sia per la gioia della castità, che per l’ardore della castità”. 

La vita del celibe

Il grande abate di Chiaravalle in un’altra occasione diceva, predicando ai suoi monaci: 

“Chi dubiterà chiamare vita celestiale ed angelica la vita del celibe? Ciò che nella resurrezione devono praticare tutti gli eletti, astenersi dal matrimonio, non lo fate già come gli angeli di Dio in cielo? Abbracciate, fratelli miei, la perla preziosissima; abbracciate la santità di vita che vi rende simili ai santi e i familiari di Dio, come dice la Scrittura: l’illibatezza avvicina a Dio. Così, non per i vostri meriti, bensì per la grazia di Dio, siete ciò che siete, per quello che riguarda la castità e la vita santa, siete angeli sulla terra, o meglio, cittadini del cielo”.

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