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Maria Cristina Cella Mocellin: «non c’è sofferenza che non valga la pena di sopportare per un figlio»

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Paola Belletti - pubblicato il 01/09/21
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Il Papa ha dichiarato venerabile la giovane sposa e madre lombarda, moglie di Carlo Mocellin; la donna è morta a causa di un tumore per il quale aveva posticipato le cure per non danneggiare la vita del bimbo che stava portando in grembo.

Dall'udienza di ieri, 30 agosto 2021, la Chiesa ha ricevuto il dono di tre nuovi venerabili: tutti italiani, nota Avvenire. Tutti incamminati, quindi, verso la beatificazione.

Quelli davvero ancora in cammino siamo noi, naturalmente, ma avere altri tre amici in Cielo che con beneficio possiamo invocare perché anche la nostra strada, per quanto tergiversante o accidentata, punti dritta alla stessa meta è una limpida consolazione.

Il Pontefice ha approvato la promulgazione dei decreti riguardanti le virtù eroiche del Servi di Dio Placido Cortese, sacerdote dei Frati Minori conventuali (1907-1944), della Serva di Dio Enrica Beltrame Quattrocchi (1914-2012), ultima figlia della prima coppia di sposi beatifica insieme, e della giovane moglie e mamma Maria Cristina Cella Mocellin (1969-1995).

A Enrichetta abbiamo dedicato un articolo a firma di Gelsomino Del Guercio proprio un giorno fa. Oggi vorremmo raccontare la storia di Maria Cristina, una giovane lombarda con un cammino normale ma intenso, lungo il quale si è lasciata accompagnare a ciò che, non aveva dubbi, il Signore via via le stava domandando.

E' un corpo a corpo pugnace e amoroso tra la sua volontà umana e quella di Dio che da sequenza di colpi si trasforma via via in abbraccio e abbandono.

Ho pensato alle parole del Padre nostro e a Cristo nel Getsemani: a quando la sola compagnia umana da cui è circondato è quella dei tre apostoli miseramente vinti dal sonno; loro non sanno che si sta per compiere l'evento che deciderà della storia umana intera; non sanno che Gesù sta per fare un tutt'uno della sua volontà con quella del Padre. Non c'è guerra, quando Gesù dice "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". In quel tuttavia e nella spinta dei congiuntivi che Cristo pronuncia sta la sua vera volontà, così intera da essere capace di consegnarne anche la parte umana al Padre, perché "Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato" (Gv 14, 31).

Così, leggendo la storia di questa giovane, prima bambina all'oratorio, poi giovane fidanzata e sposa innamorata e felice, e infine madre riconoscente, ho visto la stessa trama, lo stesso desiderio che venga mostrato solo l'amore che prevale sugli altri: che non è solo quello al suo bambino, minacciato dalle cure antitumorali a cui avrebbe potuto sottoporsi in piena gravidanza per provare a sconfiggere il cancro che era tornato; è quello per il Creatore, per il solo che può salvare lei, suo marito e i suoi figli anche se le costerà separarsene tanto presto (ma non prematuramente! Ciò che Dio compie è sempre maturo)

E' una bambina della provincia lombarda, Mariacristina Cella; nasce a Monza il 18 agosto 1969 da Giuseppe Cella e Caterina Smaniotto.

Vive la sua infanzia serenamente, insieme ai genitori e al fratello Daniele. Frequenta il catechismo, va all'oratorio; cose che forse ancora riusciamo a classificare come "normali" ma che invece, da genitori in quest'epoca di emergenza educativa, ci accorgiamo sempre più di quanto siano una benedizione: trovare contesti cristiani vivi, coraggiosi, ben strutturati è la risposta alle preghiere più o meno consapevoli di tante mamme e papà.

E così quella bambinetta tanto normale si incammina per la sua vita eccezionale lasciandosi accompagnare, secondo i ritmi e le capacità dell'età, a scoprire e coltivare anche la dimensione spirituale della propria esistenza.

Nel sito a lei dedicato leggiamo che

Cioè ha potuto misurarsi fin da piccola con notizie prorompenti come l'Incarnazione del Figlio di Dio, la sua vita nascosta e quella pubblica, il suo patire per noi, la morte da innocente e infine l'evento che ha sconvolto tutto, dalla fondazione del mondo fino al suo compimento: la resurrezione e la promessa che anche a noi spetta un destino simile.

Certo, ci pare una cosa usuale perché secoli di civiltà cristiana ci hanno abituati così, eppure il fatto cristiano e la sua irrespingibile pertinenza con la vita di ognuno di noi sono di una potenza smisurata, come nemmeno dieci testate nucleari sganciate su un'area metropolitana.

Maria Cristina, forse, ha intuito fin da piccina che sì era cosa risaputa da tutti che Dio si fosse fatto uomo e fosse morto e risorto per noi, ma a lei, proprio a lei chiedeva una risposta all'altezza di tale enormità.

Presa dall'amore di Dio e già piuttosto orientata ad una vocazione di consacrazione religiosa, Maria Cristina, ancora adolescente, fa un'altra cosa normalissima: d'estate va in vacanza in montagna dai nonni materni. E' il 1985 quando conosce Carlo Mocellin e se ne innamora. Siamo in Veneto, a Valstagna, quando i due si incontrano e ha inizio la loro intensa storia d'amore.

Comincia "per caso", per una punizione inflitta alla cugina di lei con sconto di pena ottenuto proprio per la presenza di Cristina: siccome la giovane stava fin troppo tranquilla in casa, per farla uscire, gli zii concedono anche alla figlia una breve passeggiata serale. E durante quei pochi passi Maria Cristina e Carlo si conoscono per la prima volta.

Che stupore vedere l'azione di Dio che si è come acquattato nelle pieghe di piccole, apparentemente insignificanti circostanze. La solitudine sparisce, a sapersi guardati in quel modo dal Signore.

Del periodo del fidanzamento, corroborato dalla prova della distanza e dalla mancanza di cellulari e chat, ancora di là da venire, ci resta un ricco scambio di lettere. L'epistolario tra i due giovani è occasione per nutrire il loro reciproco sentimento, ma anche per mostrarsi l'uno all'altra la propria ricchezza interiore e i comuni ideali spirituali. Carlo è ammirato dalla luce interiore di Maria Cristina, ne aveva intuito qualcosa già dal quel primo "ciao".

 Alla giovane, impegnata negli studi e già protesa al matrimonio, una volta compreso che anche quella vocazione era via maestra per donarsi a Dio e corrispondere al suo amore, arriva addosso senza troppi preamboli la prova della malattia, e una malattia seria, di quelle che fino a qualche anno fa si indicavano con vergognose perifrasi come "un brutto male". E' un brutto male, in effetti, il sarcoma che le viene diagnosticato alla gamba, ma lo si può contrastare e persino respingere.

E' in questo primo doloroso ma condiviso frangente che i due, insieme, riescono ad addentrarsi ancora più a fondo nel mistero dell'amore umano consegnato però a Cristo e capace di eternità.

È quello il momento in cui il loro amore assume il respiro dell’eternità: i due giovani si giurano amore per sempre e iniziano a progettare la loro vita futura.

Cristina guarisce completamente e riesce a terminare gli studi liceali con profitto.

La famiglia prende dimora in terra veneta, nel paese del marito, Carpanè, in provincia di Vicenza. Cristina prosegue gli studi di Lingue Straniere a distanza, perché iscritta in Cattolica a Milano.

Non hanno ancora festeggiato il primo anniversario di nozze che già gioiscono per la nascita del primo figlio, Francesco. A distanza di 18 mesi nascerà la seconda, Lucia.

Maria Cristina aveva espresso chiaramente al Signore la sua posizione rispetto alla vita nascente al dono della maternità:

 «Piuttosto che neanche un figlio, mandamene dieci».  

Significa che temeva di più il dolore di non avere figli che la fatica certa di doverne crescere molti. Sono contenti, lei, Carlo e i due bambini; le gioie coniugali e familiari si moltiplicano e loro ne fanno una grata esperienza.

Ma siamo già alla vigilia della grande prova: Lucia è nata da poco quando Maria Cristina scopre di essere di nuovo in attesa di un figlio. Leggeremo, nella lettera che ha lasciata per il terzogenito, Riccardo, la benedetta normalità delle sue reazioni, per nulla in stile "santino" prestampato. Ogni nuova vita chiede un sacrificio alla madre, ogni figlio che si scopre in viaggio ci richiede spazio, mortificazione, rinuncia (a significative quote di sonno, per esempio). Certo, quello spazio non resta vuoto e viene subito occupato dalla gratitudine, dalla novità, dalla bellezza di sapere che ameremo qualcuno con tutto noi stessi e crederemo impossibile vivere senza di lui. E così è e sarà per Maria Cristina e Carlo, ma nel senso più radicale dell'esperienza.

Proprio all'inizio della terza gravidanza, e a distanza di cinque anni dalla remissione della malattia oncologica che l'aveva colpita, la giovane scopre che si è ripresentato un nuovo sarcoma, alla stessa gamba.

Vedendo lo svolgersi dell'esistenza di questa madre e moglie, osservando il suo rapporto col marito e la loro coraggiosa presa di posizione a difesa della vita del figlio concepito, è inevitabile pensare alla luminosa vita di Chiara Corbella Petrillo e alla sorprendente somiglianza con le decisioni che anche lei, col marito Enrico, ha preso e difeso fino a permettere la nascita del piccolo Francesco.

In queste donne (prima di loro ma non troppo indietro c'è la grande santità di Gianna Beretta Molla), e nei loro mariti, non c'è traccia di fanatismo, né ombra di irrazionalità: si staglia la rocciosa consapevolezza di avere un figlio che dipende dalla loro carne e che non ha altra difesa che loro.

Non c'è "gola" per il martirio, ma la voglia di vivere e di guarire. Infatti Cristina non rifiuta le cure ma solo quelle che in quel momento avrebbero certamente danneggiato il bambino che portava in grembo e, appena le è possibile, intraprende le terapie che si augura sinceramente possano respingere di nuovo il tumore.

Morirà il 22 ottobre del 1995 lasciando intorno e dopo di sé amore e fiducia in Dio; sì proprio quel Dio che, visto agire da lontano, sembra aver crudelmente tolto una mamma ai suoi bambini ancora piccoli e una moglie ad un marito innamorato.

Ma con Dio non si fa così; per ri-conoscerlo bisogna andargli vicino e parlargli a tu per tu. Così Maria Cristina ha potuto vivere fino alla fine certa che ogni cosa fosse per il bene e che la volontà di Dio è sempre l'opzione migliore, non solo per noi ma anche per tutti quelli che da noi e dalla nostra vita saranno toccati.

Maria Cristina è uno spirito forte, con Dio ha lottato fin dal momento del discernimento vocazionale, ha chiesto ragioni di quelle prove tanto dure; ma il fatto è che il Signore le ha sempre risposto. Lei era felice, si sentiva di aver potuto vivere una vita piena, ricca di gioia e soddisfazioni, ardua senza dubbio ma paradossalmente privilegiata.

Ecco cosa scrive al marito Carlo nemmeno a tre mesi dalla morte che sapeva già incombente:

Ecco cosa combina la fede, ecco cosa succede a chi si lascia spogliare e rivestire da Cristo. Il nostro svuotarci non è fine a sè stesso e per rinnovare definitivamente il "guardaroba": siamo fatti per quello che Cristina ci lascia intravvedere, quasi con pudore, con il senso di impaccio di chi ha potuto sperimentare da vicino Dio e la sua gioia e sente di non avere meriti particolari per tanto splendore.

Non ha amato il dolore in sé, nè la malattia da sola, né doversi separare dal marito e dai figli: ha amato la verità di tutti loro, del viso dei suoi figli, del legame col marito; ha amato e si è consegnata a Chi poteva mettere in cassaforte e per sempre la bellezza di tutto questo. Ha amato la possibilità di poter contribuire con le sue sofferenze a portare vicino allo stesso Dio quante più anime possibili; quanti più figli, madri, mogli e mariti. Lo sa ora e lo intuiva nel momento della prova: quello che ci tocca sopportare qui passa, ma la meraviglia a cui ci accompagna è senza fine.

La Chiesa, indicandoci in Maria Cristina un modello venerabile (e ci auguriamo nei tempi necessari "venerando") non fa altro che incoraggiarci a seguire la nostra vocazione di battezzati: siamo tutti destinati a quella stessa gioia, passando per croci più o meno piccole.

24 settembre 1995, ore 5.25 (Ospedale di Marostica, Vicenza)

Caro Riccardo, tu devi sapere che non sei qui per caso. Il Signore ha voluto che tu nascessi nonostante tutti i problemi che c’erano. Papà e mamma, puoi ben capire, non erano molto contenti all’idea di aspettare un altro bambino, visto che Francesco e Lucia erano molto piccoli.

Ma quando abbiamo saputo che c’eri, t’abbiamo amato e voluto con tutte le nostre forze. Ricordo il giorno in cui il dottore mi disse che diagnosticava ancora un tumore all’inguine. La mia reazione fu quella di ripetere più volte: “Sono incinta! Sono incinta! Ma io dottore sono incinta!”

Per far fronte alle paure di quel momento ci venne data una forza smisurata di volontà di averti. Mi opposi con tutte le forze al rinunciare a te, tanto che il medico capì già tutto e non aggiunse altro.

Riccardo, sei un dono per noi. In quella sera in macchina di ritorno dall’ospedale, che ti muovesti per la prima volta sembrava che mi dicessi:

“Grazie mamma che mi vuoi bene!”

E come potevamo non volertene? Tu sei prezioso, e quando ti guardo e ti vedo così bello, vispo, simpatico, penso che non c’è sofferenza al mondo che non valga la pena di sopportare per un figlio.

Il Signore ha voluto ricolmarci di gioia: abbiamo tre bambini stupendi, che se Lui vorrà, con la sua grazia, potranno crescere come Lui vuole.

Non posso che ringraziare Dio, perché ha voluto fare questo grande dono che sono i nostri figli: solo Lui sa come ne vorremmo altri, ma per ora è davvero impossibile.

Grazie Signore.

Colpisce insieme al contenuto così vivido e insieme quotidiano e ultraterreno lo scivolamento da un interlocutore all'altro. Sta parlando a suo figlio ma, verso la fine, non può fare altro che rivolgersi al Signore e così svela l'arcano che si nasconde dietro tutti i nostri amori terreni: è Lui che cerchiamo, è per Lui che vale ogni pena, e sono Suoi tutti i nostri figli.

Conoscere la storia di questa donna, come moglie e mamma e anche come figlia, mi ha dato una grande pace. Non solo la mia vita è saldamente nelle mani del Padre ma quella dei miei figli che credo di amare smisuratamente e invece è suo il primato, è suo il pensiero fisso, inestirpabile che si occupa di loro e si adopera sempre e solo per la loro felicità.