La condivisione è un atto da sempre di umanità, empatia ed affetto. Si tratta di un gesto che solo in apparenza può sembrare naturale, ma che riesce a portare sempre un messaggio di eguaglianza e solidarietà. Questa la definizione standard che diamo al gesto. Ma il suo significato cambia a seconda anche del contesto in cui si applica e delle intenzioni.
Facebook in particolare ha dato alla condivisione uno specifico peso. Per l’algoritmo la condivisione di un contenuto ha un peso maggiore rispetto a tutte le altre azioni che si possono compiere al di sotto di un contenuto (like e commento). In sintesi: un post condiviso vive maggiormente nei feed, ha la possibilità di divenire virale (azione conseguente proprio grazie alla condivisione) e alza tutti i parametri di riferimento per comprendere se il contenuto ha raggiunto l’obiettivo. La condivisione assume quindi in questa specifica funzione un ruolo in campo di strategia di comunicazione e per questo non deve essere preso alla leggera. Abbiamo già visto insieme le dinamiche con cui le fake news si diffondono e come è possibile ripararsi; per questo la condivisione di notizie e informazioni deve essere prudente: prima di condividere controlla, verifica e poi clicca condividi.
Esiste poi online un altro tipo di condivisione, più attinente alla prima definizione. Una condivisione di idee, intenti, passioni e interessi. Ma anche una condivisione di timori, con l’obiettivo comune di cercare conforto. Questa nuova dimensione sociale trova forza all’interno della community, spazi tematici organizzati affinché ognuno possa esprimersi liberamente e dare sfogo alle proprie idee senza avere paura del giudizio e dello scherno, che sempre, purtroppo, vivono nei commenti. In poche parole, le community online sono dei porti franchi.
L’idea è proprio quella di avere luoghi di aggregazione in cui avere la libertà di condividere le proprie passioni. Sono spazi protetti dagli haters grazie alla presenza interna di regole, che devi sottoscrivere prima di essere “inserito” all’interno della community, si tratta per lo più di regole di buona educazione e di conferma di interessa per il tema, e grazie anche all’intervento dei moderatori (per chi di noi già circolava online negli anni ’90 si tratta di una evoluzione delle vecchie chat room).
I sistemi di sicurezza presenti all’interno di questi spazi non sono però limiti alla creatività o allo stile comunicativo, anzi gli user generated content (i contenuti prodotti dagli stessi utenti) acquistano un peso decisivo grazie proprio alla rapidità, guarda caso, di condivisione e quindi di diffusione. Recentemente Facebook ha deciso di dare maggior peso ai contenuti generati e condivisi dai membri di un gruppo. Alla base di questa scelta c’è proprio l’idea che un utente abbia maggior desiderio di vedere nel proprio feed contenuti appartenenti ai gruppi ai quali si è iscritto, e non aggiornamenti non richiesti.
In sintesi, all’interno della community il senso della condivisione sposa tutte le definizioni: quella 4.0 in cui la condivisione è un’azione che dà spinta ad un contenuto per diventare virale, e quello umano, fatto cioè di comunione di intenti, ricerca di suggerimenti, scambio di idee, divertimento selezionato da uno spirito di appartenenza.
In questo ultimo periodo di difficoltà fisica dell’incontro, le community hanno avuto un ruolo centrale proprio perché hanno permesso uno scambio continuo di informazioni, parole, empatia, consigli e aiuto. Uno spazio virtuale che ha decisamente tolto la barriera dei limiti fisici e in cui la condivisione è la regola base per un corretto funzionamento.