Si tratta di una questione spinosa e complessa, di difficile comprensione e di ancor più difficile soluzione: la moltiplicazione di Chiese ortodosse in Ucraina (afferenti rispettivamente a Mosca e a Costantinopoli) sembra esprimere e al contempo accentuare secolari contrasti ecclesiastici.
I risvolti politici sono evidenti, se si pensa che la c.d. “guerra del Donbass” – lontana dagli occhi e (disgraziatamente) dal cuore dell'Occidente – è tuttora in corso nel Paese. All'intricato groviglio di rivendicazioni, torti e ragioni, anche Papa Francesco aveva dedicato parole pubbliche ancora nel Regina Cœli del 18 aprile scorso:
Per provare ad aggiungere elementi di chiarificazione abbiamo intervistato un monaco greco ortodosso atonita, Padre Nilo*, recentemente tornato proprio da quelle regioni: abbiamo cercato di comprendere se a suo avviso l'iniziativa volta a stabilire in Ucraina un'unica Chiesa Ortodossa autocefala promuova il cammino ecumenico oppure lo ostacoli.
Teologicamente unita nella professione della Santa Fede Ortodossa, l’ortodossia si articola oggi in 14 Chiese autocefalie, unite dalla comunione sacramentale che implica il reciproco riconoscimento Di conseguenza, in ambito amministrativo, ogni Chiesa autocefala si governa in modo autonomo, in base a propri statuti, conformi ai sacri canoni. Le questioni di rilevanza panortodossa vengono invece esaminate, sinodalmente da tutte le Chiese autocefale.
Dalla separazione dell’undicesimo secolo (di Roma dalla Chiesa Ortodossa), il patriarca di Costantinopoli-Nuova Roma svolge il ruolo di primo tra i patriarchi. Come coordinatore di assemblee panortodosse, ha convocato e presieduto, in quest’ultimo trentennio, assemble dei primati della Chiese autocefale che hanno preparato il grande concilio, svoltosi a Creta nel giugno del 2016.
Mentre papa Giovanni XXIII poteva fin dalla sua indizione (25 gennaio 1959) dichiarare “l’ecumenicità” del Concilio Vaticano II (1962-5), nella Chiesa Ortodossa solo la ricezione determina l’ambito di vigenza di deliberazioni sinodali che giungono ad assumere vigenza in tutta la Chiesa ortodossa allorché un concilio generale inserisce il sinodo che le ha prodotte tra i concili ecumenici. Di conseguenza, il fallimento (dal punto di vista ortodosso), dei concili unionistici di Lione e di Firenze (ecumenici per la Chiesa Cattolica Romana), dipende dalla loro mancata ricezione panortodossa, giunta a qualificarli pseudosinodi.
In effetti pare strano nell’odierno occidente secolarizzato capire i motivi che da tempo inducono movimenti politici ucraini, in patria e nell’emigrazione, a raggiungere, in qualsiasi modo, l’autocefalia per spezzare i vincoli spirituali intercorrenti tra ortodossi ucraini e il Patriarcato di Mosca che (in seguito alla fine dell’URSS e la conseguita indipendenza ucraina), ha concesso l’autonomia alla Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC).
Pur inserita nel Patriarcato di Mosca (che da secoli unisce gli ortodossi russi, ucraini e bielorussi), l’UOC gode di completa autonomia: elegge a Kiev il proprio primate e gli altri vescovi, governa in Ucraina diocesi e monasteri e amministra i propri beni economici. Il vincolo con la Chiesa madre (il patriarcato moscovita), è fondato su plurisecolari vincoli spirituali. Questa prospettiva non è, soprattutto, condivisa nelle regioni ucraine occidentali, per secoli sottoposte a dominazione polacca o austriaca, promotrice, parallelamente alla “russofobia”, di unioni di ortodossi ucraini al cattolicesimo mediante l’uniatismo [= inserimento nella Chiesa Cattolica con la facoltà di conservare le tradizioni liturgiche ortodosse, quantunque sottoposte a vistose latinizzazioni, N.d.R.].
Al di là di dubbie statistiche (non circoscrivibili, d’altronde, a quanti professano realmente la fede ortodossa), è rilevabile come oltre trecentomila fedeli siano giunti a Kiev, a fine luglio, da tutta l’Ucraina per partecipare alla grande processione in memoria del Battesimo dell’Isapostolo, Santo principe Vladimir, e della nazione.
Bisogna distinguere la questione dal punto di vista ortodosso e politico. Gli odierni autocefali risultano deposti dal sacerdozio e scomunicati dal Patriarcato di Mosca per adesione allo scisma. Su istanza dell’allora presidente ucraino Poroscenko, il Patriarcato di Costantinopoli, dichiarando di volere riportare gli scismatici nell’ambito della Chiesa Ortodossa, li ha assolti dalle censure per unire la Chiesa Autonoma Ucraina (UAC) alle due maggiori comunità scismatiche, e così formare un’unica Chiesa Autocefala di Ucraina (CAU).
Spesso si sostiene, in effetti, che il grande Patriarcato moscovita vuole, finalmente, usurpare la leadership panortodossa al piccolo Patriarcato Ecumenico, albergato a Costantinopoli nel quartiere del Fanar.
Purtroppo questo Leitmotiv viene con frequenza ripetuto anche da ecclesiastici, politicamente influenti o influenzabili. Ma basta incontrare, anche in Italia ucraini fedeli, non formali, ortodossi per capire quale funesta irruzione politica cerca di sconvolgerne l’identità religiosa. No, non si tratta di una contesa per la leadership universale della Chiesa Ortodossa ma di indebita invadenza politica nella sfera ecclesiale.
Apostrofati filorussi, sacerdoti e fedeli della UOC vengono perfino assaliti mentre difendono i loro edifici di culto da bande organizzate intente a trasferirli alla CAU. Nella prospettiva è progettata l’imposizione legislativa all’UAC del mutamento della denominazione: da Chiesa Autonoma Ucraina in Chiesa Russa in Ucraina.
Gli aderenti alla UAC, giuridicamente identificati dalla nuova denominazione (che ricorda la triste stella gialla), renderebbero cosi palese la loro adesione alla Chiesa dei russi, nemici invasori della patria ucraina!
Oltre al Patriarca di Costantinopoli altri tre Primati autocefali hanno dichiarato ricezione della autocefalia ucraina, proclamata dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Nonostante sollecitazioni, ecclesiastiche e politiche, gli altri dieci Primati appaiono favorevoli ad un’Assemblea panortodossa che promuova la soluzione della questione ucraina, all’origine di crescenti contrasti, riscontrabili ovunque in ambiti ortodossi. Non mancano, peraltro, Primati, vescovi, chierici, monaci e laici giunti a denunciare la pericolosa radicalizzazione dello scisma, di fatto già vigente.
Alcuni osservatori prevedono, come conseguenza, nuove discriminazioni ai danni della UAC. Il Patriarca Porfirio di Serbia invoca il Paraclito affinché il Patriarca Bartolomeo coroni il trentesimo anno di diaconia patriarcale annullando la recente istituzione dell’CAU. Preghiamo affinché il Patriarca Ecumenico dia questo annuncio a Kiev ai fedeli dell’UAC che hanno chiesto di incontrarlo e informarlo delle discriminazioni che continuano a subire. Su questo presupposto, la tradizionale omofonia dei patriarchi dell’ecumene ortodosso (prologo della novella 109 di Giustiniano) porterà a soluzione la questione ucraina.
Senza pace e comunione eucaristica tra le quattordici Chiese autocefale, in Ucraina il dialogo tra autocefali e greco-cattolici è in grado di generare solamente nuove modalità di quell’uniatismo che dal XVI secolo ha alimentato divisioni tra gli ortodossi ucraini.
*: Monaco Nilo Vatopedino (Stilo Sacro Monastero di San Giovanni Nuovo)