È davvero un peccato non essere felici.
Non è una frase fatta. È proprio da prendere alla lettera. Il perché lo ha spiegato Don Alberto Ravagnani nel suo intervento al TEDxBarletta dal titolo "come quando arriva la felicità".
Il peccato, a guardarlo bene non è altro che un tentativo fallito di felicità. Ma noi siamo troppo attaccati all'idea del divieto divino come dei bambini capricciosi che vogliono ciò che non possono avere spesso.
Ed è proprio questa prospettiva che ci frega: quella del possesso a tutti i costi.
Insomma, la rincorriamo tutta una vita questa cosa: studiamo per trovare un buon lavoro ed essere felici, poterci permettere le Vans edizione limitata e la vacanza in Islanda. Ci sposiamo e alcuni pensano anche di fare figli per diventare finalmente felici col problema che, almeno in questo caso, potrebbe non bastare la nostra volontà e il nostro impegno e allora sì, che cadono i castelli di carta e felicità che ci eravamo creati.
Il fatto è che una moglie, un figlio, un impiego appassionante non rendono soddisfatti o realizzati a priori. Il fatto è che fin quando viviamo tutto come una proprietà, al pari dell'ultimo vestito di Zara, niente potrà davvero darcela, quella felicità che cerchiamo.
Che il marito perfetto non esiste e le cose che ci fanno sclerare saranno sempre tante, che i figli fanno venire smagliature e occhiaie, a partorirli e a forza di aspettarli alzati la sera quando gli avevamo detto di rientrare due ore fa. Che anche l'ultimo abitino in raso tanto di moda è fantastico appena comprato e ci chiediamo come abbiamo fatto a vivere senza… Almeno fin quando, massimo due settimane dopo, tutti condividono foto con fantasie Vichy e il senso della vita è tutto da rifare, o meglio, ricomprare.
La felicità non si compra. È un regalo. Non uno che ricevi, ma uno che fai.
Arriva se ci si dona per primi.
Anche Don Alberto ha ammesso di stare per perderlo, quel treno: per fortuna il suo parroco di allora gli ha dato uno strappo in macchina!
Quella sera, sul sedile del passeggero, prima di scendere, Don Alberto aveva 17 anni e tante cose: hobbies, l'ultimo modello di scarpe, amici, impegni sportivi, buoni voti. Tutte cose che lo rendevano pieno, sazio. Cose che nella teoria del mondo dovrebbero darti quella tanto agognata felicità. Eppure alla domanda del sacerdote, schietta e diretta "sei felice?" lui non sapeva cosa rispondere. O meglio, lo sapeva, ma è dura ammettere a noi stessi che, dopo tutti gli sforzi e i soldi spesi, ancora non abbiamo centrato il bersaglio.
È facile confondere la felicità con qualcosa che non è, ricorda Don Alberto: la ricerca del piacere, il benessere, i soldi eppure
Proprio quando siamo spogliati di tutto, di tutti questi beni di prima necessità di cui ci circondiamo, siamo più appagati di chi possiede salute, denaro, tempo.
Il mondo ci ha abituati a fare indigestione di gioia pret-a-porter, in pratiche confezioni, pronta da stappare, ma sempre con una data di scadenza.
Al grido di "goditela finché dura", ci hanno detto che dobbiamo prendere quel che viene, prenderlo subito, che poi ogni lasciata è persa e se non stai attento te la ruba qualcun altro.
La felicità vera invece non è un sentimento usa e getta come vuole vendercelo il mondo per rivenderlo ancora domani.
Ora, se anche voi come me e un giovanissimo Don Alberto, siete ancora seduti con lo sguardo pietrificato sul sedile di quella macchina, niente paura. Ho preso appunti e mi sono fatta uno schema riassuntivo da tenere a portata di mano una volta scesi dall'auto e tornati nel mondo reale. Siccome sono una secchiona ve lo passo: