Hanno vinto entrambi ieri, domenica 1 agosto 2021, salendo il gradino più alto del podio. Le Olimpiadi di Tokyo ci stanno regalando non solo medaglie ma storie di grandi campioni.
La finale dei 100 metri piani e l’oro azzurro
Ieri pomeriggio mi sono persa la finale di Marcell perché ero impegnata col figlio più piccolo (ma resto comunque imperdonabile) però ho sentito la telecronaca di mio marito al piano di sotto:
Detta così sembra più l’assistenza partecipata ad un parto invece era la gara stratosferica di Marcell Jacobs, l’atleta desenzanese che ha vinto con un tempo di 9,80 i 100 metri piani. Era dai tempi di Pietro Mennea, nel 1980 – per le mie figlie si tratta di un’era geologica o due fa – che intorno al collo di un atleta italiano non veniva messa la medaglia del metallo più prezioso per una gara di velocità, ma erano i 200 metri. Ora c’è la sua, e Marcell lo dice, non gli sembra vero.
Che sport strano e ingrato può essere l’atletica; fatto anche di solitudine, di sforzi continui, prolungati, nascosti, senza gratificazione e poi tutto che si gioca in una manciata di secondi, per alcune discipline.
Jacobs è un ragazzo del ’94, nato in Texas ma “italiano in ogni cellula del suo corpo” dice lui, che è italiano perché bresciano e bresciano in quanto desenzanese; con la mamma Viviana è arrivato sulle sponde del Benaco a 18 mesi, mentre il padre, militare USA, fu mandato in Corea del Sud.
E’ nato in USA, Marcell, ma i suoi ricordi iniziano in Italia. E per il 2021 ne aveva in serbo di nuovi e speciali, scriveva sul suo profilo Instagram a gennaio scorso:
“Pronto per un 2021 di grandi cose”. Sensazioni e presentimenti di una stagione da record, per lui e per lo sport italiano. Con il primato nazionale di 6″47 nei 60 metri indoor, fatto registrare all’Europeo di Torùn dello scorso marzo, Jacobs spicca il volo, crescendo in consapevolezza giorno dopo giorno.
Primo azzurro capace di qualificarsi per una finale olimpica nei 100 metri piani, batte il record italiano nella disciplina regina di Filippo Tortu (9″99), correndo in 9″95 a Savona, a maggio, nelle batterie del Memorial Ottalia. Numeri poi frantumati in una serie di gare da urlo a Tokyo, con il 9″94 delle batterie, il 9″84 della semifinale e il 9″80 della finale.
Per essere un lampo, il più veloce di tutti, servono interminabili allenamenti, sforzi, sofferenze, maturazione fisica, certo, ma soprattutto mentale e umana.
Ora che Jacobs è salito sull’Olimpo, come in tanti dietro la tastiera siamo tentati di dire giocando con parole e immagini, ci si precipita a vedere da dove venga, chi siano i suoi genitori, cosa c’è dietro e dentro un campione che ha gonfiato di orgoglio una nazione intera.
Mamma e papà si sono conosciuti da giovanissimi e sposati presto, lei 18, lui 20 anni; il padre, un marines, viene mandato in Corea e la mamma, Viviana Masini, decide di tornare in Italia a vivere e far crescere quel figlio.
Gli fa da madre e padre, racconta ai microfoni, e avrà fatto del suo meglio. Eppure per Marcell quel padre assente è un macigno che va fatto rotolare via. No, anzi, il masso che va tolto dal petto è la rabbia, il risentimento per il suo non esserci stato. Una fame d’amore, questa, che si manifesta come può. Sarà la mental coach Nicoletta Romanazzi a capire che con quel peso sul petto Marcell non avrebbe potuto liberare del tutto la sua potenza. Il primo muscolo da sciogliere, dunque, il cuore.
E’ talmente italiano Marcell che per parlare col papà da poco e solo in parte ritrovato si fa aiutare da Google (ma grazie per aver detto con l’accento inconfondibile per me dei lacustri bresciani che you tray stay, you dont know,…sciolto?!)