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Olimpiadi: Benedetta Pilato e tutto il buono che solo il fallimento sa donarci

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Photo by François-Xavier MARIT / AFP

Annalisa Teggi - pubblicato il 27/07/21

Appena 16 anni e gambe da record del mondo. E' stata squalificata nei 100 rana ed esclusa dalla staffetta mista. Il cappellano degli atleti: le sconfitte ci rendono fecondi, non falliti.

Oggi Benedetta Pilato rientrerà in Italia. Aveva in tasca il sogno immenso di puntare a una medaglia olimpica nel nuoto a soli 16 anni. Aveva tutte le carte in regola. Tornerà nella sua Taranto da sconfitta: èstata squalificata nei 100 rana ed esclusa dalla staffetta mista. Alla fine di una gara deludentissima ha dichiarato:

Ho fatto una gara orribile non so cosa mi è successo.

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Il record del mondo nelle gambe …

Le Olimpiadi non le aveva mai viste neppure in TV, ma arrivava a Tokyo da campionessa europea in carica e primatista mondiale dei 50 metri rana. Eppure di fronte all’obiettivo per cui si era allenata duramente ha fallito. Fallito, sì: parola che pesa e può schiacciare. Non ci sono sinonimi meno brutali, e lei stessa ha usato parole dure per la sua sconfitta.

Benedetta Pilato è stata squalificata dalle batterie dei 100 rana per gambata irregolare: nella specialità più tecnica il giudice di corsia di solito intravede una gamba cosiddetta delfinata. Non sarebbe entrata in semifinale avendo toccato la piastra in 1’07”36, il 20° tempo mentre in semifinale ne passano 16. È un’eliminazione clamorosa anche perché la sedicenne tarantina vale abbondantemente un crono da 1’05”84 e quindi la qualificazione sarebbe stata accessibile.

Da Gazzetta dello Sport

Dunque non solo la squalifica, ma anche la consapevolezza di aver fatto un tempo lontanissimo dalle sue prestazioni migliori. E poi un altro colpo: Benedetta Pilato è stata esclusa anche dalla staffetta mista. Al suo posto il commissario tecnico ha deciso di schierare Arianna Castiglioni, primatista italiana.

Per una ragazza così giovane, alla prima grande compezione olimpica, il marchio di una sconfitta così netta peserà? Sì, certamente. Stare di fronte a questa esperienza personale sarà decisivo per la sua carriera, e vogliamo scommettere che sia per il meglio. Cresce bene chi pianta i piedi sul duro piedistallo del fallimento.

… l’ansia nel cuore

Era sempre stata lontana dai riflettori. Famiglia e allenatori avevano protetto il talento precoce e luminoso di Benedetta Pilato facendo muro contro la pressione mediatica, anche quando, a soli 15 anni, si era andata a prendere il record del mondo nei 50 rana.

Ora su tantissime testate il suo nome rimbalza accanto al tema bruciante della sconfitta, mentre altrettanti titoli applaudono gli atleti italiani vincenti. Oggi tutti gli applausi – meritati – sono per la veterana delle campionesse, Federica Pellegrini. E della giovanissima nuotatrice tarantina si parla invece per analizzare le ragioni di una sconfitta cocente.

Il suo tecnico Vito D’Onghia non ha potuto presenziare alle Olimpiadi e ha dichiarato:

Abbiamo fatto uno sforzo incredibile per qualificarci, ma evidentemente serve qualcosa in termini di esperienza per avere freddezza e lucidità per gestire un’Olimpiade.

Da Ansa

Sola davanti alla grande vasca olimpionica. Questo è uno dei motivi che possono aver generato in Benedetta Pilato uno stato d’animo inquieto. A Tokyo era andata insieme agli altri atleti, ma senza parenti e senza allenatore. Ed è una grossa prova emotiva reggere il peso di una competizione così clamorosa e imporante senza avere accanto i volti di casa, quelli che sostengono per davvero. La compagna di vasca Martina Carraro l’aveva vista molto agitata, sopraffatta dall’ansia. E come non capirla?

Avere addosso la responsabilità e l’entusiasmo di grandi aspettative impone quasi la pretesa di dover dimostrare ancora di più. Meglio, vittoria, podio: è per questo che si gareggia. Anzi: è per questo che si gareggia?

I tecnici ora saranno impegnati ad analizzare la prestazione della Pilato e ad aiutarla a capire cosa è successo, affinché la prossima volta non si ripeta. Lo si fa per crescere, si dice. Eppure una grande crescita c’è già, qui ed ora, se una giovanissima ragazza si concederà il tempo di stare a cuore aperto di fronte alla domanda: è solo l’ipotesi di una vittoria, di essere la migliore, che mi fa tuffare in acqua e dà la spinta alle mie gambe?

Il cappellano degli atleti: feconda, non fallita

Per Benedetta Pilato sono arrivate parole tutt’altro che tecniche da Don Gionatan De Marco che è cappellano della squadra italiana. Ogni prete, in fondo, segue l’atleta che è in noi. Ci accompagna nell’allenamento quotidiano a correre (verso una meta), a offrire i pesi che solleviamo, a dare un senso agli ostacoli che saltiamo. E via dicendo. Lo sport è l’ombra terrena della sfida di ogni anima a guadagnarsi il Paradiso.

E forse è questo il senso delle lettere che ogni giorno Don Gionatan scrive e pubblica sull’agenzia Sir, rivolgendosi a un diverso atleta olimpico azzurro. Ha scritto anche a Benedetta, offrendo a tutti noi l’occasione di ricapitolare ogni nostra esperienza alla luce del seme fecondo che è il fallimento:

Benedetta, diventa testimone di riscatto! Aiutaci a scoprire il senso dei fallimenti! Sono come i fertilizzanti naturali che vengono gettati nel terreno per renderlo fecondo! Tutti i nostri fallimenti sono questo se li cogliamo nella verità! Non ci rendono dei falliti! Anzi, ci rendono fecondi! Fecondi di nuove possibilità da costruire imbastendo la ferita provocata con la voglia di riprovarci! Fecondi di energia estroversa che ci porta a investire in modo sempre creativo i nostri talenti!

Da Sir

Non i trofei, ma le sconfitte concimano la terra della nostra vita. Ma perché? Non sarebbe meglio il contrario? Magari una memoria dotata di una funzione cancella-figuracce&errori e un ‘serbatorio’ in grado di preservare a lungo l’ebbrezza dei trionfi, come quello dei contadini che raccolgono la benedetta acqua piovana. Ci hanno provato i commentatori dei giornali a balbettare qualcosa sul valore dei fallimenti. E pare un po’ come il circolo vizioso di un cane che si morde la coda: ora hai sbagliato – fanne tesoro – poi vincerai.

E’ qui che occorre lasciare a De Coubertin quel che suo, e poi dare a Cristo quel che è di Cristo. L’unica voce della storia che ha puntato sulla sconfitta a prescindere da ogni possibile o impossibile trionfo futuro è stato Gesù.

Il sorriso dei perdenti

Cara Benedetta, torna a casa col sorriso! E torna a casa con la consapevolezza che tutti i grandi campioni e le grandi campionesse della storia hanno gettato il seme della vittoria nel fertilizzante naturale di un fallimento! Torna a casa con l’entusiasmo di ricominciare subito a dare il massimo! E, soprattutto, a dare il meglio!

Ibid

Di Benedetta Pilato tutti dicono che ha un sorriso disarmante. C’è un segreto – deposto alla luce del sole – affinché possa mantenerlo senza che sia una maschera a favore di telecamera.

https://www.instagram.com/p/CQ_HlITnoqL/

Il sorriso nasce da un’anima a terra, perché è lì che si pianta la gioia. Tutto per noi si gioca nel momento in cui ci chiediamo su cosa si fonda il nostro valore. E – disse egregiamente Chesterton – sono in tanti a misurarci solo sul nostro meglio. Quanto è il meglio di noi? Vogliamo essere generosi e dire che è il 10%? D’accordo.

Ecco, la gioia nasce quando veniamo stupiti da Qualcuno che ci considera presenze irrinunciabili proprio per il rimanente 90%, vale a dire il nostro buono, discreto, sufficiente, insufficiente e gravemente insufficiente. Il fallimento è davvero il momento della gioia, perché può essere il momento di una verità che smettiamo di rimandare. Quella di chiedersi: chi mi guarda tutto intero? Chi ama i miei record peggiori, le cadute?

Girando il mondo e la storia in lungo e in largo, c’è solo un posto e una sola Presenza capace di questo sguardo: Gesù in Croce. Lì c’è il seme di ogni sorriso, perché c’è un compagno che punta in alto dal basso dell’abiezione più atroce. Sorride davvero chi sta a terra e sa che anche così sfatto è un’anima preziosa. A nessuno basta sperare che domani vinceremo, vogliamo gioire sapendo che siamo degni del podio eterno senza nessuna medaglia.

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