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Olimpiadi: Benedetta Pilato e tutto il buono che solo il fallimento sa donarci

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Annalisa Teggi - pubblicato il 27/07/21
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Appena 16 anni e gambe da record del mondo. E' stata squalificata nei 100 rana ed esclusa dalla staffetta mista. Il cappellano degli atleti: le sconfitte ci rendono fecondi, non falliti.

Oggi Benedetta Pilato rientrerà in Italia. Aveva in tasca il sogno immenso di puntare a una medaglia olimpica nel nuoto a soli 16 anni. Aveva tutte le carte in regola. Tornerà nella sua Taranto da sconfitta: è stata squalificata nei 100 rana ed esclusa dalla staffetta mista. Alla fine di una gara deludentissima ha dichiarato:

Ho fatto una gara orribile non so cosa mi è successo.

Le Olimpiadi non le aveva mai viste neppure in TV, ma arrivava a Tokyo da campionessa europea in carica e primatista mondiale dei 50 metri rana. Eppure di fronte all'obiettivo per cui si era allenata duramente ha fallito. Fallito, sì: parola che pesa e può schiacciare. Non ci sono sinonimi meno brutali, e lei stessa ha usato parole dure per la sua sconfitta.

Dunque non solo la squalifica, ma anche la consapevolezza di aver fatto un tempo lontanissimo dalle sue prestazioni migliori. E poi un altro colpo: Benedetta Pilato è stata esclusa anche dalla staffetta mista. Al suo posto il commissario tecnico ha deciso di schierare Arianna Castiglioni, primatista italiana.

Per una ragazza così giovane, alla prima grande compezione olimpica, il marchio di una sconfitta così netta peserà? Sì, certamente. Stare di fronte a questa esperienza personale sarà decisivo per la sua carriera, e vogliamo scommettere che sia per il meglio. Cresce bene chi pianta i piedi sul duro piedistallo del fallimento.

Per Benedetta Pilato sono arrivate parole tutt'altro che tecniche da Don Gionatan De Marco che è cappellano della squadra italiana. Ogni prete, in fondo, segue l'atleta che è in noi. Ci accompagna nell'allenamento quotidiano a correre (verso una meta), a offrire i pesi che solleviamo, a dare un senso agli ostacoli che saltiamo. E via dicendo. Lo sport è l'ombra terrena della sfida di ogni anima a guadagnarsi il Paradiso.

E forse è questo il senso delle lettere che ogni giorno Don Gionatan scrive e pubblica sull'agenzia Sir, rivolgendosi a un diverso atleta olimpico azzurro. Ha scritto anche a Benedetta, offrendo a tutti noi l'occasione di ricapitolare ogni nostra esperienza alla luce del seme fecondo che è il fallimento:

Non i trofei, ma le sconfitte concimano la terra della nostra vita. Ma perché? Non sarebbe meglio il contrario? Magari una memoria dotata di una funzione cancella-figuracce&errori e un 'serbatorio' in grado di preservare a lungo l'ebbrezza dei trionfi, come quello dei contadini che raccolgono la benedetta acqua piovana. Ci hanno provato i commentatori dei giornali a balbettare qualcosa sul valore dei fallimenti. E pare un po' come il circolo vizioso di un cane che si morde la coda: ora hai sbagliato - fanne tesoro - poi vincerai.

E' qui che occorre lasciare a De Coubertin quel che suo, e poi dare a Cristo quel che è di Cristo. L'unica voce della storia che ha puntato sulla sconfitta a prescindere da ogni possibile o impossibile trionfo futuro è stato Gesù.

Di Benedetta Pilato tutti dicono che ha un sorriso disarmante. C'è un segreto - deposto alla luce del sole - affinché possa mantenerlo senza che sia una maschera a favore di telecamera.

Il sorriso nasce da un'anima a terra, perché è lì che si pianta la gioia. Tutto per noi si gioca nel momento in cui ci chiediamo su cosa si fonda il nostro valore. E - disse egregiamente Chesterton - sono in tanti a misurarci solo sul nostro meglio. Quanto è il meglio di noi? Vogliamo essere generosi e dire che è il 10%? D'accordo.

Ecco, la gioia nasce quando veniamo stupiti da Qualcuno che ci considera presenze irrinunciabili proprio per il rimanente 90%, vale a dire il nostro buono, discreto, sufficiente, insufficiente e gravemente insufficiente. Il fallimento è davvero il momento della gioia, perché può essere il momento di una verità che smettiamo di rimandare. Quella di chiedersi: chi mi guarda tutto intero? Chi ama i miei record peggiori, le cadute?

Girando il mondo e la storia in lungo e in largo, c'è solo un posto e una sola Presenza capace di questo sguardo: Gesù in Croce. Lì c'è il seme di ogni sorriso, perché c'è un compagno che punta in alto dal basso dell'abiezione più atroce. Sorride davvero chi sta a terra e sa che anche così sfatto è un'anima preziosa. A nessuno basta sperare che domani vinceremo, vogliamo gioire sapendo che siamo degni del podio eterno senza nessuna medaglia.