Esistono tre versioni bibliche del Decalogo, ma nessuna di loro contiene una lista di 10 elementi, tantomeno di “comandamenti”
Trovare i 10 comandamenti elencati in modo chiaro nella Bibbia è un compito difficile, se non impossibile, non perché siano cripticamente nascosti in qualche passo facile da trascurare, ma piuttosto perché ce ne sono tre versioni diverse. Una si trova nell’Esodo (20, 2-17), la seconda nel Deuteronomio (5, 6-21) e la terza nel Levitico (19).
A complicare le cose, tutte e tre sono organizzate ed esposte in modo piuttosto diverso. Trarne una lista chiara di 10 elementi è una questione delicata che richiede capacità ermeneutiche ed editoriali eccezionali.
È superfluo dire che in base al fatto che chi legge sia ebreo o cristiano (e ancor più in base al tipo di cristiano che è), questi “comandamenti” saranno numerati (ed espressi, interpretati e organizzati) in modo diverso. I Cattolici, ad esempio, ritengono che il primo comandamento implichi il fatto di non avere altri dèi né “idoli”. I Luterani sono d’accordo, ma altri Protestanti scindono questo comandamento in due parti, con la questione degli idoli che costituisce un comandamento in sé.

Le prime due versioni del Decalogo (Esodo e Deuteronomio) sono quelle con cui i lettori moderni hanno più familiarità. Parlando in senso ampio, sono relativamente simili, ma ciò non vuol dire che non differiscano l’una dall’altra su aspetti importanti. Nel Libro dell’Esodo, ad esempio, il comandamento dello Shabbat è relativamente “intellettuale” o “spirituale”. Nel Deuteronomio, è chiaramente più “fisico”. Il testo originale dell’Esodo dice “ricordare” (zkr, in Ebraico), mentre nel Deuteronomio si parla di “tenere” o “preservare attivamente” (shmr).
C’è sicuramente un aspetto pratico, “fisico”, da ricordare. Una persona ricorda facendo attivamente cose che aiutano a preservare un ricordo, ma la differenza “fisica” tra un testo e l’altro sembra più radicale quando andiamo avanti nella lettura. Nell’Esodo, la giustificazione per lo Shabbat è la storia della creazione in sette giorni: “Poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato”. Anche se chi legge è disposto ad accettare che un Dio onnipotente potrebbe aver bisogno di un po’ di riposo dopo aver creato l’universo, riferirsi a un “Dio stanco” potrebbe sembrare troppo. Come può il lettore misurare il grado di stanchezza di Dio? Come immaginare il “giorno libero” di Dio? Come possiamo imitare il Suo riposo? E inoltre, come intendere questo riposo, considerando che la Genesi non è pensata per essere analizzata in modo letterale? Come c’era da aspettarsi, le tradizioni rabbiniche (e cristiane) differiscono molto su questi aspetti.
Il Deuteronomio, dall’altro lato, si concentra su un aspetto particolare tratto dalla narrativa dell’esodo, la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto il faraone: “ Ricòrdati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso”. Preservare attivamente nella memoria la severità e la crudeltà di un lavoro schiavo sembra aggiungere un orizzonte molto diverso (più immediato, meno “metafisico”) al comandamento.