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Chiamati per nome, proprio come quei dodici

NOME
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Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 07/07/21
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La vera grandezza della chiamata a essere suoi discepoli è nello stare dove siamo. Non nel cercare un cristianesimo che "mi fa stare bene", ma che curi e liberi chi Dio ci ha messo accanto.

In quel tempo, chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello,
Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo,
Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì.
Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani;
rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele.
E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.» (Mt 10, 1-7)

Ogni cristiano può e deve considerarsi discepolo di Gesù. Ogni cristiano può considerarsi depositario di questo “potere” che egli dà di liberare e curare. Il cristianesimo non è un beneficio individualistico che “mi fa stare bene”, il cristianesimo è un bene che entrando nella mia vita fa bene soprattutto a chi mi sta intorno, a chi incontro, a chi mi è affidato in qualche modo. È un dettaglio che non dovremmo mai dimenticare.

E accanto a questo non dobbiamo nemmeno dimenticare che questa chiamata non coinvolge anonimamente dei soldati per impiegarli alla grande causa del regno, ma chiama per nome ognuno, con la propria storia, la propria speranza, i propri difetti. Ecco perché il Vangelo indugia nel dirci i nomi di tutti gli apostoli. Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro:

Infatti non c’è terra di missione più bisognosa e difficile se non quella di chi ci sta vicino. I lontani ci allettano di più, ma è con i vicini che innanzitutto abbiamo una responsabilità. È innanzitutto a loro che Gesù ci manda, e ci chiede di predicare soprattutto una vicinanza più che una teoria.

La predica che i vicini ascoltano è fatta di prossimità non di parole. Possiamo far giungere loro la buona notizia del Vangelo soprattutto cercando di esserci nella loro vita. Esserci non per risolvere tutti i problemi, ma esserci perché non sperimentino l’inferno di sentirsi soli davanti a ciò che conta.

Un cristianesimo rinchiuso in sagrestia o in forme di vita staccate dal mondo sono la perversione del Vangelo. Persino il più austero monaco o monaca di clausura scelgono quella via per essere più dentro la storia e gli altri e non per esserne tagliati fuori.