Mi stupisco sempre della nostra capacità di fare pelo e contro pelo alle storie degli altri. Di concentrarci sulla "pagliuzza", direbbe qualcuno, anzi, di non lasciarcene sfuggire nemmeno una, così, per sbaglio. Le nostre vite non sono perfette, di certo nemmeno quella di Raffaella Carrà, venuta a mancare ieri pomeriggio, dopo una breve malattia.
Raffaella voleva intervistare papa Francesco, Raffaella faceva vedere l'ombelico in diretta TV, Raffaella pregava tanto anche "per le persone che non conosco", aveva un rapporto "molto emiliano" coi preti (come ha raccontato a Famiglia Cristiana) e una spiritualità un po' sua che però la riportava sempre a quel qualcosa di altro (e alto). Era orgogliosa di aver intervistato Madre Teresa di Calcutta, ma continuava a cantare il suo "tuca tuca" e a voler liberare le donne dai tabù.
Il fatto è che la nostra ricerca di Dio, di un senso, non è sempre lineare e semplice. I nostri percorsi non sono sempre uguali (che di "uguale" negli anni, c'è solo il caschetto della Carrà).
Questo Lui lo aveva previsto e invece di inchiodarci ai nostri errori e alla nostra condanna, ha preferito farsi inchiodare per primo così che potessimo lasciare agli altri, anche a una Raffaella spesso distante anni luce dai nostri valori e dalle nostre battaglie, almeno il beneficio del dubbio fino alla fine. O forse, sarebbe meglio dire, della salvezza.
E poi, trovatemelo voi su questa terra uno "che problemi non ha", tanto per dirla con le parole della Carrà.
Mi piace concentrarmi sul fatto che "un raggio di luce possa squarciare molte tenebre" (attenzione, non è una frase di San Francesco, ripeto, non è una frase di San Francesco) e che tutti, ma proprio tutti, una volta sperimentata quella luce, anche solo di sfuggita (mica dico come quando alle 18 col sole altezza cruscotto, sei in auto senza occhiali), riusciremo pure contro ogni aspettativa, a scegliere la sua bellezza, a riconoscerla. E questo lo auguro, prima che a Raffaella, alla me stessa insipida e incoerente di tutti i giorni.
Raffaella Carrà è stata l'icona dell'emancipazione sessuale, soprattutto femminile. Da "l'importante è farlo sempre con chi hai voglia tu" a "il mio corpo è una moquette dove tu ti addormenterai" (e lo so, che le state leggendo cantando!), il succo è sempre stato quello di portare avanti un amore libero e senza tabù. Eppure, quando si è trattato di scegliere su qualcosa che molti metterebbero nella categoria "my body, my choice", "autodeterminazione", "vale tutto se lo vuoi", lei stessa dichiarava:
L’unico traguardo che è mancato a Raffaella è stata la maternità “di pancia” che la showgirl, come sembra da queste parole, non si è mai arrogata come diritto, desiderio legittimo o necessario per essere completa o felice. Forse, l’amore libero e sfrenato, quando è solo fatto di corpo e in modalità “godi e getta” non è la chiave per la felicità, almeno dal mio punto di vista, e forse, anche Raffaella avrà pagato in parte il prezzo di questa libertà, eppure non ha mai avuto dubbi quando in gioco c’era la libertà di qualcun altro. Perché forse, non è l'amore che dobbiamo liberare, ma è l'amore che ci libera.
Raffaella è mamma di quasi 130 mila piccoli grazie alla adozioni a distanza promosse anche col suo programma televisivo “Amore”, andato in onda su Rai 1.
Ci possiamo soffermare sulle affermazioni discutibili, sull’abbigliamento succinto, sulle dichiarazioni a favore di questo o quello, sulla fede più o meno profonda. Oppure possiamo soffermarci sulla luce. Su quei piccoli frammenti di luce che attraversano la vita di ognuno di noi e che, se li lasciamo riflettere come in un gioco di specchi, possono guidare qualcun altro. Spero davvero che Raffaella abbia incontrato quella luce, lei, abituata a stare sotto i riflettori, a illuminare con il suo sorriso e le paillette, spero che abbia incontrato quell’amore liberante e totale che le abbia fatto dire “scoppia, scoppia, mi scoppia il cuor!”.