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Victoria’s Secret: dagli Angeli al “collettivo” di donne di successo?

CURVY

Di Dmitry Lobanov|Shutterstock

Giovanna Binci - pubblicato il 06/07/21

Gli angeli dello storico brand di lingerie vengono sostituiti da un "collective" di donne dove non conta più la taglia: evviva la normalità, benvenute donne di ogni forma e colore, basta che non sia solo la solita storia di #femalewashing.

Quella volta che ho messo su Facebook la frase “sono un angelo di Victoria’s Secret, ma è talmente un segreto che nemmeno Victoria lo sa”, non pensavo davvero che un giorno, proprio lei, si sarebbe accorta di me, delle mie smagliature fotogeniche e del mio potenziale nel mondo beauty. Ebbene sì, gli angeli di Victoria diventano “collective” e siamo tutte un po’ più cool.

Poi poco importa che io calzi sempre la mia 46 e in comune con Lindsay Ellingson abbia solo la “i” come seconda lettera del nome (le somiglianze che contano). Proprio Victoria ha deciso che gli angeli devono finalmente darci dentro col cioccolato (era ora!) e che la lingerie di pizzo coi rotolini è (testuali parole) “la morte sua”.

Gli angeli di Victoria diventano “collective”

Le storiche ragazze immagine del brand di underwear conosciuto in tutto il mondo per…(…le sue ragazze immagine?) hanno appeso le ali al chiodo.

Sono state sostituite da un più sobrio (e molto più “liceo classico nel ’68”) “collettivo” di donne scelte non per le gambe o la taglia di seno, ma l’impegno sociale, i risultati lavorativi, la vita “inspiring”.

Tutto molto bello, a parole almeno, ma essere “normali” a livelli tipo tenere la contabilità part time o fare solo le madri di famiglia non credo sia ancora l’ultimo grido (speriamo di lavorarci).

Se avere lo stacco di coscia di Naomi (Campbell) era fuori portata, non è che nella calciatrice e attivista per i diritti LGBTQ+, Megan Rapinoe, nell’attrice e imprenditrice indiana Priyanka Chopra, nella fotografa e fondatrice della piattaforma digitale per donne #Girlgaze, Amanda de Cadenet e nella sciatrice freestyle cinese-americana di 17 anni Eileen Gu, io mi ci riveda poi molto.

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Definisci “normale”

Gli angeli di Victoria diventano “collective”, ma io non ero all’altezza prima (la soglia era 1.75 mt, mi pare) e non sono all’altezza nemmeno ora. Le persone “normali” esisteranno sempre e se la moda lo comanda va bene anche metterle nella homepage del sito, con le loro forme curvy, le lentiggini e tutto il resto. Non facciamoci ingannare, però: da qui a fare immagine siamo lontane come la circonferenza della mia coscia con quella di Claudia Schiffer. La normalità non vende di questi tempi se non è corredata da una bella dose di hashtag #bodypositive e K su Instagram. Insomma, tutto quasi come prima: è il marketing, baby, e non c’è nulla di nuovo sotto il sole se non qualche chilo in più.

Victoria ha ancora i suoi “segreti”

Se c’è un segreto che molti brand del fashion system (compresa Victoria) sanno tenere ancora ben nascosto e lontano dai riflettori, mentre ci tengono buone con collettivi vari e femminismo da quattro soldi per farci sentire meglio quando spenderemo i prossimi risparmi in un completino sexy, è che le donne sì, sono tutte uguali e belle e pure con delle aspirazioni, ma solo in certe parti del mondo

Le stesse dove c’è da incassare, di solito.

Alcune donne sono ancora “più belle” di altre

Aspetterei solo un attimo prima di tirare fuori le ali dal vostro armadio da abbinare al push up tutto laccetti in vita a suon di “era ora”, ” la bellezza non esiste”, “siamo anche un cervello” almeno fin quando Victoria non si decida a pagare lo stipendio alle lavoratrici thailandesi per esempio, che lo attendono da mesi o smetta di far lavorare le donne in condizioni disumane come denunciano da molto tempo le associazioni di moda etica. Queste donne siamo noi, in fondo: niente di inspiring magari, vite poco popolari, un lavoro silenzioso tutti i giorni, poco cool e con pochi traguardi, pancia, fianchi larghi e tutto il resto e in più, sono nate nella parte sbagliata del mondo.

Angeli o “collective”, tutte dovremmo avere le stesse ali

Non è realistico, nè sano creare un unico canone di bellezza. Nessuno può farci sentire meno di ciò che siamo per una taglia sull’etichetta dei pantaloni. Non dovrebbero esserci angeli che mangiano insalata e demoni che sguazzano nel cioccolato e non dovremmo permettere a nessuno di valutare il nostro corpo per meno di ciò che davvero è: sacro.

Qualunque sia la taglia, il colore, la forma. Sono felice che la moda se ne stia accorgendo e ci dia gli strumenti per valorizzarci, sono la prima a sostenere che un paio di tacchi possono svoltare la giornata “no” in ufficio, che dopo una settimana di t-shirt coi rigurgiti entrare in un mini dress di pizzo ti fa sentire Bar Rafaeli a prescindere. Però questa mission, questo “female washing” a cui stiamo assistendo vorrei non fosse solo marketing. Vorrei che non valesse solo per la parte “bella” del mondo. Gli angeli diventano “collective”, ma io spero ancora che Victoria dia a tutte lo stesso paio di ali indipendentemente dalla capacità di acquisto, da quanto la nostra vita risulti cool e instagrammabile o da quanto lo sia il nostro stacco di coscia.

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