Vedovo da quattro anni e padre di quattro figli dagli 11 ai 5 anni, François-Paul Fardin è stato profondamente segnato dalla forza e dalla fede di cui ha dato prova la moglie Céline quando è stata colpita da un cancro. Oggi rende testimonianza di quel che ha «percepito di quanto accadeva nel suo cuore, di quel che ha dato agli altri e anche dei segni da parte del Signore». Era incinta quando ha appreso della sua malattia, ha vissuto un calvario personale durato quattordici mesi – 14 come il numero delle stazioni! – durante i quali ha associato il suo dolore a quello di Cristo.
Energica e combattiva, in particolare durante la malattia, la giovane madre di famiglia aveva delle fragilità di cui era pienamente coscienza, «ma aveva deciso di andare avanti con quei pesi e di ripartire dopo ogni caduta».
Era umana anche lei: anzitutto nelle sue tristezze, quando pensava alla morte. Perché soffriva della sua dipendenza e della sua malattia – è difficile ritrovarsi privi dell’uso di parola quando si è logopedisti! – e perché talvolta veniva esasperata fino alla collera dalle incertezze mediche, dalle imprecisioni del marito o da quello che manda in bestia tutti, come «i ritardi postali». Cécile aveva anche preoccupazioni da madre di famiglia scrupolosa di governare la casa anche per il tempo in cui non ci sarebbe più stata. Pensava spesso al “dopo”, e in particolare consigliava a François-Paul di assumere una ragazza che l’aiutasse coi bambini durante le vacanze. Ha pensato pure a registrare i suoi racconti sui parti dei bambini.
Il pensiero sempre rivolto agli altri – discreto ma efficace – Cécile dava prova di grande carità: si mostrava pronta ad ascoltare le intenzioni e le difficoltà degli amici. Annotava le intenzioni di preghiera che poi portava nella preghiera personale, in quella di coppia o in quella del gruppo delle mamme. Anche quando era sfinita riusciva a trovare l’energia per farsi prossima agli altri, per ascoltare e per confortare.
Cécile aveva un quaderno su cui prendeva appunti. Nel febbraio 2016 scrisse una frase di san Paolo: «Niente ci separerà mai dall’amore di Cristo» (Rom 8,39). Quando era in buona salute si lamentava di non pregare abbastanza e di non leggere più autori spirituali. «Il tempo che la malattia le ha lasciato le ha permesso di tornare a leggere e a pregare», riporta il marito. «La preghiera era la sua arma principale, nella lotta: abbiamo fatto della preghiera del beato Charles de Foucauld la nostra preghiera coniugale», ha raccontato François-Paul. Poche settimane prima di morire, il dolore divenne incontenibile e il marito volle portarla in ospedale: «Non serve a niente – disse la moglie, che dall’estate pregava il rosario tutti i giorni –: bisogna pregare».
In quel periodo, Cécile ha largamente attinto ai sacramenti: la Confessione regolare la rese lieve e gioiosa; l’Unzione degli infermi – che ha ricevuto più volte – e l’Eucaristia.
Che fosse in parrocchia, a casa, in pellegrinaggio o davanti alla televisione, a ogni messa si rinnovava la sua forza: «Era una cosa chiarissima, la trovavo appagata, fiduciosa e risoluta», testimonia François-Paul, a cui lei chiedeva di farle dire delle messe perché «non si trascinasse troppo in purgatorio».
Malgrado la malattia, la coppia continuava a dar prova di grande tenerezza. Quattro giorni prima della morte, si scambiarono un ultimo “arrivederci”:
«Il fiore che ho visto sbocciare – racconta il giovane vedovo – è una ferma speranza, l’abbandono o la fiducia che l’accompagna». Il detto di Cristo “a ogni giorno basta la sua pena” ha sollevato molto Cécile, ricordandole che siamo fra le mani di Dio.
Con la speranza cresce poi anche la comunione dei Santi: la coppia pregava allora i santi patroni della famiglia – santa Thérèse e i suoi genitori, i coniugi Martin, san Giovanni Paolo II, padre Pio, Madre Teresa, Chiara Corbella Petrillo…
Così François-Paul e Cécile hanno appreso «la vita attiva del Cielo». Uno dei momenti che ha più segnato il giovane papà fu la visione di Giovanni Paolo II e di santa Thérèse che Cécile ha avuto una notte. Un evento confermato da quanti l’avevano in cura, i quali l’hanno sentita parlare come se si rivolgesse a qualcuno. La cosa più sconvolgente è stata poi l’ultimo respiro di Cécile: recitando insieme la preghiera di abbandono di Charles de Foucauld, si è spenta dolcemente sull’“amen”.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]