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Come accompagnare meglio un malato alla fine della sua vita

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Lithiumphoto | Shutterstock

Catholic Link - pubblicato il 01/07/21

Una proposta per orientare chi accompagna i malati nella fase finale della loro vita

di Alvaro Díaz

Qualche giorno fa stavo cercando del materiale collegato alle cure palliative, visto che è il settore su cui ho concentrato il mio lavoro come medico e mi interessa avere strumenti da poter utilizzare nella docenza a futuri medici.

Ho trovato una riflessione interessante sviluppata dal medico spagnolo Jacinto Bátiz, esperto di cure palliative, chiamata “Decalogo per morire bene” – una proposta per orientare chi accompagna i malati nella fase finale della loro vita.

Vorrei condividere con voi i punti del decalogo con alcuni commenti aggiuntivi, sperando che possano essere utili se si vivrà l’esperienza di stare vicini a una persona in questa tappa della sua esistenza.

1. Trattami come un essere umano fino al momento della mia morte

Questo punto, il modo di avvicinarci a chi è vunerabile nei momenti finali della sua vita, è la base di tutto.

Anche se per la condizione di salute fisica si evidenziano i limiti, la diminuzione delle capacità e la dipendenza dagli altri, la persona malata non ha meno valore.

La sua dignità resta intatta, perché continua ad essere un essere umano non solo nella sua realtà fisica e biologica, ma anche in quella psicologica e spirituale.

2. Permettimi di esprimere i miei sentimenti e le mie emozioni sulla morte

Spesso accade che non si parli al malato della morte. Non si affronta la questione credendo che sia qualcosa di negativo, che incute paura, che sarà motivo di maggiore sofferenza, e che possa provocare depressione o enorme tristezza.

E così la persona deve tacere e tenersi le sue idee, le sue aspettative, i timori, i desideri, ecc.. Quanto vorrebbe quella persona essere ascoltata, compresa e accompagnata nella sua esperienza!

3. Permettimi di partecipare, fin dove posso, alle decisioni relative alle mie cure

Considerando la sua dignità e il suo valore, la persona conta fino al suo ultimo istante di vita. La libertà umana non è solo un diritto, ma anche un dono della nostra natura.

Essere liberi è la capacità non solo di fare ciò che si vuole, ma anche di poter prendere decisioni senza condizionamenti una volta consapevoli della realtà.

Ad esempio, sapere che di fronte alla malattia non c’è possibilità di cure. Aiutare una persona nei momenti di fragilità significa permetterle di esprimere quali sono le sue preferenze a livello di cure, come vorrebbe vivere il tempo che le resta.

Non si tratta, come accade in genere, di far sì che a scegliere per la persona siano altri, medici o familiari, che con la buona intenzione di aiutare finiscono per assumere le opinioni e i desideri del malato, spesso senza essere in sintonia con il parere del paziente.

4. Non lasciatemi morire da solo, senza i miei cari

Un degli escenari ideali per una morte in pace e tranquilla è quello che permette la vicinanza della famiglie, delle persone più care.

Questo allevia sicuramente molto le sofferenze derivanti dalla malattia, come il fatto di sentirsi soli, angosciati o pieni di incertezze.

Non è lo stesso percorrere sentieri complessi da soli o in compagnia di chi può alleviare il nostro peso.

La morte nelle stanze d’ospedale o nei reparti di terapia intensiva non è sempre auspicabile, vista la difficoltà di far sì che la persona possa essere circondata dalle persone più care.

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5. Rispondete alle mie domande con sincerità, non ingannatemi

Si crede che non raccontare tutta la verità riguardo alla malattia e alla prognosi possa evitare sofferenza, ma volendo “aiutare” in questo modo si può invece provocare un dolore maggiore, perché le persone sentono che le loro condizioni di salute non migliorano e si frustrano perché non capiscano cosa stia accadendo.

La verità, anche se a volte può essere difficile da assimilare, è sempre un passo per essere più liberi. La menzogna, o semplicemente il fatto di nascondere le cose, è quello che porta più dolore.

6. Rispettate la mia individualità e non giudicatemi per i miei pensieri o le mie decisioni

Non tutti la pensiamo allo stesso modo o abbiamo avuto le stesse esperienze di vita, e le differenze non sono sempre negative.

Ci sono aspetti oggettivi circa i quali non è possibile elaborare ciascuno la propria verità, ma in questa fase della vita è importante considerare l’individualità e mostrare rispetto per i desideri, le aspettative e le preferenze sul modo in cui vivere il tratto finale della vita.

7. Le persone che si prendono cura di me siano capaci e sensibili

Le loro vocazione sia quella di aiutare le persone ad affrontare la morte. Per prendersi cura della gente in quei momenti non serve solo la scienza.

Servono valori come la compassione, la capacità di servizio, il sacrificio, saper comprendere la sofferenza dell’altro e la capacità di accompagnare e ascoltare.

8. Chi mi cura alla fine della mia vita lo faccia come vorrebbe che curassero lui quando arriverà la sua ora

La misura è l’amore, sotto la massima di trattare l’altro come si vorrebbe essere trattati, di amare come si vorrebbe essere amati, di donare con grande generosità.

Questo può essere un buon criterio per discernere come agire, con la misura dell’amore misericordioso.

9. Non affrettate deliberatamente la mia morte, ma non prolungate neanche la mia vita in modo superfluo

Mi aiutino a non soffrire quando arriva la morte. Una delle premesse delle cure palliative è che ribadiscono il valore della vita e rispettano il ciclo naturale della vita e della morte.

La loro pratica si distanzia da quella che è nota come eutanasia, che consiste nell’accelerare la morte, e dall’accanimento terapeutico, cioè il tentativo di prolungare la vita a costo di una maggiore sofferenza.

Chi si prende cura di un malato e lo accompagna deve comprendere che questi due atteggiamenti, che si allontanano dalla natura della vita, comportano entrambi più dolore.

Si tratta di offrire sollievo al dolore e alla sofferenza, non di finire per giustificare qualsiasi mezzo per eliminarli.

10. Assistete i miei cari dopo la mia morte per alleviare il loro dolore

Uno degli aspetti preziosi della medicina palliativa è che offre sollievo dalla sofferenza anche alle persone vicine al malato, come i familiari e chi se ne prende cura.

Ciò si realizza mentre la persona malata è in vita, e dopo la morte si continua a vegliare perché l’esperienza del lutto possa essere in qualche modo alleviata.

Non vuol dire che quelle persone non soffriranno o non proveranno dolore, ma che la loro situazione sarà meno “tortuosa” e potranno affrontarla con più forza e speranza.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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