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Monica è sicura: “Dio si è servito della mia tossicodipendenza per donarmi la Sua grazia”

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Paola Belletti - pubblicato il 30/06/21

Monica ha un passato segnato dalla tossicodipendenza da cui è uscita grazie a Madre Elvira della Comunità Cenacolo. E' moglie e mamma di due bambini, vive vicino Ancona ma è originaria di Napoli. Affetta da una patologia rarissima che "sceglie" solo le donne, una su un milione, e attualmente senza cura, la linfangioleiomiomatosi, testimonia una fede tenace e una consapevolezza del valore della vita di cui dovremmo farci dare la ricetta; che non è la malattia.


Ho avuto modo di leggere la storia di Monica prima solo tratteggiata in una sua email e poi nel libro che ha pubblicato per i tipi di San Paolo.

L’ho gustato una pagina dietro l’altra con crescente interesse e stupore perché è una storia carica di senso, segnata dal mistero della sofferenza e abitata dalla presenza di Cristo.

Certo ci sono gli ingredienti tipici che ad un bravo narratore basterebbero per farne un romanzo di successo: separazioni e ricongiungimenti in quella che potrebbe essere furbescamente presentata come una saga familiare, cadute e piccoli trionfi, incontri che sembrano innocui e invece diventano porte per gli inferi della tossicodipendenza. Una trama fitta, la vita di Monica.

Ma il punto vero è altrove; le salite e le cadute, gli incontri apparentemente infausti come quelli provvidenziali, non sono altro che un passo del serrato corteggiamento di Dio nei confronti della sua creatura.

Monica racconta, senza fronzoli ma con obbedienza alla realtà dei fatti, di come ha imparato a leggere questi segni fino a fare della sua vita una conversione continua e una progressiva consegna alla volontà buona di Dio.Buona anche quando è dura.

Viva ogni giorno, è il titolo del suo libro autobiografico. Espressione enigmatica e autentica, che centra il significato delle vicende che vive. La malattia rara e a tutt’oggi inguaribile da cui si è scoperta affetta ormai 7 anni fa le ha insegnato ancor più di altri capitoli della sua esistenza la verità sulla vita: un presente donato istante per istante dal Creatore con destinazione l’eterno.

La malattia, anziché mortificare la dignità umana, nella dinamica paradossale tipica del cristianesimo, in qualche modo la moltiplica, spogliandola di inutili orpelli e mostrandola per quello che è: una fragilità preziosa e benefica, se offerta insieme a quella di Chi ha l’assoluto primato del patire per salvare.

Buongiorno cara Monica e grazie di averci permesso di incontrare la tua storia. Provo a farti qualche domanda per far almeno intuire la ricchezza di vita nella quale ci si imbatte leggendola. Cosa ha reso e rende piena di senso la tua vita ? Perché ogni atto, ogni passaggio e ogni incontro di cui parli nel libro, Viva ogni giorno, sembrano letti come capitoli di una storia che è certamente drammatica ma è pur sempre una storia d’amore. È così?

Gesù è il centro della mia vita. Con Lui fiorisco ogni giorno. In Lui io vivo, cammino, respiro, riposo, amo, gioisco, piango, perdono, ed è sempre festa…Da quando ho incontrato Gesù tutto è cambiato nella mia vita. Spesso mi chiedo come ho fatto in passato a vivere e respirare lontano da Lui (e fa riflettere questa notazione perché la malattia che colpisce Monica è proprio polmonare e si traduce in una continua fame d’aria e affanno respiratorio, Ndr). Posso testimoniare quanto sono verissime le sue parole: senza di me non potete fare nulla! E’ il suo amore per me, che avverto ogni giorno, a dare un senso alla mia vita e a renderla piena, altrimenti potrei considerarmi soltanto un peso per chi mi sta vicino e per la società. 

La mia storia, i miei racconti, descrivono vicissitudini spesso drammatiche per chi le vive; è facile trovarne di simili nei vissuti di tante persone che, come me, soffrono da tempo ma non è raro che proprio in questi drammi si trovi quel fiume d’amore che ti rende migliore, che ti trasforma un poco alla volta facendoti accogliere la volontà di Dio.

La caduta nella tossicodipendenza: ad un certo punto del tuo libro ne parli, senza morbosità alcuna, ma come occasione di grazia. Lo è stata? Bisognava che passassi da quell’inferno per riscoprire la bellezza di essere figlia di Dio?

Senza alcun dubbio la mia tossicodipendenza è stato lo strumento del quale Dio si è servito per donarmi la sua grazia. Ero a pezzi sia fisicamente che mentalmente, al punto che non sapevo più chi fossi e cosa volessi da questa vita. Chi usa stupefacenti sa bene come si ci riduce.

Il solo ragionare diventa alterato, falsato, spesso anche azzerato; nei pochi momenti di lucidità desideri solo farla finita ma in realtà è un grido di aiuto perché, al contrario, vorresti vivere normalmente e porre fine a quello strazio che ti porti nel cuore.

Quando cadi e poi ricadi ancora fino a toccare il fondo, poi comprendi che sei un fallito e che da solo non ce la farai mai… Ecco, quello è il momento giusto.

È nella stanchezza, nella debolezza, nello sfinimento, nella resa, che Dio si fa largo fino ad arrivare al tuo cuore ferito per fasciarlo e curarlo…Con me è stato esattamente così. Dio non ha esitato un solo istante per venirmi a salvare. Lo ha fatto e continua a farlo per amore, perché ci ama tantissimo…

C’è un luogo, ci sono dei volti in particolare, che hanno “tradotto” questo abbraccio di Dio

La Comunità Cenacolo è come le braccia di Dio; ci accoglie con amore, ci risana, ci purifica, ci abbraccia ogni giorno restituendoci pian piano la gioia di vivere e quella dignità persa. Lì ho imparato il rispetto delle regole, il saper apprezzare il sacrificio comune, servire ed aiutare il più bisognoso e, ovviamente, ho sperimentato la bontà di tanti altri coetanei.

Tutti noi eravamo in cerca di una guarigione fisica e interiore e la Comunità ci ha offerto la possibilità di ricominciare bene.

Dovevi per forza passare da quella strettoia?

Non potremmo mai sapere se conducendo una vita “normale” avrei acquisito la sensibilità e l’amore verso Dio che ora ho. Le Sue scelte, i Suoi disegni, le Sue soluzioni sono incomprensibili per noi e possiamo solo immaginare che qualunque esse siano derivano da un grande atto di amore. 

Raccontaci allora qualcosa di più sul tuo incontro con Suor Elvira e il valore del suo carisma nella tua vita. 

Cercare di trovare le parole per poter descrivere la bellezza, soprattutto interiore, di Madre Elvira è davvero difficile per me. Lei è piena di doni…Il solo suo abbraccio ha una forza che guarisce, rigenera, trasforma… Basta uno sguardo per sentirti amato fino in fondo, così come sei senza mettere più maschere, senza la paura di essere giudicato…

Quando sei davanti a lei il cuore prende a battere forte e la pace già scende dentro di te. Elvira è  madre, una madre che abbraccia i suoi figli accettandoli con tutte le loro povertà e miserie; non giudica ma ama, ama infinitamente e si dona con tutta la forza dello Spirito santo che è  in lei.

Entrando nella vocazione; c’è di sicuro un primo piano, la risposta alla prima vocazione alla vita, la chiamata d’amore di Dio; poi c’è quella di stato, legata al matrimonio e alla nascita e cura dei figli. Ci racconti un po’ questa dinamica tra le due?

La vocazione di ogni essere umano è amare. L’amore è la sola risposta alla vita, sempre… Questo lo sperimento tutti i giorni. La forma più sicura per ottenere l’amore, la gioia e la pace, è quella di metterci al servizio degli altri.
Il rapporto con la mia famiglia ho cercato di costruirlo “sulla roccia” mettendo Gesù al primo posto.

Mio marito è un uomo buono, paziente, anche se talvolta taciturno.  Non è  stato facile per lui dover accettare i miei cambiamenti e i miei limiti che, ovviamente, hanno condizionato anche la sua vita.

Ma tutto è grazia, perché credo che Dio gli abbia assegnato una preziosa missione: servire i poveri e i bisognosi. A volte mi diverto a prenderlo in giro, scherzando gli dico: non sai il dono che hai ricevuto nel servirmi e prenderti cura di me, un ammalato caro a Gesù. Bravo, perché ti stai guadagnando il Paradiso.

I miei due figli, Gabriele e Michela, li ho avviati alla preghiera fin da piccoli. Non ho mai nascosto le mie reali condizioni fisiche. Crescendo, oggi sono più consapevoli della realtà che vivono e che sperimentano ogni giorno, ma questo permetterà loro di avere spalle larghe per saper affrontare, in futuro, le problematiche della vita.

Cosa pensi guardando al loro futuro?

L’adolescenza per i giovanissimi non è un periodo facile, ed anche io, come genitore, mi ritrovo spesso a scontrarmi con i loro momenti ribelli; ne soffro anche ma, poi, con la consapevolezza che prima di essere miei figli sono figli di Dio, riprendo il ritmo lento delle mie giornate affidando tutto nelle Sue mani.

Dal tuo libro emerge un’idea chiara dei malati e degli ospedali come luogo privilegiato di incontro col Signore. È così? Guardi ai sofferenti come ad una specie di avanguardia estrema, messa sulla linea più importante, dove la vita è vicina alla sua verità.

Però non c’è traccia di compiacimento per la tua stessa malattia; non è la malattia in sé stessa ad essere una grazia, giusto?

 Essere ammalati e sopratutto coscienti di dover convivere con importanti danni fisici e funzionali che ti accompagneranno per tutta l’esistenza, più o meno lunga che sia, non fa piacere a nessuno! Si dice spesso che nasciamo per soffrire e per morire, ma mentre accettiamo l’inevitabilità della morte, le sofferenze del corpo, o dell’animo, vorremmo sempre evitarle. 

Le persone ammalate, specialmente quelle ospedalizzate, oltre che per il dolore fisico, soffrono per il distacco dai loro cari, dai loro interessi quotidiani, dalla società produttiva. Anche se per molte di loro si tratta solo di periodi brevi, è comunque una condizione nuova che pone a confronto con una inaspettata fragilità, una consapevolezza di totale dipendenza da altri, forse mai nemmeno immaginata.

E quando la malattia è talmente severa da compromettere la normale esistenza, quella consapevolezza diventa necessariamente parte di se stessi, tanto da divenire uno stile di vita.

 Sono occasioni nelle quali, forzatamente allontanati dalle frenesie quotidiane, è facile ritrovarsi nella preghiera comune, chiedere la benevolenza del Signore, aiutare e sostenere chi sta vicino. 

Si risveglia un senso cristiano forse un po’ sopito, si comprendono le sofferenze di Gesù, si fa tanta autocritica ben coscienti dall’essere lontanissimi dalle prove che Egli dovette subire.

La malattia, per tanti è lo start per una nuova vita, non necessariamente brillante, rumorosa, di successo.  Amata o odiata che sia, la malattia ci accompagnerà nel corpo e nella mente, a volte silente altre volte eclatante; pur applicando le cure della scienza, sta ad ogni singolo saperne cogliere i messaggi positivi che essa cela e ringraziare Dio per averci indotti in una dimensione più caritatevole. Con la malattia bisogna conviverci, possibilmente senza esserne sopraffatti. 

Il malato rappresenta in maniera perfetta la fragilità umana e deve essere di esempio ai tanti super eroi che ostentano potere e arroganza e dovrebbe essere un faro sempre acceso nelle pianificazioni politiche, economiche e gestionali.

Tra i tanti volti e storie che incroci nel tuo peregrinare per ospedali, prima per tuo figlio e poi soprattutto per te, c’è anche quello con il bimbo posseduto dal demonio. Ciò che emerge è che anche dalla lotta contro il maligno possono fiorire grazie impensabili.

Dio si serve anche del male per trarre sempre il bene. Ho assistito a tanti esorcismi e posso testimoniare che la mia fede (così come quella di tante altre persone) si è  rafforzata molto di più. Oggi purtroppo sono veramente in pochi a credere al diavolo, colui che, come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare.

Non dobbiamo mai abbassare la guardia a lui basta poco per sedurci: orgoglio, piaceri della carne, disonestà, falsità, soldi, potere, mancanza di perdono, rancore, mancanza di carità e di amore verso il prossimo, e la lista potrebbe allungarsi di molto …

 Il demonio non scherza, lui ci odia tanto perché siamo figli di Dio, destinati alla vita eterna quella che, invece lui, il diavolo, ha perso per sempre.

Al demonio poco importa possedere un corpo quando poi con il peccato siamo già sotto le sue grinfie…

Tre fallimenti e quattro tentativi prima di riuscire a portare a termine il tuo libro sono proprio tanti. Come li spieghi e cosa significano nel bilancio della avvenuta pubblicazione dell’opera?

Razionalmente, ripercorrendo i fatti accaduti, è facile addebitare la perdita dei testi ad una mia superficialità, al fato, forse alla mia inesperienza informatica o alla mia ingiustificata fiducia negli altri. E’ probabile, ma … 

 Se non si fossero verificati quei fatti, se non si fossero dilatati i tempi, non avrei maturato una migliore stesura del testo, non avrei vissuto esperienze importanti, non mi sarei confrontata con persone rilevatesi di grande sprono, non avrei potuto approfondire la forza di Dio.

Tante volte le modalità di intervento del Signore sono per noi poco comprensibili. Noi siamo alla ricerca di azioni rapide, risolutive, lineari; non sempre ci soffermiamo a valutare le alternative soft, oppure pesiamo le conseguenze, buone o cattive. Oggi, guardando ciò che ne venuto fuori, non posso che ringraziare Dio per tutte le avversità che ha permesso che mi capitassero e per aver reso questo libro un piccolissimo strumento di breve sollievo ai tanti sofferenti. 

Viva ogni giorno. La Comunità Cenacolo e l’opportunità di un cammino di risurrezione, il titolo, trovo sia un’espressione geniale e verissima che descrive la tua condizione di malata non guaribile ma dice la verità sull’esistenza di tutti. Puoi spiegare meglio cosa intendi?

Non è stato facile convenire a questo titolo. Per diversi giorni c’è stato un confronto serrato con pochi intimi e specialmente con l’editore. E’ vero, il titolo di un libro dovrebbe poter sintetizzare il mondo che viene raccontato o almeno ciò che si vorrebbe trasmettere ai lettori.

Il mio intento è sempre stato raccontare la mia vita per poter fornire uno spunto di riflessione ai tanti sofferenti sulla grandiosa opportunità data a tutti noi malati. Assaporare la quotidianità più banale, abbandonarsi nella serenità che Dio ci offre, condividere le proprie fragilità senza doverle nascondere agli altri, diffondere un pensiero di amore e di carità senza per questo trascurare di appartenere ad una società in crisi nonché essere vettori di una visione del malato più matura, più realistica, più accogliente, di esempio.

Il malato non è un santo, anzi: irascibilità, egoismo, invidia, gelosia sono sentimenti molto comuni in noi e forse sono anche giustificati, vive pesantemente le difficoltà ordinarie e straordinarie, spesso si lamenta invano, tante volte grida il suo dolore restando inascoltato.

Il malato ha molto tempo per riflettere e non sempre lo fa in modo positivo, allora può accadere che perde la speranza, che si abbatte, si abbandona a se stesso. Spero che qualcuno di essi si concentri sul fatto che è necessario vivere serenamente ogni giorno che Dio ci concede, e che ogni giorno può essere motivo di nuova vita, di nuova speranza, sostegno per se stessi e per gli altri, specialmente per i familiari vicini che sono spesso partecipi moralmente e materialmente in una battaglia molto estenuante.

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