In occasione dell'Anno di San Giuseppe, Papa Francesco ha ricordato più volte che il padre adottivo di Gesù è stato venerato da molti grandi santi, tra cui San Giovanni XXIII e il suo immediato successore, San Paolo VI.
La grande mistica del XVI secolo Santa Teresa d'Avila nutriva una venerazione speciale per San Giuseppe. Nel suo Libro della mia Vita, la riformatrice dell'Ordine Carmelitanao confida di aver chiesto varie volte l'aiuto dello sposo della Vergine Maria, e si riferisce ai frutti sorprendenti delle sue preghiere a San Giuseppe.
Santa Teresa credeva fermemente di dovere la sua guarigione fisica al padre putativo di Gesù. Quando, a 18 anni, entrò in un convento carmelitano ad Avila, la sua salute peggiorò rapidamente. La malattia era il risultato di pratiche ascetiche estenuanti che le provocarono paralisi e dolori insopportabili.
In varie occasioni, le suore del convento si pepararono alla sua morte. Un giorno, la giovane carmelitana non riusciva neanche a sollevare le palpebre. Le Carmelitane le chiusero gli occhi, pensando che non ci fosse ormai più speranza per lei, e che in qualche modo il suo corpo dovesse essere posto in una cassa. Con le sue ultime forze, Teresa decise allora di chiedere aiuto a San Giuseppe. Anni dopo scrisse:
“Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso S. Giuseppe, e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio Padre e Protettore mi aiutò nella necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi in cui era in gioco il mio onore e la salute della mia anima. Ho visto chiaramente che il suo aiuto mi fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare".
Per la sorpresa di tutti, Teresa guarì completamente. Per questo, da quel momento fino alla fine della sua vita, promosse la devozione a San Giuseppe in ogni luogo. Era convinta che l'intercessione del padre di Gesù avesse un carattere molto speciale, e lo spiegava nel suo libro autobiografico:
“Non mi ricordo finora di averlo mai pregato di una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che il Signore mi ha fatto e i pericoli di anima e di corpo da cui mi ha liberata per l’intercessione di questo Santo benedetto. Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso S. Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol farci intendere che a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, così anche in cielo fa tutto quello che gli chiede. Ciò han riconosciuto per esperienza anche altre persone che dietro mio consiglio si sono raccomandate al suo patrocinio. Molte altre si sono fatte da poco sue devote per aver sperimentato questa verità”.
Santa Teresa decise di preparare delle celebrazioni sontuose nel suo convento nella memoria liturgica di San Giuseppe – una festa grandiosa in un clima di allegria generale con perfino i fuochi d'artificio!
Solo tempo dopo la Carmelitana percepì che quel tipo di espressione di adorazione non è sufficiente. Molto più dei segni esterni di reverenza, è la trasformazione spirituale che conta. Ha scritto al riguardo:
“Procuravo di celebrarne la festa con la maggior possibile solennità. È vero che ci mettevo più vanità che spirito (...) Dio mi perdoni!”
Quali sono, allora, i frutti spirituali del fatto di ricorrere a San Giuseppe? Al di sopra di tutto, Teresa sottolinea l'efficacia della preghiera rivolta al protettore di Gesù. Non si tratta sempre del fatto di vedere esaudito un desiderio o una richiesta concreta, ma della consapevolezza emergente del bene che Gesù desidera per ciascuno. Spesso, questo bene è diverso da quello che era stato richiesto. Spiegava la Carmelitana:
“Per la grande esperienza che ho dei favori ottenuti da S. Giuseppe, vorrei che tutti si persuadessero ad essergli devoti. Non ho conosciuto persona che gli sia veramente devota e gli renda qualche particolare servizio senza far progressi in virtù. Egli aiuta moltissimo chi si raccomanda a lui. È già da vari anni che nel giorno della sua festa io gli chiedo qualche grazia, e sempre mi sono vista esaudita. Se la mia domanda non è tanto retta, egli la raddrizza per il mio maggior bene”.
In questo atteggiamento di Santa Teresa d'Avila si rivela quello che Papa Francesco definisce “realismo cristiano”, un consenso all'azione di Dio per liberarsi dalla paura di non ricevere i doni concreti che in un certo momento si possono considerare, spesso erroneamente, i più importanti. Il realismo cristiano non rifiuta nulla di ciò che esiste.
È stato San Giuseppe a insegnarlo a Teresa d'Avila: le richieste vengono ascoltate da Dio, anche se non sempre Egli ci offre ciò che ci sembra più giusto. Bisogna però affidarsi alla volontà di Dio con fiducia, il che spesso equivale a un consenso tacito a un amore che l'uomo non può sul momento comprendere pienamente.