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Riccardo Muti: «Sono stanco della vita». Ma il suo è un vero inno alla vita

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Roman Zach-Kiesling / APA-PictureDesk via AFP

Annalisa Teggi - pubblicato il 28/06/21

Un'intervista fiume del Maestro sulla soglia degli 80 anni. Dietro i titoli gridati dei giornali, le sue parole sono un inno alla vita vissuta per la musica, cioé con dedizione appassionata e a tu per tu con l'intuizione di Dio dentro le dissonanze del mondo.

Riccardo Muti, tutto declina …

A leggere quel che sta rimbalzando su tutte le testate sembrerebbe che il Maestro Riccardo Muti, 80 anni il prossimo 28 luglio, sia sul punto di chiedere una morte pietosa. Non che le sue parole all’inizio della lunga intervista concessa ad Alzo Cazzullo per il Corriere della Sera non siano chiare:

E mi sono stancato della vita […]. Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: ‘Tutto declina’.

da Corriere

Sono, però, parte di un contenuto che è proprio l’opposto del male di vivere o di una rassegnazione disperata.

… ma fioriscono le orchidee selvatiche

Naturalmente i titoli fanno il loro mestiere, spingono sull’acceleratore del sensazionalismo. Il cuore di ogni uomo ci è nascosto anche quando parla liberamente, ma capita che le parole dicano qualcosa di davvero sensazionale che sfugge, o guizza come il balzo veloce di un pesce a pelo d’acqua, e indica il sentiero di un pensiero più ampio e profondo … che nei pochi caratteri gridati dei titoli non ci sta.

Proprio nella frase prima di quella appena citata il Maestro Muti, stanco di vivere, esprime il desiderio di trascorrere gli ultimi anni di vista in un suo podere vicino al castello di Federico II,

dove a maggio tra gli ulivi fioriscono le orchidee selvatiche. Spero di passare in contemplazione del castello questi ultimi anni che mi restano.

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Fiorire e contemplare non sono i verbi di un pessimista amareggiato. L’occhio che ammira le orchidee selvatiche forse è proprio quello di un uomo che è pronto a fiorire in una vita nuova e a contemplare il Mistero dell’Essere oltre quella porta che è la morte. Quando si raggiunge una certa età, essere pronti al congedo da questa terra è un segno buono, di chi accoglie la propria mortalità senza una severa obiezione e disponibile a lasciare che qualcosa di nuovo sbocci.

Di cosa è stanco – davvero – Riccardo Muti?

Classe 1941, una carriera internazionale tra le più prestigiose al mondo, amatissimo come direttore d’orchestra anche tra il pubblico dei profani, perché Muti dovrebbe essere stanco di una vita che, anche nell’ambito privato, lo ha riempito di talenti e doni grandi?

A leggere bene le sue parole, quello che rende amaro il suo sguardo è constatare che il presente è molto lontano dal tempo giovanile in cui la sua vocazione musicale fu temprata e pervasa di entusiasmo. E’ stanco di un mondo in cui le relazioni assomigliano alle chiacchiere narcisistiche e caotiche dei talk show. Gli dà fastidio la disumanizzazione di vedere ovunque teste basse sui cellulari. Lo rattrista constatare che anche nell’ambito della musica prevale il puro desiderio dell’esibizione. E’ persino perplesso dal grande abbaglio culturale provocato dalla cancel culture:

Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista”: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima… . C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento.

Ibid.
ME TOO, PROTEST

Che dire? Siamo in molti a sentire questo scontento addosso. Ed è sacrosanto che un uomo che a breve compirà 80 anni dia il nome di ‘stanchezza’ a questa frattura profonda col mondo attuale. Non è la stanchezza apatica di chi non ha più una ragione di vita, ma di chi sente forte la nostalgia di un tempo non addomesticato da pensieri deboli e asfissianti:

Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato.

Ibid.

Un lockdown con Beethoven (e Dio)

In quello che, forse, è il passo più bello dell’intervista ci si trova di fronte a un paradosso meraviglioso. Il lettore che ha cominciato a leggere le parole del Maestro Muti immaginando una sfilza di lamentele e lugubri invettive si trova all’improvviso di fronte a una grande esuberanza di vita. Il paradosso meraviglioso è che questo testo sulla -presunta – stanchezza di vivere potrebbe essere usato come ottimo strumento educativo per innescare negli studenti di oggi la voglia di spendersi per cose grandi.

Come hai trascorso il tuo lockdown? Ciascuno risponda onestamente a tu per tu con se stesso. Ecco. Il Maestro Muti sarà forse molto stanco di certi inciampi e sconfitte del mondo attuale, ma non è stanco di imprese impegnative. Pur non essendo più giovane, ha trascorso il lockdown in modo spericolato: studiando la Missa Solemnis di Beethoven e affrontando tutta la scarpinata spirituale che esige.

Ci lavoro da più di mezzo secolo, ma non ho mai osato dirigerla. Lo farò ad agosto a Salisburgo. È la Cappella Sistina della musica: la sola idea di accostarla mi ha sempre dato grande timore. Ci sono dettagli di importanza enorme. Al Miserere nobis Beethoven premette un “O”, che presuppone un interlocutore.Beethoven ha sentito che l’invocazione era rivolta a Qualcuno. Pare un dettaglio, ma apre un mondo. Significa che un Essere superiore esiste.

Ibid.

Un uomo che continua a studiare, nonostante tutti i traguardi e le competenze raggiunti, è così vivo e vegeto da ridestare la voglia di esserci anche negli altri. E studiare è proprio l’esperienza così ben descritta nelle righe precedenti: mettersi in rapporto così autentico con uno spartito da spalancare la propria coscienza all’intuizione che c’è Qualcuno che dirige la sinfonia del mondo.

Nessuna paura della morte e silenzio al funerale

Anche una grande ignorante di musica classica come me si è trovata qualche volta a sentire una commozione enorme quando, al termine di un concerto, c’è quel momento sospeso di silenzio prima degli applausi. Verrebbe voglia che durasse in eterno, perché non è vuoto ma anzi pienissimo di ciò che la musica ha generato fino a un attimo prima. E’ un’apnea piena di attesa, c’è l’intuizione che tutta la melodia precedente non sia stata altro che una premessa indispensabile per qualcosa di ancora più grande, e che non fa rumore o suono.

Quando esplodono gli applausi è come se tutto precipitasse di nuovo in basso come per forza di gravità. Capisco che il Maestro Muti pensi alla sua morte senza paura e desideri che il suo funerale sia senza applausi. Intuisco che un vero musicista goda dell’intensità dell’assenza di suoni, ne intuisca la pienezza di senso. Siamo noi quelli che si ficcano la musica nelle orecchie per interrompere il disagio che ci dà il silenzio.

Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. […] Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi.

Ibid.

L’ironia è forse l’ultimo tassello che ci lascia intuire la serenità di un artista eccellente che è anche un uomo tutt’altro che ostile alla vita. Il silenzio che desidera – inconsapevolmente o meno – è ciò che è bello sperare per ciascuno di noi: riconoscere la fine del nostro spartito, e attendere che sia un Altro a iniziare la vera sinfonia che aspettavamo da sempre.

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