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Le reliquie sono una forma di superstizione?

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Vidal Arranz - pubblicato il 28/06/21

L'esposizione “Strana devozione” a Valladolid affronta questo fenomeno religioso da molteplici angolazioni e rivela che trascende l'ambito del cattolicesimo


L’esposizione Extraña devoción, organizzata dal Museo Nacional de Escultura di Valladolid (Spagna), ruota intorno al mondo delle reliquie e prende il nome da un’incisione di Goya inclusa tra le opere mostrate.

L’opera in questione appartiene alla sua serie “I disastri della Guerra”, e mostra un gruppo di persone inginocchiate al passaggio di un asino con un feretro trasparente contenente un cadavere che gli esperti identificano con quello di Santa Mariana de Jesús. La maggior parte degli analisti colloca l’opera di Goya nel contesto della mentalità illuminista, che considerava questo tipo di manifestazioni della religiosità popolare come indicatori di arretratezza e superstizione.

Ma è davvero così? O meglio, senza scartare l’ipotesi che ci possa essere qualcosa anche di questo, questa spiegazione esaurisce il fenomeno del culto nei confronti delle reliquie? L’esposizione del museo di Valladolid – visitabile fino al 22 agosto presso il Palacio de Villena – ci rivela che c’è molto di più intorno a questa espressione religiosa, che tanto per cominciare è precedente al cristianesimo ed è collegata allo sviluppo della creazione artistica.

Il culto nei confronti delle reliquie è direttamente collegato alla memoria di quello che viene considerato prezioso. La necessità di rendere presenti gli assenti attraverso qualche oggetto toccato da loro, che hanno posseduto o che li ricorda è inseparabile dalla condizione umana e ha origini remote.

Era presente già nella religiosità pagana, e continua ad esserlo, in modi diversi, anche tra noi. Extraña devoción, insieme a numerosi oggetti e opere d’arte provenienti dall’universo culturale cattolico, offre anche esempi di reliquie profane molto significative. Quello che colpisce di più è il Reliquiario di Christian Boltanski, dedicato alla memoria di dodici bambini ebrei assassinati, e per estensione alla memoria dell’Olocausto.

Il Reliquiario di Boltanski evoca formalmente i reliquiari cattolici, pieni di piccoli cassetti in cui si conservavano i vari oggetti sacri. Qui ci sono anche cassetti in cui si conservano resti materiali legati ai bambini defunti: panni, giochi, documenti personali…

Gli unici ritratti dei santi con maschere funerarie

Questa vocazione di memoria legata a oggetti che evocano l’assente può constatarsi anche nelle maschere funerarie, tanto collegate a questo universo. Di fatto, la tradizione delle maschere funerarie inizia con i santi, anche se poi si estende ad altri tipi di “celebrità”: grandi politici, militari, pittori, scrittori… Nell’esposizione si possono vedere busti realizzati a partire dalle maschere funerarie di Galdós o Napoleone.

“I santi, per modestia, non si lasciavano ritrarre in vita, per cui gli unici loro ritratti che conosciamo si ottenevano a partire dalle maschere funerarie”, ha spiegato Escardiel González, docente dell’Università di Siviglia (Spagna) e una delle curatrici dell’esposizione.

Le effigie dei santi servivano come documento nei processi di beatificazione, perché essendosi ottenute sul letto di morte mostravano se il loro transito all’altra vita si era verificato in pace o in modo “tortuoso”.

Le reliquie trascendono la realtà cattolica

“Le reliquie trascendono l’aspetto cattolico”, spiega Cécile Vincent-Cassy, docente dell’Università Sorbona Nord di Parigi e anche lei curatrice dell’esposizione. “La reliquia è qualcosa che conserviamo come ricordo delle persone care. Non sono necessariamente oggetti di culto”.

Manuel Arias, un altro dei responsabili della mostra, aggiunge: “Esprime l’anelito alla trascendenza e alla durabilità. Il mondo delle reliquie è vivo in noi perché è inerente all’essere umano e fa parte del nostro mondo interiore”.

Neanche all’epoca in cui le reliquie erano inseparabilmente associate all’aspetto religioso era necessario che fossero oggetti di culto. “A volte servivano semplicemente come elemento di speranza”, spiega Vincent-Cassy. Il suo proprietario si sentiva in qualche modo protetto, o collegato alla virtù.

Non si può neanche dimenticare che le reliquie sono state una delle prime espressioni di collezionismo. Filippo II ne riunì più di 7.500, la più grande collezione del mondo, che si conserva ancora in una sala del monastero del Escorial che non si trova tra quelle a cui possono accedere i visitatori. Da questo punto di vista, erano un’espressione di potere e rilevanza sociale.

Il mondo delle reliquie, complesso e variegato

In genere associamo il mondo delle reliquie alla loro espressione più nota: i resti corporei dei santi, perlopiù frammenti ossei. A rigore, però, una reliquia è tutto ciò che è stato a contatto con qualcuno di sacro, e per questo le reliquie hanno proliferato tanto.

Nell’esposizione si mostra l’esempio di una bambola considerata una reliquia perché la sua proprietaria la portò in Terra Santa, dove “toccò” il suolo calpestato da Cristo. È un chiaro esempio dell’eccesso a cui è giunto il processo della creazione delle reliquie, creando catene di associazioni davvero fragili. La Chiesa cattolica, spinta dalle critiche dei protestanti, che sono sempre stati contro questo tipo di religiosità popolare, ha deciso di ordinare il mondo delle reliquie mediante la spedizione di certificati di autenticità, con cui si cercava di porre un freno alla proliferazione eccessiva e arbitraria.

Certificati di autenticità

Questi documenti venivano definiti “autentici”, e anche se la maggior parte aveva una forma modesta – il certificato era un piccolo pezzo di carta che veniva conservato piegato insieme alla reliquia –, altri erano elaborati con tutti i requisiti formali ed estetici che corrispondevano a un titolo di proprietà.

Sono reliquie anche i manoscritti dei santi e le loro firme, espressioni di una forma di religiosità che perdura inequivocabilmente tra noi. Nell’esposizione che la Biblioteca Nazionale ha dedicato a Miguel Delibes in occasione del suo centenario, un posto di spicco è stato riservato ai manoscritti dei suoi romanzi. Quando l’esposizione ha viaggiato fino a Valladolid, questo carattere “sacro” è stato sottolineato dal fatto che la sala dei manoscritti occupava un’antica cappella della chiesa della Passione, attualmente destinata a sala di esposizioni municipale.

Nell’esposizione si può vedere un armadio-reliquiario la cui attrazione principale è un testo manoscritto di Santa Teresa di Gesù, autrice de Il Castello Interiore. Ci sono anche firme come reliquie, il che si collega a una forma di devozione contemporanea.

Una delle dimensioni più importanti della mostra Extraña devoción è il fatto che permette di scoprire lo stretto legame tra il mondo delle reliquie e quello artistico. Il caso più evidente è quello delle sculture-reliquiario, opere d’arte che contengono uno spazio per custodire reliquie, in genere nella parte posteriore. Nell’esposizione si può ammirare un’opera particolarmente rilevante: un busto-reliquiario di Sant’Anna realizzato dal maestro rinascimentale Juan de Juni. Non è certo un’eccezione, visto che molte sculture vennero realizzate allo scopo di servire come bel contenitore di quel piccolo pezzo sacro che custodivano al loro interno.

Reliquiari di ogni tipo

Le sculture-reliquiario, come i reliquiari in sé, o gli armadi-reliquiari – sulle cui porte si dipingevano autentici quadri che spesso vengono oggi esibiti come dipinti, estrapolati dal contesto – rivelano lo specialissimo tipo di relazione che si stabiliva tra la reliquia e il suo contenitore, che arrivava perfino all’identificazione e alla confusione.

In Extraña devoción, si può ammirare anche un dipinto di Sorolla, El beso de la reliquia, che mostra una giovane donna che bacia un reliquiario. Perché è il contenitore che bacia, non il contenuto. “Le reliquie non si pensano senza il reliquiario, ed è lì che entra in scena l’arte”, spiega Cécile Vincent-Cassy. Un’opera di creazione che non si limita ai mobili e alle arti decorative, ma include anche pittura e scultura.

Nell’esposizione si constatano anche le origini di un culto assai contemporaneo, quello che i moderni dedicano alle riproduzioni delle opere d’arte. In realtà questo fenomeno, che consiste nell’avere accanto a sé un oggetto “toccato” dalla bellezza nel caso attuale o dal sacro nell’antichità, risale a secoli fa. In Extraña devoción troviamo molte reliquie copie di originali sacri.

Reliquie curiose e affanno di trascendenza

Alcune reliquie sono particolarmente curiose, come una stampa che riproduce l’aspetto del vero bastone di San Giuseppe, opera dell’incisore fiammingo Arnold van Westerhout. Il carattere sacro del bastone si trasferisce alla copia, che diventa, in questo modo, un oggetto sacro, quindi una reliquia, e merita anch’essa culto.

L’esposizione del Museo della Scultura mostra quindi come l’affanno di trascendenza e di memoria dell’essere umano sia passata agli oggetti come supporti di questa devozione. Come nella sineddoche poetica, anche qui la parte rende presente il tutto, che in questo caso è una figura sacra o santa ritenuta esemplare. In altri casi, è semplicemente una presenza legata agli affetti personali e familiari. Ancora oggi, del resto, non sono poche le mamme che conservano i denti da latte dei figli come ricordo dei bambini che sono stati. Altre reliquie.

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