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Il futuro del ddl Zan dopo le parole di Draghi: parla la prof. D’Arienzo

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 24/06/21
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Maria d’Arienzo è professore ordinario di Diritto Ecclesiastico alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Federico II di Napoli: l'abbiamo intervistata in merito ai recenti e ai prossimi sviluppi del caso suscitato dalla “nota verbale” della Segreteria di Stato vaticana.

All'indomani dell'intervento di Mario Draghi a Palazzo Madama, in merito alla “nota verbale” della Segreteria di Stato vaticana circa il ddl Zan, la rassegna stampa presenta i rappresentanti delle forze politiche intente nell'unanime esercizio delle lodi al premier: le parole di Draghi sono state effettivamente abbastanza duttili da prestarsi a disparate interpretazioni.

Ciò significa poco, in sé, perché l'ossequio alle parole di un premier non-politico in un momento delicato sembrerebbe essere diventato un obbligo politico; ma al di là del fanciullesco ritornello “avete visto che avevamo ragione noi?” parrebbero regnare apprensione e perplessità. Si chiede la calendarizzazione in Aula, ma l'Aula non sembra avere i numeri per approvare il testo così com'è, e Draghi ha detto che «questo è il momento del parlamento, non del governo» – il che esclude il ricorso al voto di fiducia (Renzi fece approvare così la legge Cirinnà). Se poi saltassero fuori i voti – ma chi nel centrodestra ha un interesse politico a segnalarsi come “nemico della Chiesa”? –, resterebbero sempre l'incognita del ministro Guardasigilli e del Presidente della Repubblica, esperti costituzionalisti entrambi (e cattolici).

Le perplessità dei partigiani del ddl non bastano, del resto, ad estinguere quelle dei contestatori, che vedono altrettante incognite annidate dietro a ogni angolo dell'iter ancora in fieri del provvedimento.

Per provare a capire meglio l'aria che tira abbiamo posto qualche domanda alla prof.ssa Maria d'Arienzo, ordinaria di Diritto Ecclesiastico alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Federico II di Napoli.

Il discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri ha chiarito in termini istituzionali il rapporto tra laicità dello Stato e impegni internazionali, compresi quelli derivanti dalla stipula del Concordato con la Chiesa cattolica, messi in discussione nel dibattito pubblico a seguito della diffusione della nota diplomatica della Santa Sede del 17 giugno 2021.

Penso che il discorso non possa essere letto come una replica ad una possibile ingerenza della Santa Sede. D’altronde lo stesso Presidente del Consiglio richiama la distinzione tra  la fase di formazione delle leggi, rispetto alla quale è sovrano il Parlamento, dalla successiva fase di applicazione della stessa che è sottoposta anche ai successivi controlli della Corte costituzionale. In altri termini, la nota diplomatica non rappresenta in termini tecnici un attacco alla laicità o un’ingerenza della Santa Sede nell’esercizio del potere legislativo del Parlamento italiano. Più precisamente, nel pieno rispetto dell’art. 7 Cost., la nota diplomatica si pone – come è di consueto nella prassi diplomatica – come lo strumento attraverso cui è possibile evidenziare  criticità derivanti da un eventuale intervento normativo per il rispetto degli accordi internazionali.  Difatti, la nota diplomatica vaticana in relazione al d.d.l. Zan si limita a richiedere una “diversa modulazione” del testo del disegno di legge in considerazione delle possibili problematiche che potrebbero nascere sul piano applicativo, soprattutto rispetto alla libertà garantita dalle norme concordatarie e in relazione specificamente allo svolgimento delle attività educative delle scuole paritarie cattoliche. La sollecitazione della Santa Sede appare dunque finalizzata a favorire una più attenta valutazione dei rischi sul piano penalistico che dall’applicazione della futura legge Zan potrebbero derivare rispetto all’affermazione del principio di tutela del pluralismo dei valori.

No, non è la prima volta.  Vi sono precedenti specifici nei rapporti tra Santa Sede e Italia ed è possibile rinvenirli già ad esempio nelle note diplomatiche n. 5902 del 22 agosto 1966; n. 1180 del 16 febbraio 1967 e la 735 del 30 gennaio 1970 in relazione al disegno di legge sul divorzio.  

A mio avviso nel d.d.l., così come formulato, ci sono delle disposizioni che forse andrebbero meglio definite, anche per impedire che possa risultare pregiudicato l’esercizio della libertà di espressione e di pensiero rispetto a forme applicative che porterebbero alla stigmatizzazione, se non addirittura alla sanzionabilità penale, della semplice manifestazione di un pensiero “diverso” in tema di eguaglianza di genere.  

Non va dimenticato, in altri termini, che il vero obiettivo della legge è quello della lotta all’intolleranza fondata sull’orientamento sessuale. In tal senso, l’intervento della Santa Sede può essere colto come un invito a valutare, nello specifico, l’effettiva portata dell’intervento normativo e i suoi riflessi sulla pluralità di manifestazioni del pensiero, specificamente nell’ambito delle questioni di genere,  nelle organizzazioni della Chiesa cattolica in cui si esplica il diritto all’identità, tutelato anche costituzionalmente,  e pertanto anche il diritto del singolo fedele di partecipare alla missione pastorale, educativa, caritativa e di evangelizzazione in conformità al Magistero, così come previsto dall’art. 2 del Concordato. Ad esempio, l’art. 7 del disegno di legge Zan prevede la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la  transfobia. Qui la questione è delicata e riguarda la differenziazione tra libertà d pensiero e lotta alla discriminazione. Qualora questa giornata venisse, difatti, interpretata come un momento di promozione di una cultura tesa ad affermare una perfetta eguaglianza tra i diversi orientamenti sessuali, diverrebbe complesso osservare questa disposizione nelle scuole paritarie cattoliche. In tal caso, non potrebbero nemmeno ritenersi esclusi a priori, in caso di interpretazioni forzate della futura legge Zan, possibili risvolti di carattere penale nei confronti degli istituti scolastici cattolici che, ad esempio,  non dovessero osservare letteralmente la prescrizione.

Diversamente se la Giornata venisse celebrata  per rimarcare la necessità di stigmatizzare le discriminazioni di genere, le istituzioni cattoliche, ancor più alla luce degli ultimi approdi del Magistero, potrebbero senz’altro partecipare senza difficoltà alcuna. In conclusione, l’intervento vaticano più che un attacco alla laicità dell’ordinamento italiano - considerato tale secondo schemi concettuali che evocano battaglie, queste sì, di tempi  addietro-   può essere inquadrata come atto istituzionale di dialogo tra enti sovrani con cui si richiama l’importanza di un pieno esercizio della libertà organizzativa della Chiesa cattolica, ma anche della   libertà di pensiero e di espressione non solo dei cattolici e delle loro associazioni e organizzazioni, ma anche indirettamente di tutti i consociati.  Un intervento dunque a difesa del pluralismo di valori che, come ha ricordato appunto Mario Draghi, si traduce concretamente nel principio supremo di laicità.