Due paginate del Corriere della Sera, oggi, rendono conto con dovizia di dettagli di un incontro avvenuto il 17 giugno scorso a Palazzo Borromeo (sede dell'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede): si tratta di un formidabile affondo diplomatico del Vaticano “contro” il governo italiano, in cui si sarebbe addirittura ventilata la possibilità di una crisi concordataria.
Oggetto della contesa sarebbe il ddl Zan, che in più punti risulterebbe tanto problematico – per la libertà della Chiesa nello stato italiano – da spingere la Segreteria di Stato a un passaggio di forza inusitata.
La notizia è colossale ma per ora nulla ne è ancora trapelato sulle “fonti ufficiali” dell'informazione vaticana, come se i fatti non fossero stati pensati e orchestrati perché divenissero ufficiali. Puntualmente infatti Paolo Rodari ha scritto su Repubblica:
La “bomba”, insomma, doveva scoppiare al chiuso, senza clamore, e produrre i suoi effetti politici senza pubblici schiamazzi: ora invece gli schiamazzi ci sono e probabilmente da Oltretevere si valuta come gestire la situazione senza farla ulteriormente degenerare.
Ma quali sono, nella fattispecie, i punti della discordia? È stato detto a Palazzo Borromeo che alcuni contenuti del ddl Zan «riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall'art. 2, commi 1 e 3», del Concordato Lateranense. Li riportiamo per agilità di consultazione:
La “nota verbale” consegnata dalla Segreteria di Stato vaticana all'ambasciatore Sebastiani, e da lui riferita al ministro agli Esteri italiano Luigi Di Maio, si fonda dunque sull'implicazione che sì, il reato d'opinione indefinitamente costituito dal ddl Zan porrebbe radicalmente a rischio la normale attività della Chiesa sul territorio dello Stato italiano.
In altre parole, non si potrebbe insegnare la dottrina cattolica sull'uomo e sulla donna, sul senso e sul significato della sessualità umana, sul sacramento matrimoniale e su tutti quegli altri articoli di fede trattando i quali un vescovo, un prete, un catechista o un qualunque fedele sarebbe passibile di essere additato quale “istigatore all'odio omo-trans-fobico”.
È ragionevole ipotizzare che la Santa Sede avrebbe volentieri preferito esimersi da questa mossa muscolare: le reiterate note critiche sul ddl Zan emanate dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana sembrano potersi ricondurre a una volontà gerarchica di sciogliere i nodi tra Palazzo Chigi e Viale Aurelia. L'intervento vaticano in termini di diritto concordatario segna un Varco del Tevere che sa di Varco del Rubicone: dove la moral suasion non portava i frutti sperati, si sarebbe passati alla diplomazia vera e propria.
Difficile dire quali potranno essere le ripercussioni nel breve e nel medio periodo: Mario Draghi e Sergio Mattarella non vorranno barattare la solidità dei rapporti istituzionali con la Santa Sede per varare una legge che (oltre a essere intrinsecamente liberticida) esprime la volontà politica di una sola delle forze di governo, e in un momento di “conduzione di responsabilità” del Paese.
Il segretario del partito a cui appartiene l'on. Zan, e che sostiene il ddl, si dice pronto a «vedere i nodi giuridici»: un passo avanti, sembrerebbe, rispetto alle ultime dichiarazioni (di due giorni fa) secondo le quali il ddl andava approvato così com'era. Da una parte, però, il punto calato dal Vaticano è così alto che il ddl Zan potrebbe risultarne rapidamente rottamato.
Dall'altra nessun palazzo ecclesiastico ha interesse nel finire nel tritacarne che fatalmente si azionerebbe contro il responsabile del blocco di quel ddl caro a cordate di amici che gestiscono importanti filiere nei settori dello spettacolo e dei media.