Lockdown, quarantena, didattica a distanza sono entrati nel linguaggio comune da più di un anno a questa parte. Sono parole che ormai pronunciamo con facilità, ma ci hanno stravolto la vita e le usiamo pensando che sono di passaggio e ce ne libereremo.
Abbiamo sentito in prima persona cosa significhi mettere la libertà - delle nostre abitutini ordinarie - in un recinto di isolamento; non vogliamo abituarci troppo. C'è invece chi ci fa i conti da molto più tempo, e non è detto che veda zone franche all'orizzonte.
Per Francesco Elia Rizzo, maturando del liceo classico "C.Marchesi" di Padova, fare l'esame finale in presenza è stato un traguardo enorme: il colloquio di maturità è coinciso con 'il suo primo giorno di scuola', in 5 anni non era mai fisicamente entrato nel liceo perché una grave malattia gli impone l'isolamento. Si è scritto e discusso tanto sul valore della didattica in presenza, la storia di Francesco è una sintesi illuminante del vero obiettivo che l'educazione ha a cuore: uno studente presente.
Intervistato da Ansa, Francesco Elia Rizzo ha raccontato la sua giornata speciale. 80 minuti di orale in presenza, davanti alla commissione dei suoi insegnanti e a fianco dei compagni di classe. Volti finalmente in carne e ossa, non più immagini su uno schermo.
Francesco è affetto da una grave immunodeficienza per cui non può avere contatti con l'esterno e deve anche evitare di toccare oggetti che non siano sicuri. Ha visto il suo liceo sempre e solo sullo schermo, ha frequentato 5 anni di superiori sempre a distanza. In un paio di circostanze ha incontrato i suoi compagni nel giardino di casa.
Possiamo solo intuire quanto sia tosta la sua quarantena salvavita. Dalle sue parole si evince che abbia maturato un coraggioso strabismo, riuscendo a non cadere nella trappola di rigettare tutto quello che è "fuori" dal suo spazio di sicurezzza. Se l'esterno è un pericolo da cui guardarsi dal punto di vista sanitario, non lo è come spazio di affetti e legami.
E lo studio - udite, udite - è proprio il passaggio segreto per far entrare il cuore più vivo del mondo dentro la propria stanza, se da lì non si può uscire. La siepe lascia entrare l'infinito - intuì Leopardi.
Me le ricordo certe mattine in classe, quando facevo l'appello. E ricordo la postura e lo sguardo di certi studenti. Altro che L'attimo fuggente! Occhi bassi, schiene sdraiate sul banco già dalla prima ora e neanche un minimo sforzo sonoro per dire: "Presente!".
Alcuni soggetti andavano implorati di rispondere alla domanda: "Ci sei?".
Sarebbe bello che l'appello fosse un vero appello, una chiamata che sveglia e ridesta un sano entusiasmo. Non è così nel mezzo delle aule di nostra vita. Ci pensavo immaginando che razza di sforzo sia stato per Francesco riuscire a fare la sua maturità in presenza. Non sarà stato facile gestire la situazione, prepararsi in modo da poter affrontare lo spazio esterno senza correre troppi pericoli. E il dopo? Ci saranno state ripercussioni sulla sua salute?
In ogni caso si è preso il rischio di rispondere all'appello. Presente lo è sempre stato anche negli anni di didattica a distanza, ne parlano come di uno studente modello. E mi spingo a pensare che proprio gli studi classici lo abbiano incoraggiato a stare di fronte alla sua condizione senza cedere alla rassegnazione e anche a questo grande passo di presenza nel momento finale del suo percorso scolastico. Al suo esame orale Francesco ha portato Aristotele e Cicerone, voci che anche a distanza di così tanti secoli sanno nutrire il pensiero e mettere in circolazione ossigeno buono.
Sì, il solito vecchio ritornello sui classici. Ma c'è forse qualcosa in giro di attuale e nuovo - sui giornali, nei bestseller, nelle serie TV - che sia in grado di piantare le ragioni del coraggio e della speranza in un campo ben arato e concimato come fecero Omero e Virgilio?
In ogni caso. Lo diciamo spessissimo, e significa considerare la possibilità che le cose non vadano secondo i piani. Auguriamo a Francesco che l'attesa di questo intervento non sia troppo lunga e possa essere una svolta positiva nella sua storia. Affrontare una malattia così invalidante nella giovinezza senza cedere a un cinismo pessimista richiede un'anima davvero disponibile a non farsi schiacciare delle paure e a cercare vie alternative di rapporto vivo col mondo. Ho spulciato sui canali social di questo ragazzo e su Facebook ho trovato un suo vecchio post in cui aveva scritto:
Il post è molto più lungo e va letto per intero, per apprezzare la profondità di una riflessione in cui un ragazzo giovanissimo fa il punto sulla sua vita. Ma la sintesi di queste tre parole - il tempo, la fede e l'esperienza - è da custodire con cura. Non solo il futuro è un'incognita, anche il presente e il passato possono trasformarsi in trappole mortali se il nostro vivere non è una trama in cui il tempo, la fede e l'esperienza si nutrono a vicenda.
In ogni caso, dunque, Francesco è già sulla strada degli uomini liberi, e anche a passo spedito. Si è preso il rischio e la responsabilità di essere presente in un momento importante del suo percorso di studi e non è stato un gesto avventato, ma maturo in ogni senso. Cioé maturato. L'esperienza ha bisogno della pazienza del tempo e dello slancio della fede per renderci liberi dentro le circostanze, liberi innanzitutto di dire che siamo parte viva di una classe, di una compagnia umana.