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«Padre nostro», la preghiera è saper domandare solo ciò che conta

PREGHIERA

Di Dee Angelo|Shutterstock

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 17/06/21

Il Signore insegna a pregare ai suoi discepoli con la preghiera del Figlio al Padre, del perdono dei fratelli, della consapevolezza della nostra imperfezione e della fiducia in Dio.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.
Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.»  
(Mt 6, 7-15)

Non a forza di parole

“Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole”. Con Dio non bisogna mai pensare che basta la retorica umana, quella che tiriamo fuori quando vogliamo lo sconto a una bancarella o quando siamo messi alle strette in una situazione difficile.

La preghiera è rapporto col Padre, nel Figlio

Non si può pensare mai alla preghiera come alla trattativa su un prodotto. La preghiera non è un ricettacolo di parole, scusanti o convincimenti. La preghiera è un rapporto prima ancora che una parola.

Forse è questo il motivo per cui Gesù ci insegna la preghiera del Padre nostro, affinché ci ricordassimo che innanzitutto non veniamo ascoltati a forza di parole ma perché siamo amati da Qualcuno che ci ha voluti figli nel Figlio.

E la prova che abbiamo capito come si prega la si vede da quanto siamo disposti a perdonare. “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi”. Perdonare infatti significa ricordarsi che siamo figli di Dio e non del caso.

L’altro è imperfetto come me

E allo stesso tempo il perdono ristabilisce una verità di fede importantissima, e cioè che l’altro non è Dio, e proprio per questo non ci si può dimenticare della sua imperfezione, della possibilità della sua fallibilità, del suo essere strutturalmente fragile.

Perdonare è concedere all’altro di essere umano fino in fondo, di permettergli cioè di tentare di essere una persona migliore perché non lo è fin dall’inizio, e non lo è sempre.

Solo il perdono tira fuori il meglio delle persone, invece il giudizio, che è una constatazione dello stato di fatto, molto spesso ci scoraggia, ci condanna perché ci trova sempre perfettibili ma non perfetti.

Ecco allora che la preghiera vera è saper domandare solo ciò che conta e dire ad alta voce ciò che ci vincola nella nostra responsabilità. Sono infatti persuaso che se riflettessimo bene sulle parole del Padre nostro, proveremmo sempre una qualche vertigine a pronunciarle. E se facessimo poi ciò che pronunciamo saremmo persone migliori.

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