Entrando nel suo piccolo atelier installato sotto i tetti di un immobile a Boulogne-Billancourt (Hauts-de-Seine), si è immediatamente presi dai volti di una moltitudine di icone che risplendono: alcune sono appese ai muri, altre sono poggiate sugli scaffali della biblioteca, mentre due (incompiute) destinate a degli amici che si sposano, riposano sui cavalletti.
E poi ci sono quelle dell’angolo-preghiera, nel cuore dell’appartamento. Quando Maciej Leszczynski, single 38enne (dal profilo sportivo del giovane studente), comincia a descriverle, la sua voce, già dolce, lo diventa ancora di più. Difficile immaginarlo voce di un gruppo rock, eppure:
Durante l’adolescenza mi sono cercato molto. Passando per diverse correnti artistiche o filosofiche, volevo trovare la mia strada. Ogni volta, però, vivevo delle fascinazioni che non duravano e non portavano da nessuna parte. Sentivo sempre un vuoto.
Maciej Leszczynki è autore di numerose icone e di altrettanti affreschi, dipinti per chiese in Francia e in altri paesi d’Europa. Nato alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, in una regione in cui i cattolici convivono con gli ortodossi, Maciej Leszczynki viene da una famiglia mista: sua madre è cattolica, suo padre ortodosso. Dopo il baccellierato, decise di partire in pellegrinaggio e lì incontrò un gruppo di studenti di una scuola di iconografia di Bielsk Podlaski (Polonia). Scattò qualcosa: andò lì a terminare la sua formazione. Sempre più appassionato, Maciej volle espandere ulteriormente le sue conoscenze con un corso di laurea in teologia ortodossa: lo avrebbe seguito a Varsavia, poi all’Institut de théologie orthodoxe Saint-Serge a Parigi.
Nel complesso, quindici anni di studi per comprendere che scrivere icone è un cammino di vita. Lo esprime con la determinazione e la grande calma che lo inabitano:
Quando studiavo in Polonia vivevamo come in seminario: i corsi e le liturgie erano un tutt’uno. La liturgia, la preghiera, il canto e il lavoro di iconografia si completavano a vicenda. Eravamo una comunità quasi-monastica che pregava, cantava e dipingeva. La scrittura delle icone, se rettamente intesa, non può essere solo “una passione”… è una scelta di vita.
Ed è questa visione di integralità fra «l’accademia e lo spirituale», che l’avrebbe ispirato per creare nel 2017 a Parigi la propria scuola di iconografia (École d’iconographie orthodoxe Saint-André Roublev), in un approccio in cui l’allievo può osservare dal vivo il lavoro della guida. Il maestro non insegna solo la teoria accademica: egli cerca di ispirare la vita spirituale dell’allievo col proprio esempio, o piuttosto di «vedere nella relazione allievo-maestro un cammino comune di perfezionamento verso un ideale di virtù».
Per Maciej non c’è dubbio: «Scrivere icone è una forma di servizio sacerdotale». Venerata e incensata, l’icona è una delle manifestazioni di Dio nel mondo, e secondo i Santi Concilî della Chiesa ha uno statuto analogo a quello delle Scritture. Insegna a pregare, insegna a conoscere Dio e il senso della fede cristiana. È una guida spirituale:
Non perché sono diventato scrittore di icone – spiega con emozione – mi sento degno di esserlo. L’icona mi ha fatto scoprire un universo davanti al quale mi sento davvero piccolissimo.
E aggiunge:
Ho sentito che scrivendo quella di Cristo, della Madre di Dio o di un santo, ciascuno di essi era realmente di fronte a me. La mia vita cominciò allora a cambiare. Degli amici non hanno mancato di notarlo: i miei gesti, il mio modo di parlare, i miei gusti cambiavano. Oggi ci sono cose che non sopporto più, come le immagini kitsch in tv, i giornali che riflettono brutalità, le opere d’arte che non risuonano più in me. L’icona spinge una trasformazione interiore.
Se l’icona trasforma in profondità è perché «non appartiene davvero a colui che la dipinge». Maciej si confida:
C’è qualcosa nel mio lavoro che non viene da me. È un mistero: Dio agisce attraverso l’icona. L’ho vissuto, i miei studenti anche. C’è un prima dell’incontro con l’icona… e un dopo. Una vita prima e una dopo. Perché l’icona è «una finestra che svela il mistero del Regno, uno specchio dello stato di santificazione a cui tutti siamo chiamati».
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]