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Gesù non chiede tolleranza, ma amore. Soprattutto per chi non lo merita

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S.Myshkovsky | Shutterstock

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 15/06/21

Finché viviamo siamo come corde di un arco, in tensione per provare a scagliare l'amore più lontano di ogni nostra misura ristretta.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico;
ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,
perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. »

(Mt 5,43-48)

Quanto è difficile amare, e quando è difficile amare sempre, soprattutto chi non se lo merita. Mi ha fatto riflettere una volta un amico ortodosso quando mi ha detto che nella spiritualità cristiana orientale la vera maturità la si misura con la compassione:

“bisogna imparare ad avere così tanta compassione – mi diceva – fino al punto da sentirla anche nei confronti del diavolo”.

Sembra vertiginoso, ma è Gesù che ci chiede un amore così: non scendere a patti con il male ma amare il nemico. E amare è una faccenda seria che non può essere risolta con qualche parola sbiascicata nel chiuso delle nostre sagrestie verso un cielo di cui fondamentalmente non ci fidiamo.

L’amore è sempre amore per la verità, ma è anche sempre amore per il volto di chi ho accanto pur se non la pensa come me. Io odio la parola tolleranza perché ha il sapore delle solitudini accostate che tendono a ignorarsi per quieto vivere. Non credo che il Vangelo ci inviti alla tolleranza ma anzi a una grande passione. La passione per il dialogo. La passione per l’uomo. La passione per il bene che vince i nemici.

La passione più grande che è morire per chi si ama. E imparare ad amare chi in realtà ci dà sempre validi motivi per cui odiare.

“Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”. Ma noi siamo chiamati ad essere come il Padre: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.

Ma come si fa ad essere perfetti nell’amore proprio noi che siamo radicalmente imperfetti? La nostra è una chiama in tensione, cioè siamo chiamati a tendere alla perfezione, pur sperimentando le cadute. Finché avremo vita dobbiamo tendere la nostra umanità quando più possibile, esattamente come si tende la corda di un arco. Solo così le frecce vanno lontano. Solo così andremo anche noi lontano. Molto più lontano di chi invece di tendere ha mollato scegliendo la via più semplice che è appunto l’odio.

Amare è sempre provare ad amare, anche quando non ci è semplice farlo.

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