La vacanza non è tempo vuoto, se è pieno di senso ciò che facciamo e se è orientato al nostro desiderio più autentico, quello che ha a che fare con i nostri talenti e attitudini e soprattutto con la nostra fame di felicità e pienezza.
Vorrei diventare più altruista, lasciar andare ciò che mi fa male, trovare il vero senso della vita, studiare analisi 1, mettere i miei desideri e non quelli degli altri al primo posto, rendere le cose più semplici, avere un rapporto migliore con il mio corpo, essere più sicura di me stessa (non solo esteticamente), migliorare a scuola, trovare un punto di accordo con i miei genitori, migliorare la mia vita sociale, essere più sicuro di me…
Quanta vita in un elenco di Io vorrei. Sono veri desiderata, quelli cheD’Avenia ha raccolto dai suoi studenti. Desiderio è la chiave-parola che disserra intenzioni, raddrizza spalle, dà impulso ai muscoli di questi ragazzi, i suoi studenti.
Il tema della vocazione, negli interventi scritti, dal vivo, nei libri e nella vita professionale del Prof 2.0 è spesso cruciale.
E Dio lo benedice per questo, non ho dubbi.
Come vorrei, da mamma, vedere le mie figlie guardate così, scrutate così, accompagnate così, soprattutto quelle che hanno nello zaino qualche peso e fatica in più. Spesso invece sono appena sfiorate, considerate per quel che secondo altri possono dare, accompagnate solo nel ristretto perimetro dell’ordine scolastico che tocca sotto la loro competenza e mai invitate ad alzare gli occhi al cielo per esercitare il loro compito primario: desiderare. Io mi scoraggio, ogni tanto, lo confesso senza quel pudore che invece dovrei chiamare all’appello.
Sapersi guardati
Perché nessuno è perduto, fino alla fine, fino all’ultimo momento. Nemmeno se passasse tra ranghi serrati di occhi indifferenti e apatici poiché ne basta uno, di sguardo, insistentemente puntato su di noi e capace di vederci come nemmeno noi stessi sospettiamo di essere.
Non basta desiderare, occorre considerare
Questa consapevolezza mi consola, ma vorrei tornare con voi alla riflessione di Alessandro D’Avenia perché come spesso accade ci accompagna proprio in groppa alle parole dall’ideale alla sua declinazione quotidiana concreta. Non si desidera e basta, ma occorre considerare.
Scoprire sé stessi
Gli studenti che verso fine anno rispondono ad uno dei molti questionari che sottopone loro sono accompagnati con un corrimano di domande ad incontrare se stessi, a scoprire in sè attitudini, talenti, limiti da custodire e dai quali farsi custodire – e non sempre da superare spavaldamente. E di tutto questo magma incandescente sono aiutati a fare progetti, agende, sveglie programmate, post-it sul frigo, se necessario. Ogni viaggio, persino il giro del mondo, è fatto di grandi rotte che poi diventano itinerari quotidiani e alla fine si riducono a singoli passi. Così è dei nostri desideri.
Wish-list
Che si fa quando si guardano cadere le stelle la notte del 10 di agosto? Un gioco tanto serio quanto la vita e il suo mandato: compiersi, essere felici.
Il «questionario dei desideri» cerca di anticipare e rendere serio il gioco effimero della notte di san Lorenzo: la caccia alle stelle cadenti. Quella notte vogliamo credere che ci sia una connessione tra il movimento di un corpo celeste e quello di un corpo umano. Desiderio, lo sappiamo, viene dal latino de- (distanza) e -sidera (stelle).
Ultimo Banco, D’Avenia, CorSera
Questo arco teso tra il nostro petto e la volta celeste è il motore mobilissimo, inquieto e bruciante di tutta la vita che vediamo e che ci spetta. Tradirsi in questo è come pianificare la dismissione della centrale nucleare che alimenta l’intera nostra esistenza. Non è per questo che certi adulti sembrano gravati da un sarcofago di cemento armato come il sito di Cernobyl?
Il desiderio è (…) tensione verso la pienezza, tanto che chi non lo rispetta o non lo coltiva, si spegne nell’abitudine o nella menzogna. Ma avere un desiderio non basta, bisogna passare dal «de-siderare» al «con-siderare» (stare con le stelle), cioè trasformare la distanza in frequentazione, come faceva nell’antichità chi doveva orientarsi per mare o voleva indagare il cielo per capire se gli dei fossero favorevoli a un’impresa.
Ibidem
Benissimo, allora in marcia, partiamo? No, la prima cosa da fare davanti a questo fuoco è raccogliersi e contemplare.
E questo richiede silenzio, tempo e attenzione, vita interiore e azione.
Genio e regolatezza
Il desiderio non è prodotto dalla tecnica, non è frutto di metodo. Ma li esige. Hai un desiderio? Scoprilo e poi lavoraci e con esso lavora te stesso.
Se pensiamo alle proposte pseudoideali in circolazione in questi decenni esagitati sembrerebbe che il desiderio, la ricerca del proprio talento particolare, l’imperativo semi-categorico ad emergere, siano nella prima tavola della legge dell’uomo contemporaneo, subito dopo l’ammonimento “il tuo io sia il tuo dio”.
Invece non è vero; non ci insegna a desiderare davvero, perché non tratta il desiderio come qualcosa di intimo ma di dato e non ci invita a liberarlo da detriti e a metterlo in gioco nella realtà. Manca tutta la parte del lavoro su di sé, della scoperta in sè stessi di ciò che è autentico e di ciò che non lo è, di ciò che va nutrito o va lasciato morire di fame. E così alleviamo in noi lupo e agnello e se le cose non vanno come vogliamo è colpa del mondo e della cultura che ci opprimono.
Il mondo vuole che ci affrettiamo ad esprimerci; chi ha davvero a cuore il nostro desiderio più vero, invece, ci invita a scoprire che cosa è stato impresso in noi, da Altri.
E cosa c’entra tutto questo con le vacanze estive arrivate dopo un anno scolastico percepito come un paio e dei peggiori?
Vacanza, tempo di pienezza
C’entra perché la vacanza, a dispetto del suo stesso nome, è il luogo del pieno, dell’intero, dell’io che si gioca fino in fondo.
C’entra perché se voglio che gli astri orientino il mio viaggio devo saper tradurre quella meta in singoli passi giornalieri.
Per questo motivo all’inizio del questionario chiedo ai ragazzi di esprimere con un «vorrei» il loro «de-siderio» più urgente, per poi approfondirlo con «con-siderazioni» precise, cioè una serie di domande mirate a capire che cosa li muove in quella direzione: il desiderio è autentico? Quali sono gli ostacoli (interni ed esterni)?
Quale piano hai per iniziare a realizzarlo in estate? Anche per questo non amo chiamarle vacanze (vacanza viene dal latino «vacuus»: vuoto), che tradisce un modo di pensare senza libertà: tempo pieno (studio) – tempo vuoto (non studio). Il tempo è invece pieno o vuoto in base al senso che gli diamo.
Io «vorrei» che i miei studenti vivessero l’estate come tempo «pieno», non perché lo riempiano di mille cose (ci può essere «vuoto» anche nella frenesia), ma perché lo «co-stellino» (stiano con le stelle) di pienezza di senso grazie all’impegno quotidiano nei loro desideri più importanti. Per questo chiedo loro di compilare il questionario per ognuno dei loro «vorrei».
Se per esempio il «vorrei» fosse «scrivere un libro» basterebbe scrivere una pagina (carattere 12, interlinea singolo) al giorno (5000 battute circa), più o meno la lunghezza del pezzo che state leggendo: dal 10 giugno al 10 settembre, 90 pagine, cioè un libro di quasi 200 pagine. Se il «vorrei» fosse «imparare una lingua» e la leggessi ogni giorno per un’ora per 90 giorni, alla fine, ne imparerei almeno le basi, come decisi di fare nell’estate dei miei 16 anni con lo spagnolo. Solo così la «vacanza» diventa «pienanza»: pienezza di senso (desiderio, azione, impegno, gioia).
Cambio di stagione? Comincia quella delle cose decisive
Chi come me e metà del genere umano deve occuparsi di riorganizzare la disposizione dei vestiti negli armadi di tutta la famiglia o quasi lo sa che si tratta di una faccenda epocale; il cambio di stagione, per chi vi fosse ancora costretto, mette alla prova intelligenza, forza creatività e resistenza agli allergeni annidati nella polvere che ha svernato tra le t-shirt e le canottiere a righe dell’estate scorsa.
Inizia il tempo della libertà
Ma le vacanze, per i nostri figli, soprattutto quelli che veleggiano scomposti e ardenti verso le coste accidentate della giovinezza, sono davvero un mutamento di stagione. Inizia quella della vita spesa in prima persona. La stagione delle libertà, del rischio, delle decisioni che lasciano un segno, a volte anche segnacci.
L’estate è allora la stagione più impegnativa che ci sia perché non ci si riposa mai da sé stessi e da ciò che davvero ci mette con le spalle al muro: chi sono, cosa voglio, cosa desidero costruire? Io mi ricordo quando queste domande mi tenevano sempre sotto assedio e ne ho quasi nostalgia.
Dal suo Ultimo banco, D’Avenia, raccontandoci dei suoi studenti, insegna anche agli altri e ai loro smarriti genitori, che il fiume in piena del desiderio si può instradare dentro argini possenti, che quel fuoco che accende la vita ma non sappiamo governare si può far attecchire anche a grossi ceppi, del tipo che durano a lungo e scaldano case intere e diffondono luce. Ci insegna, imparandolo lui mentre lo mostra ai suoi studenti, che il desiderio è una faccenda seria ed esige un lavoro.
Che noi, come persone, siamo faccenda serissima e di primaria importanza addirittura per chi ha fatto l’universo e lo regge (questo pensiero mi fa quasi impazzire, quando mi ci soffermo: io, proprio io, tutta lamentele, ingratitudine e senso di abbandono, sono talmente importante per il Re dei Cieli che ha deciso prima ancora che nascessi che mi sarei meritata l’offerta della vita di Suo figlio. Ditemi voi se non è cosa da far perdere il senno o, finalmente, trovarlo compiuto).
Buone vacanze piene di senso, cari ragazzi (e cari noi tutti)
Perché le «vacanze« diventino «pienanze», bisogna quindi scegliere i desideri più importanti, quelli che la notte di san Lorenzo ammettiamo a noi stessi solo per gioco, per poi metterci in viaggio con quella stella-guida. Ma non è un gioco, perché prendere i propri desideri più autentici sul serio è la strada della felicità. Per questo vorrei che in questo ultimo o penultimo giorno di scuola, ogni ragazzo uscisse con uno, due, tre… «de-sideri» da «con-siderare», perché sia un’estate «co-stellata» e non «dis-astrata».
Ibidem