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Un assassino al cappellano del carcere: la messa è la mia vera ora d’aria settimanale

INMATE,

Meg Wallace Photography | Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 04/06/21

Don Marco Pozza, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, ha pubblicato il biglietto anonimo che un detenuto gli ha fatto trovare dopo la Messa:"Prete bischero, ti voglio bene"

Don Marco Pozza, sacerdote, teologo e scrittore, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, ha condiviso qualche giorno fa sulla sua pagina Facebook un biglietto anonimo, o meglio come lui stesso lo ha definito un “pizzino”, che ha trovato nella sagrestia del penitenziario subito dopo la celebrazione dell’Eucaristia domenicale.

L’autore del messaggio è un detenuto di lungo corso, un omicida:qui dentro per tantissimi sono “il macellaio”.

La Santa Messa per il detenuto è l’autentico ristoro

Per lui la messa è la vera “ora d’aria settimanale”, l’autentico ristoro, e anche se non ha mai creduto in Dio sente che sta per cedere davanti alla Sua amorosa testardaggine. Di fronte al Signore anche chi ha usato armi per uccidere si ritrova disarmato. E qui si fa carne la resurrezione di Cristo, la morte non ha l’ultima parola nella vita di nessuno. Neppure in quella di un assassino!

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Con un linguaggio verace che a tratti si fa greve, ma schietto e sincero, il galeotto esprime la gratitudine che nutre nei confronti del “prete bischero”, don Marco.

Il cappellano è un surfista

Ma non mostra solo la gratitudine, anche il bene profondo che prova nei confronti del sacerdote. Lo fa con un’immagine straordinaria: paragonando il cappellano ad un abile surfista che deve destreggiarsi tra le onde sempre più alte e insidiose della difficile vita tra i reclusi.

SURFER,

L’egoismo dei detenuti

“Prete” all’apparenza solo, ma preceduto da Dio, ad affrontare sulla tavola (della fede) il mare aperto e burrascoso della galera cercando di non cadere, di non farsi buttare giù dai cavalloni: tutte quelle delusioni, stanchezze, sconfitte e difficoltà, e ancora malumori ed inganni che incontra ogni giorno. E soprattutto dall’egoismo dei detenuti che, come scrive l’autore del “pizzino”, aumenta di pari passo con gli anni della condanna.

Le richieste dei detenuti

Il bene in carcere si dimentica in fretta, continua l’autore del messaggio, chi è recluso ha sempre una nuova richiesta da sottoporre, come i bambini piccoli ai quali non fai in tempo a dare la merenda che già ti chiedono la cena.

Nuovi problemi da presentare a chi si mostra più disponibile, il cappellano in primis, per ricevere (pretendere?) aiuto e soluzioni.

Per don Marco… è tutto merito di Nostro Signore

Ricominciare ogni giorno per don Marco deve essere sfiancante, si accorge della sua stanchezza l’autore del biglietto che per questo decide di mettere su carta ciò che pensa, senza troppi abbellimenti.

Vuole ricordargli che quello che fa per loro è tanto. E che accollarsi il peso di tante storie è tutt’altro che facile, eppure don Marco con Dio, rimettendo tutto nelle Sue mani, riesce ad andare avanti nella sua missione. E quando qualcosa si aggiusta e lui non cade dalla tavola, si affretta a dire che è tutto merito di Nostro Signore.

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Il messaggio del detenuto:

(Pizzino anonimo trovato nella sacristia del carcere) – “La domenica, a messa, guardo tutto. E penso. Me ne sto in disparte, fuori dal giro dei leccapiedi: sono sempre stato un imbecille, qui dentro per tantissimi sono “il macellaio”, quello che deve morire sepolto vivo. La messa è la mia vera “ora d’aria settimanale”: non ho mai creduto in Dio, ma Dio è testardo con me. Contro questa sua testardaggine, ho le armi spuntate, sto per cedere la guerra: eppure ho usato armi per uccidere. Finita la messa, guardo l’onda umana di noi detenuti che travolge il prete. Immagino le richieste: francobolli, telefonate, lavoro, mutande, colloqui. E poi “merda”, tanta, anche quando non la meriterebbe. Anche da chi prova ad aiutare. Ma qui si dimentica presto che anche il prete ha una testa come noi. Siamo egoisti, il carcere ci peggiora di giorno in giorno: chi non è mai stato in carcere, non può capire a che stress noi detenuti sottoponiamo tutti, cappellani e volontari per primi. In tutte le galere. Domenica scorsa, dopo messa, in cella ho pensato che se qualcuno mi chiedesse di descrivere il mio cappellano (che sei tu), non ho dubbi: è un surfista. Qui a Padova le onde sono sempre più alte, lui sempre più solo, ma comunque ci prova a stare in piedi sulla tavola. Quando ci riesce, lui dirà che è stato Dio. Per me è solo un uomo che ha una volontà di granito. Buona domenica, prete bischero: siccome l’altro giorno in teatro ti ho visto stanco, ti ho scritto queste righe per dirti che ti voglio bene. Non servirà un cazzo, ma è sempre meglio che merda” (Un galeotto da vent’anni in giro per le patrie galere)

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