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Franco Battiato si sta già reincarnando?

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Elena Aquila / NurPhoto via AFP

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 25/05/21

A sette giorni dalla morte del cantautore catanese riprendiamo alcuni spunti spiritualmente scomodi e importuni, tracce della sua ricerca personale. E approfondiamo il contenuto mistico della dottrina cristiana detta “del Purgatorio”.

Quando, lo scorso 18 maggio, di buon mattino ci colse la notizia della morte di Franco Battiato, in diversi trovammo spontaneo tornare con la mente alle tante volte che il cantautore catanese aveva voluto parlare della morte – fatale passo che attende ogni vivente – e di quanto le fa seguito. Ricordammo cioè da una parte la sua granitica fiducia nell’esistenza di un aldilà, e anzi il suo non potersi capacitare di come alcuni uomini possano essere increduli e/o scettici a riguardo, magari perché materialisti; d’altro canto non potemmo passare sotto silenzio il fatto che più volte, e in modo quanto mai esplicito, Franco Battiato si sia detto persuaso o certo della dottrina della reincarnazione. 

Mettiamo le mani avanti brandendo i due versi del noto distico di Marco Masini: la nostra «religione / [non] è di credere ai cantanti». Il rocker fiorentino biasimava quel sistema che aveva inculcato nelle giovani generazioni l’illusione che – in quanto personaggi pubblici – i cantanti fossero ipso facto (più) fededegni di altri, o che in qualche modo la loro arte avesse un contenuto veritativo particolarmente qualificato. Ecco, noi non cerchiamo questo in Battiato, quindi non ci preme “canonizzarlo” né (tanto meno) “scomunicarlo”: evidentemente non sarebbe in nostro potere fare alcuna delle due cose, ma soprattutto non ci interessa farlo, mentre ci preme discutere “con lui” e “per lui” delle sue idee.

Parce sepulto, ma ora ragioniamo come a lui sarebbe piaciuto

Oggi però, a sette giorni dalla scomparsa del cantautore dalla «scena di questo mondo» (1Cor 7,31), vale la pena di ragionare insieme su qualche passaggio meno encomiastico e più problematico del pensiero di Battiato, e lo facciamo perché egli stesso aveva inteso esternare il proprio intimo percorso proiettandolo sulla sfera del personaggio pubblico che era stato.

Da molti anni ormai, infatti, Battiato aveva condiviso con i propri fan (detestava il vocabolo: preferiva pensarli “condivisori”) la maturata convinzione della dimensione spirituale dell’esistenza, come ad esempio lo si vide fare nel novembre 2012 alla fnac di Milano, durante la presentazione dell’album Apriti sesamo.

Presentazione di Apriti sesamo a Milano

In questi pochi minuti lo si sente anche accennare agli “universi paralleli”, un altro dei suoi pensieri ricorrenti (benché non sempre chiarissimamente definiti).

Fu però il 2014, per Battiato, uno degli anni più densi e fecondi sul piano della maturazione spirituale: alla fine di quell’anno fu presentato il libro “Attraversando il Bardo”, che aveva simultaneamente dato vita anche a un documentario (del quale il Catanese era stato regista):

Noi non siamo mai morti
e non siamo mai nati

campeggia nero su bianco in esergo.

Attraversando il Bardo (Sguardi sull’aldilà)

Proprio in questi giorni l’amica Syusy Blasi ha pubblicato su YouTube il proprio (più breve) report di viaggio – la conduttrice era stata parte della comitiva recatasi «in pellegrinaggio» in Nepal – nel quale si documenta (un po’ nello stile dei “turisti per caso”) il dietro le quinte del documentario di Battiato.

Syusy Blasi e Franco Battiato “pellegrini per caso” a Kathmandu

Mi tocca, ricordandolo, parlare del nostro ultimo viaggio in Nepal, quando andò ad intervistare vari Lama sul tema del Bardo, il momento del passaggio tra la vita e la morte. Il momento che sta “vivendo” lui così intenso e curioso, così indagatore da sempre. Forse è un traguardo al quale è arrivato, noi ci dispiacciamo di non sentirlo più cantare di non averlo più con noi, e forse ne avremmo bisogno in un momento così buio della storia umana, ma io credo che per lui questa sia una dimensione che ha cercato, meditato e voluto. Anche perché è di questo che ci ha sempre parlato nelle sue opere. Vi lascio questo filmato che ce lo racconta per come era, per come l’ho conosciuto, ammirato, amato. Per il suo senso tutto siciliano di dignità e di ironia, per la sua generosità e intelligenza… Fai un buon viaggio, Francesco!

Il “viaggio di Francesco”

Ecco, quel che ci interessa – e su cui osiamo prendere parola, come se anche noi fossimo “amici di Franco” – è il “viaggio di Francesco”: la parabola umana anzitutto, almeno nella sua parte palese, che egli stesso ha voluto vivere alla luce del sole; e poi la parte in penombra che è cominciata una settimana fa.

Che cos’è dunque “il Bardo” (non si parla di Shakespeare)? Nel suo breve video-diario di viaggio Blasi sintetizzò:

Il Bardo è lo stato della mente dopo la morte, è lo stadio intermedio, quando la coscienza viene separata dal corpo; il bardo rappresenta lo stato tra la vita passata e quella futura. Ciò che ci succederà in quel punto dipende dal karma delle vite passate e soprattutto da quello della vita precedente. 

Syusy Blasi

Secondo i Lama intervistati in quella circostanza, il momento del trapasso sarebbe

  • caratterizzato da allucinazioni; e tale da lasciare scoperto
  • lo stadio illusorio del corpo e della mente.

Parole sibilline che rimandano a un’antropologia sensibilmente differente da quella aristotelica cui in Occidente siamo un po’ tutti abituati, ma se si leggono antichi trattati occidentali come il De anima di Tertulliano si ritrova qualcosa delle domande che anche da questa parte del mondo stavano sottese alle risposte trovate in Oriente. Qualcosa di più familiare troviamo nella netta affermazione di Battiato:

Non tutte le persone hanno buoni passaggi, dipende dalla vita che hanno fatto…

Franco Battiato

Perché nell’escatologia accolta e proposta dal Siciliano c’è spazio, in qualche modo, per una retribuzione dei meriti ovvero una punizione delle colpe. Anche di questo, in mezzo a tante (troppe?) cose, si parla in una corposa intervista rilasciata il 2 giugno 2014 a don Gianni Ciro, ideatore e fondatore del Meeting del Mare.

Intervista di don Gianni Ciro a Franco Battiato (2 giugno 2014)

Alla sera Battiato si sarebbe esibito per i giovani destinatari dell’audace pastorale di don Ciro, e al mattino – complice l’attesa dell’orchestra che si era persa per le strade cilentane – i due hanno conversato davanti ai giovani e con loro.

Dal video saltano all’occhio alcune dichiarazioni “sopra le righe” – per forma e contenuto – che in questo nostro specifico contesto ci corre l’obbligo di evidenziare (altrimenti ragionarne diventa difficile):

  • Origene «credeva nella reincarnazione»;
  • Cristo «crede nella reincarnazione»;
  • «Mi spiace per Bergoglio che è molto simpatico, ma lui non ha neanche idea di che cos’è Dio… non può dire “il bambino adesso è con Dio”» 

Anche tutto il resto è degno d’interesse, e come si vede l’interesse di una ricerca personale non si misura col numero (o con la qualità) delle cantonate prese:

  • che Origene credesse “nella reincarnazione” è evidentemente falso: pur credendo egli nella preesistenza delle anime, e pur ammettendo come teoria esoterica la dottrina dell’apocatastasi degli eoni, neppure combinando insieme questi due insegnamenti (nemmeno nell’Alessandrino vanno sempre uniti) si ottiene “la reincarnazione”;
  • l’illazione per cui Cristo avrebbe insegnato la reincarnazione si basa su interpretazioni arbitrarie di singoli versetti scollegate dalla tradizione costante della Chiesa;
  • chiaramente il Santo Padre ha chiara la dimensione apofatica di ogni buona teologia (cioè il fatto che non si possa dire a fondo l’infinito Mistero di Dio), ma se non accettassimo una necessaria dimensione catafatica (cioè il fatto che alla fine dobbiamo arrenderci all’uso di categorie e parole umane per sfiorare l’ineffabile) non potremmo neanche pronunciare una sensata e giusta critica teologica.

Queste cose le scriviamo oggi, ragionando con Franco Battiato ma più a nostro che a suo vantaggio: lì dove egli è adesso di certo non gli abbisogna la soffiata dei secchioncelli dai primi banchi, mentre invece molto gli gioverà – al netto di qualche sbandata – l’aver molto cercato e molto amato.

Le dogane dell’Aldilà

Tra i numerosi e importanti studî di Lanfranco Rossi ce n’è uno della cui lettura tutti ci gioveremmo: è dedicato ai “primi quaranta giorni dopo la morte”. «Perché – ci si può chiedere – che succede nei primi quaranta giorni? La faccenda non si risolve tutta quanta all’istante del trapasso?». In un certo senso sì, naturalmente, ma potremmo facilmente chiedere: e allora perché far celebrare messe nell’ottavario dalla morte? E nel trigesimo? Da dove nascono queste usanze, che solo a prezzo di grande e presuntuosa ingenuità potremmo ritenere sprovviste di senso spirituale?

Tra le opere spurie di Macario di Alessandria – riporta Rossi – ce n’è una in cui due angeli fanno della strada con lui e rispondono alle sue domande su questa e sull’altra vita. Quando l’asceta chiese «chiarimenti sulla tradizione di fare offerte e preghiere per il morto al terzo, al nono e al quarantesimo giorno» gli angeli risposero

che al terzo giorno è per alleggerire il dolore della separazione dal corpo, e l’offerta in tale circostanza dà buona speranza all’anima. Infatti nei primi due giorni l’anima può vagare in terra ovunque vuole. Sganciata dal corpo, vaga per la casa in cui è morta, o presso la tomba in cui si trova il corpo. E così per due giorni cerca un porto a somiglianza del cadavere, come un uccello che cerca il nido. L’anima pia va nei luoghi in cui era solita operare la giustizia.

Il terzo giorno, quello della resurrezione, l’anima sale al cielo e si trova alla presenza di Dio.

Poi per sei giorni è inviata a visitare e sperimentare i luoghi dei santi, e dimentica il dolore che ha patito nel corpo. Vedendo la loro beatitudine, comincia a condannare sé stessa per avere sprecato la vita rincorrendo cose inutili e per non aver cercato Dio. Vede la stupidità di essersi affannata per cose ridicole: il vigneto e l’oliveto piantati, il campo acquistato, la corsa a guadagnare di più per possedere beni e | piaceri che sono solo ombre; tanta fatica per ritrovarsi ridotta in uno stato miserabile.

Dopo sei giorni l’anima è di nuovo condotta, dagli angeli, alla presenza di Dio. Per questo al nono giorno si celebra la liturgia e si fa l’offerta.

Dopo la seconda adorazione, l’anima passa a visitare i luoghi in cui si scontano gli errori fatti; per trenta giorni, tremando, passa in rassegna i posti in cui, forse, lei stessa dovrà purificarsi. Il quarantesimo giorno è di nuovo inviata ad adorare Dio, e ottiene la sua degnazione, secondo le sue opere. A ragione dunque, dopo quaranta giorni, si celebra la memoria in chiesa.

Ma non per tutti c’è questo stesso iter. Ad esempio, chi per tutta la vita ha rifiutato la verità e ha volontariamente perseguito il male, appena liberato dal corpo, ha la visione momentanea di tutto ciò che ha perso, e poi precipita verso quel dio cui si è asservito già da vivo.

Lanfranco Rossi, I primi quaranta giorni dopo la morte, in Anna Maria Giannella (ed.), Sulle tracce del cuore, Torino 2019, 184-185

Come si vede, mai in queste elaborazioni della dottrina che nell’Occidente latino siamo soliti chiamare “del Purgatorio” si nega che l’uomo abbia facoltà di operare per il proprio bene solo fino alla morte, e non oltre; quello che però in molti cercano nella fascinosa (ma filosoficamente insostenibile) idea della reincarnazione è la possibilità di una salvezza che non cada sulla testa dell’uomo come un giudizio eteronomo, bensì che germogli dalla propria consapevolezza. E proprio questo è ciò che il cristianesimo propone agli uomini.

Qualche domanda a padre Guidalberto Bormolini

Quanti abbiano scorso i video sparsi per il testo qui sopra si saranno forse stupiti di ritrovare più volte citato da Battiato (anzi: nel documentario è inquadrato in primo piano per diverse decine di minuti) un monaco che per i nostri lettori risulterà “una vecchia conoscenza”: padre Guidalberto Bormolini è infatti non solo “il prete che ha celebrato i funerali di Battiato”, ma uno di quelli a cui il Catanese ha spesso e volentieri fatto riferimento quando, dal 2014 in qua, ha toccato temi apertamente spirituali e teologici.

Abbiamo contattato padre Guidalberto e ci siamo concessi una conversazione che speriamo possa aiutare a gettare luce non solo su Battiato e sul suo percorso di vita e di fede, bensì anche sull’urgenza di tornare tutti quanti ad esercitare – per la durata della vita terrena – l’arte di imparare a morire.

Buonasera, padre Guidalberto. Com’è andato il funerale? 

È stato molto semplice. Un rito di commiato senza la Messa perché eravamo in una casa privata. Massima semplicità come era desiderio di Franco e della famiglia: benedizione della salma, saluto, qualche preghiera e testimonianze da parte di persone a lui care. Abbiamo letto – non l’abbiamo voluta cantare – L’ombra della luce quasi fosse una preghiera in cui molti potevano identificarsi. 

Ci tengo a ringraziare il fratello Michele e tutta la famiglia per quello che hanno fatto per lui: oggi in un mondo in cui la gente “invia” appena può in istituto qualcuno che può diventare un peso, il fratello pur ottantenne è stato sempre con lui. 

Se non c’è stata la Messa, la sua non è stata propriamente una “omelia”… Può accennarci, comunque, a qualche contenuto di quel momento?

Sì, non è stata una vera e propria omelia perché non c’era stata la Messa, anche se ovviamente io poi l’ho offerta per lui lo stesso giorno… Alle volte ai giornalisti certe cose tecniche sfuggono pure…

Lì mi sono permesso di dire molto dell’intimità di Franco. So che sono state cose gradite da quelle poche decine di persone raccolte per questo saluto. 

Abbiamo letto che buona parte dei convenuti erano buddhisti. Che ruolo hanno avuto? 

Ce n’era uno solo, a quanto si poteva sapere dal di fuori: era un monaco amico di Franco, Massimo, che era andato con lui a Kathmandu. Una bella persona.

Parlando con Fabio Colagrande su Radio Vaticana lei ha ricordato il distico “Mi è ritornata voglia di pregare / seguendo la tenacia dei Padri del deserto” e ha azzardato un “la sua ricerca si era molto aperta anche al cristianesimo”. Che vuol dire? 

Il percorso di un’anima è un mistero e lo conosce solo Dio. Io ho imparato a rispettarlo, nella mia vocazione per la nuova evangelizzazione. Posso dire che era molto interessato al cristianesimo e l’ha voluto approfondire: ha voluto leggere i mistici, si è appassionato ai padri del deserto e provava un grande fascino per il cristianesimo. La canzone è abbastanza esplicita, non ci sono dubbi su cosa ha voluto esprimere. L’ho detto anche nella trasmissione di “Uomini e profeti”. 

Franco Battiato, Lo Spirito degli Abissi

Che cosa vuol dire “nel mio giardino, il cielo era più vicino”?

“Il mio giardino” mi sembra che rappresenti sia la sua vita interiore sia la sua terra, lì dove ha vissuto la sua spiritualità, la sua tradizione, dove è stato spinto a riscoprire cose antiche… 

E quando è cominciato questo cammino?

Lui ha cominciato a interrogarsi più a fondo sulla morte subito prima della lavorazione del Docufilm Attraversando il Bardo

Dunque attorno al 2014. Devo farle la domanda antipatica, la pongo a bruciapelo: ripensamenti sulla reincarnazione? 

Lui era un ricercatore. Non era dogmatico, neanche su questo. Franco voleva capire, sperimentare, vedere, ricercare. Non so se la cosa vada posta in termini di ripensamento o meno. È stato sempre aperto alla ricerca, fino all’ultimo respiro. Essendo una persona libera accettava nella sua ricerca molti stimoli che gli offrivo, e sentivo nelle sue risposte cose belle che mi hanno fatto sentire molto vicino a lui. 

Nel 2014 Battiato disse che anche lei, Bormolini, crede nella reincarnazione… 

Io? Non sapevo che avesse detto questa cosa (ridendo)… comunque no, io credo nel Purgatorio, cioè che dopo morti c’è la possibilità di purificazione e infine di salvezza.

Questa è una cosa per me molto importante: la dottrina del Purgatorio andrebbe riscoperta … la parola non è “attraente” per i contemporanei, mentre nella mistica ci sono tanti altri modi di parlare del Purgatorio. Mi viene in mente Caterina da Genova che diceva proprio “il purgatorio amoroso del divin fuoco”.

Se sapessimo riproporre la dottrina del purgatorio con linguaggi adeguati, facilmente molti vi troverebbero le risposte a ciò di cui hanno bisogno e che vanno a cercare in altre dottrine.

A proposito di elaborazioni inusuali del Purgatorio, qui sopra richiamavamo la dottrina dei Telonía: oggi è il settimo giorno dalla morte di Battiato… cosa possiamo sperare per Franco? 

Ci sono delle tappe: è indiscutibile che hanno un valore antropologico, si trovano dal Giappone all’Egitto passando per il Tibet. Ci sono giorni simbolici che attraversiamo nel post-mortem. Sono anche giorni in cui il suffragio è molto importante.

Io penso che la gente abbia bisogno di essere rassicurata perché troppi hanno un’immagine della morte e del giudizio come qualcosa di terribile ed inquietante. La gente teme l’incontro con un Dio giudice. Invece alla luce del robusto pensiero teologico di J. Ratzinger penso all’introduzione in un destino di fuoco e d’amore: «Chi di noi – dice Isaia – può abitare presso un fuoco divorante? Chi di noi può abitare tra fiamme perenni?». Sembra parli dell’inferno, ma nei versi seguenti descrive l’ospite di quel fuoco facendo il ritratto del santo! Infatti le fiamme perenni sopra descritte ai più evocano il ricordo dell’Inferno, ma sono in realtà la sede della vita beata: il Paradiso!

Il destino comune è quindi di essere immersi nel fuoco divino, che diventerà condanna o beatitudine a seconda dello stato in cui si trova chi vi entra: se si è già rivestiti di fuoco e di luce quella sarà la dimora tanto anelata. Ma se ci si è identificati con la materia grezza e combustibile allora si brucerà.

San Bruno Certosino afferma infatti che son diversi i gradi di purificazione ignea a secondo del materiale a cui si può paragonare l’ispessimento dell’anima: se è legno brucia a lungo, il fieno brucia più rapidamente, ma la paglia sfugge ancor prima alla purificazione del fuoco. Ma questo destino è risparmiato a chi si è già rivestito tutto di fuoco e di amore, allora il fuoco divino gli appare come la più desiderabile delle dimore!

La considerazione che il fuoco finale sia Cristo stesso è stata ribadita più volte anche da Joseph Ratzinger teologo, che cita in proposito il terzo capitolo della Prima lettera ai Corinzi, in cui è detto che ognuno nel corso della sua vita costruisce una casa con materiali diversi: con pietre costose, con oro e argento, o anche con fieno e paglia. «L’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno» (1Cor 3,13). Così Ratzinger interpreta questo testo: «Il Signore stesso è il fuoco giudicante, che trasforma l’uomo e lo rende “conforme” al suo corpo glorificato!». Vuol dire che saremo noi a essere – in quel fuoco divorante – bruciati, purganti o beati. Che bello se la morte fosse solo immersione nel fuoco divino! Lo auguro tanto anche a Franco.

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