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Niccolò, i suoi 16 anni e la battaglia vinta contro il sarcoma

RAGAZZO PROFILO

Di Antonio Guillem|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 20/05/21

Niccolò Palombini ha scoperto di avere un tumore osseo in piena adolescenza. Ha attraversato con la forza della sua giovinezza e quella dell'amore che lo circonda una prova durissima. E ci ha scritto un libro: non per consolare sé stesso ma per aiutare gli altri ."Io non ho più paura" il titolo della sua opera prima.

Non più

Del titolo del suo libro, scritto per raccontare, certo, ma anche per dare munizioni ad altri ancora impegnati sul fronte che lui ha da poco lasciato, mi colpisce quel piccolo avverbio tutto una sillaba: più. Perché prima Niccolò ne ha avuta di paura, e rabbia, dolore, solitudine, odio persino.

Attraversamenti

Ci è passato attraverso, occhi fissi sulla meta e mani in quelle di chi lo amava prima, durante e ora: fratelli, genitori, amici. Anche in quelle di Dio, le ha messe; le sue ridotte pelle e ossa dalla ferocia necessaria e controllata delle terapie, fatte forse un po’ tremare dall’ angoscia e la stanchezza. Ce le ha messe per sentire che intanto, in ogni momento anche il più buio, Lui c’era.

Compagnie decisive

Ché Dio è più importante che ci sia, lì con noi, e non tanto che passi senza farsi notare e ci sgomberi il corridoio degli scatoloni abbandonati dalla vita ad impedirci il passaggio.

Niccolò Palombini allora aveva solo 16 anni e tutto il resto che un ragazzo sembri poter desiderare e per cui essere grato: una famiglia che lo amava, mamma, papà e due fratelli gemelli; una ragazza, lo sport, la scuola, la bellezza e un orizzonte aperto. Sei giovane, la vita è quasi tutta davanti a te, sembrava potersi sussurrare.

La diagnosi

Invece ha avuto anche una fitta di dolore alla gamba e con quella un sospetto e da quello indagini e in esse una diagnosi: osteosarcoma. Bam, prima sberla.

 Un giorno di primavera, sul campo da calcio, la sua grande passione, Nicco sente un dolore alla gamba, insidioso: è la prima manifestazione della malattia. Seguiranno biopsie, operazioni, lunghi ricoveri, la chemioterapia e i suoi effetti collaterali. Tutto così lontano dalla vita spensierata di un ragazzo della sua età.

Avvenire

Il racconto della malattia e della guarigione

Ho incontrato questa storia sulle pagine di Avvenire che fanno un ottimo servizio raccontando di lui e di come lui stesso abbia deciso di interpretare la prova che gli è toccata.

Si dice prova ma è una malattia, solo che è proprio così, prova: torchia, spoglia, sfinisce e dimostra. Chi siamo, cosa conta, quanto è tremenda e magnifica la vita e dove essa porti.

Non avere altra scelta, che meravigliosa libertà!

Dice una cosa meravigliosa, che dovremmo imparare a memoria e che mi ricorda una frase di Don Giussani di cui ho memoria solo nella mia personale interpretazione: è bello, è liberante quando non devi decidere ma le circostanze stesse sono così chiare che devi solo starci dentro e obbedire. Nicco, invece, dice così:

«Ho giurato a me stesso che niente e nessuno mi avrebbe mai tolto la voglia di scherzare, anche nei momenti peggiori. Non era facile, ma volevo provarci. Bisognava reagire, altrimenti non si guariva. E comunque essere forti è semplice quando è l’unica scelta che hai». 

Io non ho più paura, Niccolò Palombini, Avvenire, ibidem

Il libro per aiutare i bambini di strada in Etiopia. E tutti noi

Ha scritto e pubblicato con Newton Compton un libro, diario non solo della malattia, ma della lotta, delle cure e della guarigione. Lo ha scritto e pubblicato per dare qualcosa ai bambini di strada di Etiopia, attraverso la onlus Busajo.

Sport individuale e vittoria di squadra

‘Io non ho più paura’ (Newton Compton), nasce un po’ in ospedale, durante la terapia, un po’ alla fine dell’odissea, il viaggio dentro se stesso di un ragazzo che diventa grande di colpo.

Ibidem

Niccolò gioca a tennis e a calcio e, racconta il giornalista di Avvenire, in questo match ha dovuto esprimersi in entrambe le discipline: da solo a solo come nel tennis e anche in squadra, come nel calcio: occhi alla porta in cui segnare il suo goal ma grazie ai passaggi e alla difesa di tutti.

Accanto a lui c’è sempre la sua famiglia. La sua ‘squadra’ nella partita della vita, insieme ai medici e al personale sanitario che lo ha curato. Mamma, papà, e i suoi due gemelli. Tutti per uno, uno per tutti i fratelli da sempre: insieme a scuola, con gli amici, nello sport. Con i genitori, i fratelli sono «la mia vera forza», dice.

Ibidem

L’aiuto dall’alto, ma vicino al letto

E la fede? La fede c’era già e ed è stato il luogo del dialogo più nascosto e necessario, quello col mistero che innerva tutto, di una vita, persino la malattia.

E poi la fede. «Mi ha aiutato ». Una presenza con cui interloquire. Un dialogo diretto, con la preghiera. «La malattia nella vita di un uomo, e di un ragazzo ancor di più, è uno spartiacque che scava un solco tra il prima e il dopo. Spezza una storia in due… Il dopo ha occhi quasi sempre diversi con cui vedere cose che prima erano invisibili»: anche oggi, da un anno e mezzo in follow up, ancora in riabilitazione, Niccolò le vede bene, le cose che contano. Il potere del sorriso, di un atteggiamento positivo, della resilienza.

Ibidem

Un libro per condividere e aiutare

Ecco perché ne ha voluto scrivere, non solo per consolarsi e aiutarsi a processare vicende tanto grandi ma per offrire qualcosa a qualcuno con una velocità diversa dai trending topic e dalle ondate di hashtag. La malattia e la guarigione, la formazione di un ragazzo che diventa uomo sono faccenda che ha ben altri ritmi.

Pensa a chi oggi è nel centro della battaglia, o della partita con un avversario che non si dà per vinto. Un nemico che vuole strappare la vittoria sfoderando colpi subdoli, e impari. Contropiedi fulminei. Nel suo libro-lettera Niccolò incita a non darsi mai per vinti. Non nasconde nulla di ciò che gli è capitato. Il dolore, lo sconforto, la paura, la rabbia.

Ibidem

Uscirne più vivi di prima

E queste storie, tanto simili se guardate come cartelle cliniche, sono invece tanto diverse e tutte egualmente necessarie perché ciascuno mostra che c’è un solo modo di vivere il dolore e la paura ed è il proprio, ma ci si può aiutare e fare compagnia.

Ci sono dei passaggi fulminanti, come questo per esempio:

«La chemio è una macchina della verità che mette a nudo la tua anima e che abbassa le difese non solo immunitarie, ma anche quelle che montiamo tutti i giorni per sentirci vincenti, accettati, uniformati».

Oh queste meravigliose ammissioni, che ci fanno sentire tutti più normali. E diciamo anche tra noi, persone di fede, fedeli di Cristo: è brutto soffrire, le mutilazioni tolgono, la sofferenza quasi soffoca, il dolore duole, le prove provano.

«Vorrei non essere stato senza capelli, con le stampelle e le pompe per infusione, tutto pelle e ossa. Le chemio mi distruggevano fisicamente e psicologicamente. Ognuna ti stanca peggio di cinque partite di calcio giocate di seguito, perché inizi a vomitare il cibo, poi il muco, poi la bile e quando questa è terminata vomiti liquidi di strani colori, e dentro ti senti morire».

Il dolore nudo e crudo

Ha sofferto dolore in tutte le sue odiose varianti, persino quelle che si ritorce contro noi stessi e che si traduce in disgusto per la propria immagine.

«Ho odiato quel periodo, mi odiavo, ce l’avevo col mondo intero, ero sempre arrabbiato e triste. Ho dato la colpa a me stesso per ogni singola persona che è andata via e mi creavo casini inesistenti. Mi sono ammalato, ho pianto, ho sofferto, ho sbagliato, ho capito, ho affrontato tutto, sono guarito».

Tutto è bene quel che non finisce davvero

Niccolò ha un altro merito: un’onestà che a volte nemmeno uomini che dovrebbero essersi fatti grandi già da un po’ dimostrano. Non svende consolazioni a buon mercato, non appende cappi ai colli altrui per ricattarli con vigliacchi quanto infondati “basta crederci”, “se vuoi puoi”, ” la guarigione è nelle tue mani”. Non tutte le malattie guariscono, qua. Non tutte le vite spezzate poi ripartono (in questa). Ma non è quello il punto.

«Non tutto è destinato a finire bene» ma «tutto merita un tentativo».

«Dio benedica quelle persone che quando incroci il loro sguardo per sbaglio o per scelta sorridono». Lui, ha sorriso «per legittima difesa». Si è goduto un’uscita furtiva dalla clinica per mangiare sushi con papà, si è fatto sorprendere dagli amici per una pizza e una birra sul letto d’ospedale, per guardare tutti insieme la partita della Roma: al fischio d’inizio, lui non poteva mancare.

Ibidem

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