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L’aborto “fallisce”, il bimbo nasce e vive 10 ore. I genitori lo battezzano

NEWBORN, HOSPITAL

M.Moira | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 18/05/21

Una diagnosi prenatale faceva presagire che non sarebbe sopravvissuto alla nascita, per questo i genitori avevano scelto l'aborto. E invece è sopravvissuto anche all'aborto chimico: è stato con mamma e papà per 10 ore.

Questa è un’altra storia in cui le statistiche e le previsioni sono contraddette da quella presenza eccedente che è la vita. Una donna inglese, Loran Denison, di appena 27 anni e già madre di 3 figli, ha vissuto l’esperienza angosciante di vedere nascere vivo il figlio che aveva deciso di abortire. E forse non è neppure giusto raccontarla come una storia di un aborto non riuscito: è la vita di un bambino, durata solo 10 ore.

Raccontare la verità sull’aborto

La madre in lutto afferma di non voler assolutamente condizionare nessuno nel fare la scelta giusta, ma dice che è stata una ‘tortura’ assistere per 10 ore alla morte di suo figlio.

Da Daily Mail

Siamo fin troppo abituati ai disclaimer. Siamo così preoccupati di essere politically correct da preferire i nota bene all’inizio di ogni discorso alla sincera voglia di condividere un’esperienza personale che ci ha cambiati. Sui vari tabloid inglesi che hanno riportato la notizia, la premessa sopra citata compare sempre.

Ci si sente quasi in dovere di scusarsi, se l’esperienza – appunto – contraddice i grandi assunti sul diritto all’aborto. Loran Denison ha vissuto sulla sua pelle uno dei risvolti più tremendi dell’interruzione di gravidanza, ma prima di dire quel che le è accaduto si sente in dovere di rassicurare chi volesse esercitare il suo diritto di scelta sull’aborto. Questo è lo scenario assurdo che viviamo. Non sto incolpando questa madre, sto prendendo atto di una trappola che irretisce tutti: le battaglie mediatiche sono arrivate a condizionarci al punto da dover chiedere scusa se si desidera condividere un dato di realtà sulla vita che contraddice certi castelli ideologici sul corpo della donna.

Un bambino che nasce a dispetto di una doppia sentenza di morte (una diagnosi prenatale e poi l’aborto chimico) non ha bisogno di nessun disclaimer.

Un diagnosi prenatale infausta

La famiglia di Loren Denison e Scott Watson non è certo ostile alla vita. Pur essendo giovanissimi (27 anni lei, 35 lui) hanno già 3 figli. Alla 15 settimana della quarta gravidanza un test prenatale ha evidenziato che il bambino era affetto dalla sindrome di Edwads e questo ha precipitato i genitori nell’angoscia.

Nota anche come Trisomia 18, la sindrome di Edwards è una malattia genetica rara con un tasso molto basso di sopravvivenza, derivante da anomalie cardiache, malformazioni renali e altri problemi negli organi interni. La maggior parte dei feti non arriva neppure alla nascita. Questi i freddi dati medico-statistici.

PREGNANT, ECOGRAPHY

Di fronte a questo quadro drammatico, e forse non avendo avuto un’adeguata informazione o supporto sulle cure neonatali disponibili per questi bambini dalla vita molto breve, i genitori si sono convinti che l’aborto terapeutico fosse la scelta più “pietosa” verso il figlio. Ancora una volta si evidenzia un profondo bisogno dei genitori di essere accompagnati a comprendere una situazione oltre i puri dati statistici. La tragedia di una morte precoce, di una malattia grave o malformazione, copre con la sua ombra l’evidenza che anche una vita brevissima è vita.

In questo caso, poi, si vedrà che un bambino etichettato come ‘fragilissimo’ dalla sua patologia genetica è addirittura sopravvissuto a un aborto chimico che nella gran parte dei casi uccide feti perfettamente sani. Davvero c’è bisogno di una cultura che ci liberi dalla trappola di chiudere il destino di una persona nelle statistiche e diagnosi prenatali, il cui unico effetto sicuro è quello di precipitare madri e padri in un’angoscia terrificante. La vita eccede in modo sorprendente tutti i discorsi che si fanno su di essa.

L’aborto chimico non è una passeggiata

“Pensavo di aver superato il momento più brutto quando ho preso la decisione difficile di abortire, ma poi è stato 10 volte peggio. Voglio che le altre mamme lo sappiano, nel caso capiti anche a loro. Sono rimasta a guardare il suo battito rallentare e la vita spegnersi piano in lui.”

Ibid.

Lo scorso 6 aprile Loren prende la prima pillola per indurre l’aborto e insieme alla famiglia dice addio a suo figlio. Le hanno assicurato che grazie a questa procedura il feto morirà presto e due giorni dopo lei e il suo compagno si recano in ospedale per l’ultima parte dell’aborto, l’espulsione. Con grande sconcerto dei medici, accade quello che in teoria (nel mondo delle statistiche e della propaganda sulla facilità dell’aborto chimico) non dovrebbe succedere.

“Tu vuoi solo che tuo figlio viva. E’ stata una tortura. Nessuno dei dottori pensava che sarebbe nato vivo. Quando il mio compagno l’ha preso in braccio dopo che era nato ha detto: ‘Il cuore batte’ e i dottori hanno replicato: ‘Non è possibile’.

Ibid.

Cosa esattamente non è possibile? Che la realtà contraddica la teorie? Che le presenze osino avere una propria voce diversa dalla statistiche? E’ proprio questa la più grande speranza scritta all’inizio della storia di ciascuno.

Da questo momento in poi, per quanto dolorosamente, una madre e un padre si scoprono tali e anche una trama di malattia e morte si trasforma in un racconto di 10 ore di vita.

Kyio è vissuto 10 ore ed è stato battezzato

Alle 3 e 50 del pomeriggio dello scorso 9 aprile Kyio Bleu Watson è nato, pesava appena 150 grammi (la madre era alla 18 settimana di gravidanza) ed è rimasto vivo insieme ai suoi genitori per 10 ore.

Lo hanno battezzato mentre era vivo. Anche se è stata felice di stare insieme a lui, Loran ha ammesso che è stato angosciante guardare il figlio spegnersi lentamente finché non è morto alle 2 e 30 di notte del 10 aprile.

Ibid.

In quel lasso di tempo i pensieri della madre l’hanno messa a confronto con una domanda: e se, seguendo il corso naturale della gravidanza, il figlio fosse riuscito a essere tra quei 13 su 100 che vivono un anno e anche più? Ecco che la categoria del dubbio – nella sua migliore accezione, inteso cioé come consapevolezza umana di non essere padrone della realtà – fa capolino al cospetto di un cuore che batte.

Circola una foto della minuscola manina di Kyio aggrappata a un piccolo rosario.

A cosa ci aggrappiamo Kyio e noi? All’unico che ci strappa dalla morsa delle pillole da deglutire e di verdetti troppo precocemente sanciti e firmati. Nell’imperscrutabile trama della Provvidenza verrebbe da dire che questa storia incredibile non è quella di un aborto fallito, ma dell’ennesima avventura con cui Dio riesce a portare alla luce un bambino per farlo Suo per sempre. Il piccolo Kyo sarebbe dovuto uscire dall’ospedale tra i rifiuti speciali, invece è stato portato a casa da sua madre e suo padre e lì è rimasto per una manciata di giorni, fino al suo funerale.

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