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Un innamorato che non ha conosciuto le distanze, ma le ha percorse: san Domenico di Guzman

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Padre Bruno Esposito, OP - pubblicato il 12/05/21

O lumen Ecclesiae1

Luce della Chiesa, Dottore di verità, Rosa di pazienza, Avorio di castità,
gratuitamente hai effuso l’acqua della sapienza:
predicatore della grazia, ricongiungi anche noi tra i beati del cielo.

Prega per noi, Santo padre Domenico.
E saremo degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo
Ti supplichiamo Dio onnipotente, per intercessione di San Domenico nostro Padre, di sollevarci dal peso dei nostri peccati.
Per Cristo nostro Signore.

Premessa

Come ogni santo Domenico è stato un innamorato di Cristo, conosciuto come il più bello tra i figli dell’uomo (cf Sl 44, 3), che gli ha svelato il volto di Dio Padre ed il suo amore che da sempre ci precede e ci anticipa come ci ricorda l’evangelista Giovanni: “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4, 19; 2 Cor 5, 14-21; v. santa Caterina da Siena, Dialogo: “Tu sei colei che non è …”. Il dono della vita, dell’essere prima concreta dimostrazione di questo amore e possibilità di amare a nostra volta). La presa di coscienza di questo amore (cf Gal 5, 22), ed esclusivamente questa esperienza profonda ed intima, l’ha portato non solo a percorrere le distanze geografiche (Spagna-Danimarca-Francia-Italia, desiderio di essere missionario in Ungheria tra i Cumani), ma soprattutto a superare le distanze molto più impegnative ed ardue come con chi vive nell’errore e nel degrado morale, con chi non ha la stessa formazione e proviene da una cultura diversa (v. conversione con l’oste a Tolosa e la fondazione del monastero di Prouille nel 1206 con ragazze convertite dall’eresia albigese). Il quotidiano, intimo ed appassionato rapporto di Domenico con Colui che sentiva il tutto della sua vita e per la sua vita e quella del prossimo, gli ha fatto capire, come ha ben sintetizzato affrontando il rapporto tra la verità e la carità Romano Guardini, che in ogni caso: “Non si può staccare la verità dall’amore. Dio non è solo verità, ma è anche amore. Egli abita unicamente nella verità che viene dall’amore”. In altre parole, Domenico prese coscienza, come scrisse nel 1986 l’allora card. Joseph Ratzinger a proposito del modo di annunciare il Vangelo, che: “La giusta pastorale conduce alla verità, suscita l’amore alla verità ed aiuta a portare anche il dolore della verità. Essa stessa dev’essere un modo di camminare insieme lungo la via difficile e bella verso la nuova vita, che è anche la via verso la vera e grande gioia”. Oggi il mondo ha bisogno di questa verità, di questo amore e di autorità che conoscano e si lascino possedere dalla verità, dalla giustizia, dalla riconciliazione. Perché un’autorità esercitata con un potere senza verità genera come reazione un mondo falso, ingiusto e disumano. Non potrà mai generare accoglienza e condivisione.

A tavola con san Domenico”

Tema della celebrazione giubilare è “A tavola con san Domenico”, che s’ispira ad un dipinto su tavola (a. 1234 ca.) che raffigura il Santo a refettorio con i confratelli, ritrovato nella chiesa di Santa Maria e San Domenico della Mascarella a Bologna. Verosimilmente il suo primo ritratto poco dopo la sua canonizzazione. La scelta non è casuale, in quanto si è voluto giustamente marcare la natura e la struttura fraterna e di comunione volute dal Fondatore, descritto “tenero come una madre, duro come un diamante” (P. Madonnet), per il suo Ordine religioso, con le esigenze che queste comportano, e che si dovevano liberamente accettare per arrivare a condividere la stessa mensa.

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Domenico: dall’esperienza dell’amore di Dio al servizio della Verità per le persone

Il 6 agosto 1221 Domenico di Guzman, a soli cinquantuno anni, cessava di vedere lo scenario di questo mondo ed i suoi occhi si aprivano alla visione di Colui che l’aveva afferrato e destinato per una missione che mai avrebbe immaginato. Venne canonizzato il13 luglio 1234 nella Cattedrale di Santa Maria Assunta a Rieti. Quindi tanto tempo ci separa da lui e perciò, giustamente, ci possiamo sentire distanti da lui, lontani per contesto culturale e circostanze, eppure, a ben vedere, incredibilmente prossimi per la stessa confusione, smarrimento, tensioni e soprattutto, a mio sommesso avviso, per la stessa mancanza della vera fede e quindi della speranza, proprie del suo come anche del nostro tempo. Perciò è mio intento partire proprio dalla vita di questo atleta di Dio (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso XII, 54)e tentare di far cogliere sì l’importanza di leggere i segni dei tempi, ma senza limitarsi a prendere atto dell’ineluttabile o delle mode, ma per essere segno di contraddizione per il proprio tempo (cf Lc 2, 34), come lo fu Domenico e come lo sono chiamati coloro che si dicono discepoli del Risorto.

Domenico ha dedicato tutta la sua vita ‘cercando Colui che lo cercava’, lasciandosi afferrare e condurre da questo desiderio che è arrivato a trasformarsi sempre più in un vero e proprio bisogno. Questa ricerca sincera ed onesta per Domenico si è svolta nel diuturno approfondimento della Parola di Dio, in modo particolare del vangelo di Matteo e delle Lettere di Paolo dove ha trovato il Regno dei cieli, dove ha fatto esperienza del Cristo Risorto, la sola esperienza che rende veramente liberi e privi di paure (cf Rm 8, 32-35). Quindi, un giubileo per ricordare l’esperienza di Domenico (uno di noi anche se noi non siamo come lui), con il Dio comunione, Uno e Trino. Le ultime parole di Domenico ai suoi frati furono: “Abbiate la carità, conservate l’umiltà, praticate la povertà volontaria”. Con quest’ultima scena cala il sipario sulla vita terrena di Domenico, ma si apre quello sugli effetti della sua esistenza per la Chiesa e per tanti credenti fino ad oggi. Per questo è importante e utile tentare di leggere il messaggio di vita che la Provvidenza ha inteso esprimervi, perché noi ce ne possiamo spiritualmente nutrire. Infatti, la santità non consiste in atti avventurosi di virtù, ma nell’amare insieme con Cristo. Perciò i veri santi sono uomini e donne in cui l’umano, mediante la trasformazione e purificazione pasquale, viene in luce in tutta la sua originaria bellezza. Questo vale in modo particolare per san Domenico in cui più la vita che gliscritti, lascia delle istruttive lezioni. Il segreto di Domenico che spiega tutto ciò che ha realizzato, è stata la sua costante ricerca dell’intimità con il Signore, attraverso una preghiera incessante, con il perseverante desiderio di stare con Lui,riuscendo così ad amare veramente il prossimo. Cosciente che il vero amore si realizza solo nella verità (cf Mc 3, 14-15), e richiede anche sacrificio. Infatti, quando si ama, inevitabilmente si soffre e quando non si è disposti a soffrire è perché si è rinunziato ad amare (cf H. Hesse).

Una vita vissuta con fede che richiama ognuno di noi a non sprecare il tempo

La vita di ognuno su questa terra in un determinato momento finirà e non si dà la possibilità di ‘tempi supplementari’, per questo è importante non sprecarla e l’unico modo è di viverla con fede. Questa è stata una certezza per Domenico che si manifesta in tutta la sua esistenza, in tutte le sue decisioni, in cui quello che gli è stato più a cuore è stata l’attuazione del progetto d’amore che Dio aveva su di lui. Ricordo qui solo qualcuno di questi avvenimenti.

Giovanissimo canonico nel Capitolo Cattedrale di Osma, certamente non aveva alcun progetto di lasciare la propria realtà geografica ed ecclesiale: chi accetta di diventare canonico, di solito non pensa di fare il missionario o l’itinerante. Dio, però, lo guiderà per le strade che egli non immaginava neppure. In obbedienza al suo Vescovo lo segue in Danimarca per una missione diplomatica, a Tolosa prende coscienza delle nefaste conseguenze dell’eresia Albigese e allo stesso tempo della necessità di una testimonianza di vita di fede da parte del clero e dei religiosi. Si rende conto che l’uomo non è contro Dio, ma contro un’idea falsa di Dio che ci si è fatti o che altri hanno contribuito a farsi, soprattutto con la loro contro testimonianza. Questo insegnamento vale per ognuno che è tentato di rifarsi esclusivamente ai propri calcoli e piani strategici, programmazione e piani quinquennali o progetti di resilienza, dimenticandosi che esiste lo Spirito Santo che ci guida una volta che abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare e l’abbiamo fatto con amore. Quindi, l’importanza della fede che è certa dell’intervento di Dio, come quella di Abramo: “Dio stesso provvederà …” (cf Gn 22, 8).

Un aspetto che non può essere trascurato nella vita di Domenico è quello della Madre di Dio che successivamente i suoi figli testimonieranno con la diffusione della preghiera del Rosario. Lo spirito mariano di Domenico poi si manifesta in tanti episodi della sua vita. Nei viaggi, che faceva a piedi, era solito cantare l’Ave Maris Stella e la Salve Regina. Però questa particolare presenza e stretto legame della Madre di Dio con il frate predicatore, è testimoniata soprattutto dalla scelta di Domenico di creare una nuova formula di professione religiosa, con la quale si promette espressamente obbedienza a Maria. Anche santa Caterina da Siena attribuisce a Maria un compito essenziale nella vocazione e nella missione del fondatore dei frati predicatori. Domenico – dice il Signore alla santa: “… prese l’ufficio del Verbo unigenito mio figliolo. Nel mondo pareva un apostolo, con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando le tenebre e donando la luce. Egli fu un lume, che io porsi al mondo per mezzo di Maria” (Il Dialogo; cf anche Gv 12, 46). Infine, non dimentichiamo che la decisione di Domenico d’inviare in tutto il mondo i soli quindici frati a predicare e fondare nuove comunità, si realizzò nel giorno dell’Assunta del 1217.

Domenico ha avuto un cuore vicino alle necessità del suo prossimo, non si è voltato dall’altra parte o a pensato alle conseguenze quando decide di vendere le sue pergamene per aiutare le vittime della carestia a Palencia. Però, il resto della sua vita ci dice che la forma tipica, ‘ordinaria’ della sua attenzione alle sorelle ed ai fratelli del suo tempo sarà la carità della verità. Egli era cosciente che gli uomini, anche se non sempre se ne rendono conto, hanno bisogno della verità come dell’aria e del cibo, della verità che salva, della Verità che è Cristo (cf Mt 4, 4). Perché la verità non è un lusso, non è l’hobby superfluo di gente sfaccendata, non è un ‘sopramobile’ di abbellimento, non è la mania culturale del Medio Evo, ormai fuori moda. La verità è ciò che consente all’uomo di realizzarsi come uomo, di non tradire la sua dignità e quella del prossimo, di raggiungere il proprio destino e sfuggire all’amarezza frustrante dell’insignificanza ed alla depressione della mancanza di senso. La carità della verità e la verità della carità (cf Ef 4, 15), è il messaggio di Domenico, il più alto ed il più attuale di tutti in quanto destinato a nutrire ciò che non perisce. Quelle verità e onestà che sono oggi, forse come non mai, spesso latitanti, iniziando proprio dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità religiose ed ecclesiali. La carità della verità che non risente delle paure per le novità ovvero della cultura dominante o del pensiero della maggioranza e quindi non si arrocca, non s’impone, ma si propone sempre e comunque, costi quel che costi, prima di tutto con chi ci è più prossimo (cf Mt 19, 21; At 5, 29).

Il giubileo: un’occasione da non sprecare per le figlie e i figli di san Domenico

Le figlie e i figli di san Domenico onoreranno colui grazie al quale vivono questo carisma in questo anno giubilare, nella misura con cui annunceranno in modo chiaro (quella parresia a cui spesso richiama papa Francesco!), umile, appassionato, la forza liberatrice della verità (cf Gv 8, 32), prima di tutto nella vita fraterna all’interno della propria comunità religiosa, nella propria famiglia se laici, e tutti la testimonieranno nella comunità ecclesiale in cui la Provvidenza li ha posti. Coscienti che la vera conversione (cf At 3, 19), per una vera rinascita e la salvezza, parte proprio dall’accogliere la luce (cf Gv 3, 19-21), quella della verità che è Cristo con il suo Vangelo. Questo significa per i frati essere predicatori di Gesù Cristo, non solo di nozioni o teorie, cioè di essere annunciatori integri e convincenti della verità, che s’impegnano a vivere prima di tutto nella propria comunità. Solo così potranno risvegliare la speranza nel presente di questa nostra umanità (hic et nunc), sempre di più confusa e disorientata, se non addirittura persa, in questa pandemia, attuando palliativi e rivolgendosi a surrogati che ingannano e rendono ancora di più schiavi e disperati, incerti e sospesi (di fatto paralizzati), tra i ricordi del passato che non torna e i sogni sul futuro di cui non si ha certezza.

Questo significa per le monache testimoniare di essere, sempre e comunque, davanti a Dio per il mondo (cf J.-M. R. Tillard, O. P.), nonostante la separazione fisica che non può non avere come ragione prima e ultima che la carità. In quella clausura del monastero che non è arido deserto, che non è assenza degli uomini, ma presenza di Dio (cf C. Carretto), che non è egoistica fuga dai problemi, ma intuizione di chi darà, in ogni caso, loro un senso, anche quando non si risolveranno secondo le nostre aspettative (cf Lc 10, 42). Per le suore e i laici domenicani significa essere testimoni della carità della verità nelle proprie comunità, attraverso le varie opere di apostolato soprattutto in campo educativo e verso i malati ed i poveri, nelle famiglie e nei vari luoghi di lavoro e d’incontro. Per tutti, sempre, significa di non aver paura di niente e di nessuno in quanto si ha la consapevolezza di non essere soli (cf Mt 28, 10; Rm 8, 31), dove le varie comunità, aggregazioni e relazioni diventano occasioni e luoghi del perdono e della festa (cf J. Vanier) nella misura in cui si tende a vivere nello spirito delle virtù teologali.

Infatti, dalla storia della Chiesa impariamo la lezione che sempre la paura è stata una cattiva consigliera. L’ha portata o ad arroccarsi, chiudendosi di fronte alle sfide che i nuovi tempi portavano (pensiamo, per esempio, alle scoperte scientifiche, la democrazia, alla libertà di coscienza), reagendo, quando poteva, imponendosi con la forza o ghettizzando chi non la pensava allo stesso modo; oppure la paura l’ha portata a rinunciare ad annunciare la verità liberante, anche se esigente del vangelo, dimenticando che la sua missione non è quella di proclamare ciò che il mondo vuole sentirsi dire o si aspetta sia confermato dalla Chiesa (cf Ger 29, 8-14; in particolare: Mt 5, 10-12, Lc 6, 26; 1 Cor 15, 1-11; 1 Gv 2, 15-17), ma solo di annunciare fedelmente (da amministratrice e non da padrona: cf 1 Cor 4, 1-2) la volontà di Dio, ciò che solamente rispetta la dignità della persona, delle persone e dell’intero creato. Annunziare il Vangelo a un mondo sempre più convinto che è bene ciò che piace e che quindi non digerisce la difesa della vita, che rifiuta la dignità del matrimonio fra un uomo e una donna che si donano e si accolgono nell’apertura alla vita, vero fondamento della famiglia. Ad una cultura che ridicolizza l’onestà e la giustizia nei rapporti intersoggettivi, riconoscendo nel ‘furbo’ che imbroglia e froda il modello da proporre ai giovani come colui che ha capito ‘cos’è la vita, come vanno le cose e come si sopravvive in questo mondo di lupi’. Allora, quanti condividono oggi il carisma e la missione di Domenico, sono coscienti di essere chiamati ad essere come lui semplici e gioiosi annunciatori di ciò che hanno ricevuto da Dio (cf 1 Cor 11, 23), e da fedeli amministratori (1 Cor 4, 1-2), far comprendere agli uomini di oggi che una tale proposta non condanna nessuno, ma sicuramente mette di fronte ad una scelta di pienezza di vita (cf Sl 24, 4-5), approdo che si può raggiungere solo con una sincera conversione, come ci ricorda l’episodio del cosiddetto ‘buon ladrone’: “E aggiunse: ‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno’. Gli rispose: ‘In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 42-43).

Conclusione

San Domenico ha dato vita ad una grande famiglia composta dai frati, dalle monache, dalle suore e dai laici, che come ogni famiglia ha avuto figure e momenti per cui ringraziare Dio (per es.: san Tommaso d’Aquino, santa Caterina da Siena, la scuola di Salamanca con la difesa dei diritti degli Indios, il beato Giuseppe Girotti, morto da testimone della fede a Dachau il 1°-IV-1945, Giorgio La Pira e il suo impegno per la pace e i poveri, e tanti altri che è impossibile elencare), insieme a persone e avvenimenti per cui chiedere perdono in quanto si è tradita la propria vocazione e la volontà di Dio (come per es.: l’asservimento al potere durante l’inquisizione spagnola; l’usare l’autorità religiosa per esercitare un potere arbitrario a sfregio della giustizia ovvero quando si è rinunciato ad annunciare il Vangelo per paura dell’impopolarità). La celebrazione di questo giubileo deve quindi essere un’opportunità, per ogni componente di questa grande famiglia, per fare un sincero esame di coscienza e verificare onestamente, in spirito di conversione, a che punto ci si trova (hic et nunc!), nel vivere l’eredità che abbiamo ricevuto come dono e provvista in questo nostro pellegrinaggio terreno (segno e pegno allo stesso tempo). La speranza, che deve tradursi in preghiera, è che a nessun componente di questa grande famiglia accada di ritrovarsi a far sua la triste costatazione che H. Hesse mette in bocca al monaco Narciso nel dialogo con l’amico Boccadoro: “Ho vissuto una vita monastica animata più delle volte dalla ricerca della perfezione che soddisfaceva le mie aspettative, o quelle degli altri, piuttosto che umile accoglienza della perfezione della carità che il Signore ci chiede. Quindi, inesorabilmente, ho vissuto una vita …, ma povera d’amore!”.

Allora l’augurio migliore, per ogni figlia e figlio del Santo Padre Domenicano in questo anno giubilare e non dimenticando la sua promessa “Vi sarò di aiuto più dal cielo che dalla terra” (O Spem Miram), può essere formulato nel modo più vero con le parole di coloro che lo conobbero personalmente e furono conquistati dalla sua fede e dalla sua coerenza di vita come il b. Reginaldo d’Orleans e il b. Giordano di Sassonia. Al primo, che era stato un famoso docente di diritto, un giorno venne chiesto: “Per caso non provate qualche rimpianto, Maestro, per aver preso quest’abito? E lui abbassando la testa, rispose: ‘Io credo di non essermi fatto alcun merito vivendo in quest’Ordine, perché vi ho sempre trovato troppa gioia’”. Il secondo, che fu successore di Domenico nella guida dell’Ordine, in questi termini sintetizzò il carisma domenicano: “Vivere onestamente, imparare ed insegnare”. Non penso possa esserci augurio migliore per celebrare questa felice ricorrenza per tutti, in quanto Domenico, come tutti coloro che hanno vissuto il Vangelo, è un segno della tenerezza di Dio per ogni donna e per ogni uomo. Per questo, soprattutto in questo anno, raccogliendo l’invito fatto ad ogni vivente di lodare e ringraziare Dio, contenuto nel Salmo 150, sentiamo il dovere ed allo stesso tempo la commozione di farlo per il dono di san Domenico. Un battezzato dove non c’è stato “Nessuno sfoggio di pietà bizzarra, [ma] semplice umanità” (S. Tugwell), e questo grazie ad una fede piena di speranza e traboccante di carità, sbocciata e fiorita dalla semplice presa di coscienza che Dio ci ha amati per primo e per questo è data a noi la possibilità di amare realmente nella verità: Dio, noi stessi, il nostro prossimo e rispettare tutto quanto è stato creato da Dio per amore (cf 1 Gv 4, 19).

Basilica Santuario di Santa Maria del Sasso

Bibbiena (AR), 8 maggio 2021

Memoria del Patrocinio della b. Vergine Maria

su tutto l’Ordine dei Predicatori

[Per il testo completo con le note e le indicazioni bibliografiche, si veda: “Un innamorato che non ha conosciuto le distanze, ma le ha percorse: san Domenico di Guzman”]

1 Antifona ai Vespri: anno 1236.

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