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Si può essere felici in Paradiso se una persona cara è all’Inferno?

WEB Mother and Son 004 – it

Stephanie Escobar

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 29/04/21

La "separazione" nell'aldilà rende sofferente prima di tutto Dio, ma ogni uomo è libero di agire. Il teologo risponde

Cosa accade dopo nell’aldilà quando le strade di due persone care si dividono: uno finisce in Paradiso e l’altro all’Inferno?

Un lettore ci chiede più precisamente: “Madre e figlio, due fratelli o sorelle, due amici.. insomma, un “duo” molto legato da un affetto profondo. Dopo la morte uno si salva, l’altro/a si danna. Come fa colui/lei che si salva a godere appieno del Paradiso sapendo che ha un figlio, fratello, amico, una persona cui era legatissimo e con la quale ha condiviso tanto…all’Inferno?”. 

Pantaloni e biciclette

Don Giuseppe Toffanello, docente di Teologia dogmatica della Facoltà Teologica del Triveneto, ha risposto ad Aleteia partendo da un aneddoto. 

«Cinquant’anni fa ero in seminario. Due miei compagni sono entrati in un negozio a comprare un paio di pantaloni. Il prezzo in vetrina era molto basso, solo che non si erano accorti che si trattava di una pulitura a secco, non di un negozio di abbigliamento. Questa sera ho visto una grande scritta sullo svincolo della tangenziale: “Rottamazione di biciclette: valutiamo la vostra bicicletta usata fino a trecento euro”. Questo non vale certo per la mia vecchia bicicletta che ho pagato poco più di cento euro! Anche il mondo dei soldi, per sé molto preciso, ci chiede di stare attenti al contesto, alle intenzioni, alle parolette in piccolo, ecc.».

Un mucchio enorme di riso

Un racconto cinese, prosegue il teologo, «parla dell’Inferno come di un mucchio enorme di buon riso e attorno persone con grandi bastoncini che non riescono a nutrirsi perché i bastoncini sono troppo lunghi. Anche il Paradiso sarebbe un mucchio enorme di buon riso con attorno persone con grandi bastoncini, che però si imboccano l’un l’altro. Il racconto parla davvero del destino futuro, o di come qui ora noi costruiamo il futuro?». 

L’umanità davanti al Giudice

E’ qui che don Giuseppe entra nel merito della risposta. Spiega che le immagini delle anime in attesa di finire in Paradiso o all’Inferno, a cui spesso ci capita di pensare, derivano dall’interpretazione della Bibbia.

«I Vangeli e il Nuovo Testamento sono pieni di immagini che guardano sì verso il futuro, ma in fondo sono preoccupate di come questo futuro lo stiamo costruendo ora. Molte immagini sono prese da profeti dell’Antico Testamento, o da scritti che denunciano situazioni di ingiustizia e morte particolarmente drammatiche e diffuse: gli Apocalittici. Gesù sottolinea molto di più l’azione buona e presente di Dio, ma le situazioni di oppressione non lasciano indifferente neppure Lui. E così descrive un grande scenario con un’umanità tutta raccolta davanti al giudice».

Quanti andranno all’Inferno

A don Giuseppe «è sempre venuto spontaneo« immaginare «metà umanità da una parte e metà dall’altra: ma Gesù sta davvero raccontando in anticipo quello che succederà un giorno o quello che adesso costruisce l’umanità vera? Nella parabola del banchetto di nozze in Matteo uno vien gettato fuori dalla sala perché si presenta in modo sgradevole o provocatorio, senza veste di nozze. Uno solo allora o metà umanità? Tenebre, pianto e stridore di denti? Fuoco continuo?». 

Le immagini e le intenzioni di chi le usa

La Geenna, prosegue il teologo, «era certo una vallata piena di fuochi al tempo di Gesù, un bruciare interminabile, ma non ricordava certo i roghi degli eretici o i campi di concentramento, ma piuttosto l’annientamento dei rifiuti. Quante immagini vanno ascoltate secondo le intenzioni di chi le usa! Come i pantaloni della tintoria o la rottamazione delle biciclette, o certe clausole dei contratti…».

CHILE

“Suppliche e non minacce”

Don Giuseppe fa poi un altro esempio: «Una mamma di colore in America è stata filmata mentre picchiava con molta decisione suo figlio, che se ne stava lì a ricevere le botte. Chissà se mentre picchiava il figlio la madre gli ha detto: finirai in prigione, un giorno o l’altro! Il ‘finirai in prigione’ di una madre è diverso dal ‘finirai in prigione di un giudice’! In bocca alla madre è pieno di dolore e di amore, anche se non sempre lo esprime in modo per noi accettabile». 

In bocca a Gesù le immagini degli Apocalittici (e cioè degli antichi testi di denuncia) «non dicono solo l’indignazione per le oppressioni, gli sfruttamenti, le ingiustizie, i cuori chiusi verso i poveri, ma sono un modo di chiamare ad aprirsi a Dio, ad essere come Dio, ad amare il Regno. Suppliche forse, più che minacce. Come quelle di un padre, di una madre che amano».

Il dramma di “perdersi”

Nel vocabolario infernale, sottolinea il teologo, «c’è certo la parola giudizio e condanna. Ma c’è anche la parola ‘perdersi’. Perduti! Un figlio perduto sperimenta di persona tutta la tragicità della sua lontananza dalla casa; ma il padre non soffre da meno, probabilmente. La sofferenza di una pecora perduta è difficile da calcolare; ma il pastore agli amici non dice: lei si è perduta, ma: l’ho perduta; nella faccenda è lui a rimetterci di più».

La sofferenza di Dio con i suoi figli 

Ed è qui che si pone «il dramma« di cui parla chi ha posto la domanda. «Può una mamma essere in Paradiso se il figlio è all’Inferno, o meglio, se ha perduto il figlio? Più radicalmente: si mette il cuore in pace Dio quando l’essere umano sceglie di dirgli di “no”? Il primo ad essere in Inferno, forse, è proprio Dio, se qualcuno di quelli che ha voluto ed amato si perde. E Gesù ci ha mostrato che il Padre ci ha voluto ed amato tutti». 

La libertà di agire

Eppure a Gesù, sostiene don Giuseppe, «il Tentatore del deserto ha suggerito dei metodi ‘efficaci’ per forzare la gente a credere, a seguirlo, a lasciarsi attrarre da lui, ma Gesù non ha accettato. Non si è esonerato dall’Inferno, dal subire il “no”, dall’esser rifiutato, dal veder perduta tanta gente che pure aveva cercato di convocare. Perché così è Dio. Ci vuole, ma ci vuole nella nostra libertà. E corre il rischio di stare alla porta e bussare e sentirsi dire di “no”. E di tornare a bussare. E con lui miliardi e miliardi di creature che amano si trovano nell’inferno di esser rifiutati, di dover attendere, sperare, penare, supplicare, morire». 

Anime vaganti e dannate

I due occhi che ci vengono offerti

Ragiona ancora il teologo: «Mi ha sempre colpito che per avere il senso di profondità nel camminare ci servono tutti e due gli occhi: chi ha a disposizione un solo occhio non sa quanta strada ancora gli manca, a meno che non conosca già il percorso». 

Un occhio, prosegue don Giuseppe Toffanello, vede anche qualcosa che l’altro non vede e non vede qualcosa che l’altro vede: ogni occhio vede parzialmente, ma tutti e due insieme suggeriscono tempi, distanze, cammino, ecc. Anche per la salvezza Gesù ci offre due occhi: Dio non cessa di cercarci, di volerci. Ma insieme aspetta che il nostro sì sia vero, libero, amante, fino a morirne se gli diciamo di “no” (come succede a tanti esseri umani che amano)». 

La salvezza degli altri

Non serve molto appiattire la visione «riconducendola ad un occhio solo (nel passato l’occhio della libertà umana schiacciava il Dio che ci vuole con lui; oggi ci verrebbe da fare viceversa). Ci serve molto di più forse appassionarci alla salvezza degli altri, perché essa fa parte della nostra stessa salvezza, ed appassionarci alla salvezza nostra (quella vera, dell’amore…, dello sfamare l’affamato…, del cercare il Regno di Dio…), perché la nostra salvezza appartiene agli altri».

La compassione di Dio

Perché, conclude Toffanello, «se Gesù avverte che ci si può irrigidire nel male, e che quindi il futuro potrebbe essere segnato dal dolore e dal fallimento, la sua vera preoccupazione non è il futuro ultimo, ma il presente, il Regno qui ed ora, l’amore vicendevole, il provare la pena dell’altro per non lasciarvelo solo, il provare la gioia di Dio per invitarvi il prossimo».

«Io – chiosa – spero che Dio non si rassegni ad un solo perduto. E la liturgia ci chiede di pregare per tutti, vivi e defunti. Fossero anche Hitler o Stalin, perché approdino a quel dolore, a quella compassione profonda con cui Dio ha sofferto per le vittime che essi hanno fatto».

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