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Il sosia egiziano di Lionel Messi rende felici i bambini degli orfanotrofi

MOHAMMED IBRAHIM BATTAH

INQUIRER.net | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 28/04/21

Mentre il mondo intero si accapiglia ancora sulla Superlega, nel campetto da calcio di un orfanotrofio egiziano il sosia di Leo Messi ha ricordato ai ragazzi cos'è un vero sport di squadra.

Non saremmo forse capaci di raccontare la nostra vita usando solo metafore calcistiche? Noi popolo di commissari tecnici, siamo ferratissimi su falli e fuori gioco. E allora possiamo dire che al pittore egiziano Mohammed Ibrahim Battah è capitata in sorte una grande occasione da gol: assomiglia in modo clamoroso a Lionel Messi.

Davvero? Guardare per credere.

LIONEL MESSI, MOHAMMED IBRAHIM BATTAH

Una somiglianza vincente

“Quando ho cominciato a farmi crescere la barba i miei amici mi hanno detto che assomigliavo a Messi. Quando la barba è cresciuta ancora di più, la somiglianza è diventata ancora più chiara.

da Reuters

Intervistato dall’agenzia Reuters, il 33enne pittore egiziano Mohammed Battah ha raccontato la storia di questa scoperta, essere il sosia di uno dei calciatori più famosi al mondo. Nato in Argentina come Maradona, Leo Messi è oggi acclamato come uno degli attaccanti più forti della storia. In forza al Barcellona ha nel suo palmares ben 5 Palloni d’oro. E qui mi fermo, perché l’argomento è così serio per i tifosi che rischierei subito di fare autogol (tanto per rimanere in tema).

Vero è che, anche agli occhi dei profani Messi, è l’icona del mito calcistico: l’attaccante, l’uomo che deve concretizzare le occasioni da gol. Per quanto mi trovi più a mio agio nella visione della «vita da mediano» cantata da Ligabue, intuisco che forza attrattiva abbia la figura dell’uomo che sta davanti e deve centrare la porta. Gli occhi puntati addosso, il tifo e poi gli applausi del pubblico. C’è da sentirsi un dio. Perché, in fondo, il pubblico applaude alla gioia di vedere un uomo che c’entra il suo scopo, sconfiggendo gli avversarsi. E’ catartico.

Anche trovarsi l’inaspettata fortuna di essere il sosia di un campione mondiale potrebbe scatenare sogni di gloria. Ci sono carriere vere e proprie, c’è chi di mestiere fa il sosia di Michael Jackson.

Mohammed Ibrahim Battah ha pensato di far fruttare questa somiglianza non solo in modo egoistico. Di recente ha portato scompiglio e gioia in un orfanotrofio di Zagazig, una città a Nord de Il Cairo.

Una partita con Messi

Non c’è campanilismo più forte di quello che salta fuori nel calcio, ma a quanto pare la fama di Messi non ha frontiere e gli ha procurato numerosi fan anche in Egitto. E quando Battah si è presentato vestito di tutto punto con la divisa del Barcellona davanti a un folto gruppo di ragazzi e bambini dell’orfanotrofio di Zagzig è scoppiato il putiferio.

“La felicità dei bambini notando la mia somiglianza con Messi è indescrivibile. Quando fai felice qualcuno, Dio ti premia. Volevo condividere questa felicità con loro”

Ibid.
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Dopo le foto di rito, è venuto il bello: hanno giocato una vera partita. Non è dato sapere il risultato ma tutti i ragazzi hanno voluto pronunciare a voce alta la frase: “Ho giocato con Messi!“. (Chissà se tra gli oneri di un sosia c’è anche quello di allenarsi per poter esibire anche solo una lontana somiglianza con le doti atletiche dell’originale?) Caro Battah, come sei messo a contropiede? E con i calci di rigore?

Ho la vaga impressione che, da bravo sosia, non si immedesimi fino in fondo nel cinismo dell’attacante, lo vedo più propenso a fare dei passaggi che mettano in luce gli altri giocatori. Ed è stato questo il senso dell’vento nell’orfanotrofio: ricordare a chi ha subito una perdita o un abbandono che il campo della vita non ti lascia in panchina, ma ha bisogno dei piedi svelti di ciascuno (ma anche di difensori piantati come muri).

Fare squadra, BXVI docet

E’ ben raro che il calcio si guadagni la scena grazie a notizie così piccole e belle. E’ sempre in prima pagina, certo. Abbiamo ancora nelle orecchie tutto il tumulto causato dalla faccenda Superlega. Il calcio è milioni & veline nell’immaginario comune. I campioni di serie A sono trattati come déi dell’Olimpo e spesso ostentano le loro vite extralusso, mentre nei campi da gioco di periferia ci sono genitori che stringono i denti e i pugni guardando il loro piccolo talento domestico e sognando che diventi il nuovo Maradona o Ronaldo.

Questa notizia che viene dal campo da gioco di un orfanotrofio egiziano ci ricorda che il calcio può essere ancora uno sport, di squadra. La meta della vita di ciascuno è la porta dei Cieli e non ci si arriva da soli. Sarebbe bello se tra una VAR e una polemica sull’ennesimo fuorigioco non fischiato ci trovassimo il tempo di guardare una partita di calcio come Dio comanda. E cioé come? Ce lo ricordò Benedetto XVI in una sua riflessione del 1985:

[il calcio] simboleggia la vita stessa e la anticipa, per così dire, in una maniera liberamente strutturata. A me sembra che il fascino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso collega questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l’uomo a imporsi una disciplina in modo da ottenere con l’allenamento, la padronanza di sé; con la padronanza, la superiorità e con la superiorità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattutto un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra.

Benedetto XVI

PS: cari genitori, appena ricomincerete a portare i figli agli allenamenti di calcio, perché non portare questa frase negli spogliatoi e la appendete? Non sfigurerà – anzi! – accanto alle frasi sulla vita di Ibrahimović e alle battute folgoranti del Pupone-Totti.

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