Le Chiese si svuotano, l’analfabetismo religioso cresce e la domanda su Dio sembra appassionare sempre meno persone, almeno in Europa. Eppure, in qualche modo la pandemia ci ha fermati, ci ha costretti a restare soli con la nostra solitudine e, almeno fino a un certo punto, ha forse risvegliato un desiderio di interiorità e di spiritualità. Forse, questo tempo di pandemia ci chiede di interrogarci proprio su come alimentare e far rinascere la spiritualità cristiana.
Ecco allora la terza cosa da fare per ritornare a credere dopo la crisi: percorrere vie nuove per vivere in modo nuovo la spiritualità cristiana, coniugando la proposta spirituale della fede cristiana con i sentieri, spesso interrotti e travagliati, della vita quotidiana. La pandemia, con lo strascico di paure, di angosce per il futuro, di una nuova percezione del tempo e delle situazioni-limite della nostra vita come la malattia, la sofferenza e la morte, invoca un cristianesimo incarnato nella vita reale, finalmente libero dal dominio del senso del dovere e del peccato (spesso dal senso di colpa), e capace di accompagnare, benedire e promuovere la vita, La pandemia ci lascerà un mondo ferito: abbiamo bisogno del forza consolante del Vangelo e non di una religiosità esteriore, rigida e spesso noiosa.
Quali sono i tratti di una spiritualità del quotidiano. Volendone delineare in modo sintetico alcuni, potremmo dire:
Quando finisce la notte, potremmo forse respirare la bellezza e la libertà di una nuova ricerca di Dio e di una nuova spiritualità non più fissata sulle cose da fare e su discorsi “celesti, quanto piuttosto capace di benedire la vita di tutti i giorni, con le sue paure e le sue speranze.