Dieci martiri di Quiché, in Guatemala, sono stati beatificati il 23 aprile in una cerimonia presieduta dal cardinale Álvaro Leonel Ramazzini.
Uno dei martiri era un ragazzino di 12 anni. Gli altri sono tre sacerdoti e sei laici.
I tre sacerdoti dei Missionari del Sacro Cuore (della Spagna) sono José María Gran Cirera, Juan Alonso Fernández e Faustino Villanueva; i laici sono invece Rosalío Benito, Reyes Us, Domingo del Barrio, Nicolás Castro, Tomás Ramírez e Miguel Tiú.
Tutti e dieci sono stati uccisi in odio alla fede in Guatemala tra il 1980 e il 1991.
“I nostri martiri erano veri missionari itineranti”, ha commentato a Vatican News il vescovo Rosolino Bianchetti Boffelli, della diocesi di Quiché. “Andavano di casa in casa tenendo viva la fede, pregando con i loro fratelli, evangelizzando, implorando il Dio della vita. Erano uomini di grande fede, di grande fiducia in Dio, ma allo stesso tempo anche di grande dedizione per attuare un cambiamento, per un Guatemala diverso”.
Tra il 1960 e il 1996, il Guatemala ha vissuto un conflitto tra il regime militare e vari gruppi di sinistra che ha provocato più di 200.000 vittime.
Negli anni Ottanta, i membri della Chiesa hanno iniziato a subire una persecuzione sistematica per il loro ruolo in difesa della dignità e dei diritti dei poveri.
Il vescovo Bianchetti ha indicato che i dieci martiri non hanno esitato a unirsi al processo di nuova evangelizzazione che veniva proclamato dall'Azione Cattolica come “un metodo, un cammino, uno stile di vivere la fede seguendo Gesù di Nazaret”.
Nonostante le minacce, ha aggiunto, hanno abbracciato la loro croce e sono stati perseguitati e poi uccisi da chi considerava gli insegnamenti del Vangelo un pericolo per gli interessi dei potenti.
“Erano uomini di grande statura”, ha ricordato, indicando che con la Parola di Dio e il Rosario in mano giravano per le comunità assistendo i biognosi.
I sacerdoti agivano come guida per la gente, mentre i laici visitavano i malati, servivano in chiesa e, dopo aver ultimato il loro lavoro da contadini, aiutavano gli altri a recuperare le terre di cui erano stati ingiustamente privati.
Il vescovo Bianchetti ha poi sottolineato l'esempio di Juan Barrera Méndez, noto come “Juanito”, che pur avendo solo 12 anni mostrava una profonda maturità spirituale come catechista per i bambini che si preparavano a ricevere la Prima Comunione, e ricevette anche il sacramento della Confermazione.
Il presule ha riferito che in base alle testimonianze Juan era appassionato della sequela di Gesù e voleva costruire una chiesa vicino casa sua di modo che il padre, che non era un cristiano praticante, potesse partecipare alle sue attività.
Juanito, ha aggiunto, venne torturato il giorno in cui venne catturato in un raid dell'esercito nella sua comunità e gli vennero strappate le piante dei piedi, tortura simile a quella sperimentata dal giovane José Sánchez del Río in Messico.
Lo fecero camminare lungo la riva del fiume. “Lui rimase saldo, testimoniando con la sua vita, con il suo sangue. Venne appeso a un albero e gli spararono... Come 'Gesù crocifisso' su un albero. E Juanito oggi brilla. La sua testimonianza è diventata 'virale'; qui i ragazzi lo chiamano ‘il Carlo Acutis del Guatemala’”.
Il vescovo Bianchetti ha sottolineato che l'esempio dei martiri è fonte di ispirazione per le comunità del Guatemala che affrontano le sfide del nostro tempo, come povertà, disoccupazione, sfruttamento e migrazioni forzate.
“A questo punto del terzo millennio, ci sono ancora molte comunità senza elettricità, incluse alcune molto vicine a impianti idroelettrici. C'è anche la sofferenza dei nostri migranti, la maggior parte dei quali parte per gli Stati Uniti e da lì contribuisce alla costruzione di società e scuole e allo sviluppo delle comunità”.
Il vescovo ha aggiunto che la beatificazione è anche una chiamata a costruire una società guatemalteca riconciliata con lo sforzo congiunto di tutti.
“Non c'è un'unica testimonianza che dica che che ci si sia vendicati per la morte dei martiri”, ha affermato. “Nessuno si è vendicato perché hanno ucciso il proprio parente, il proprio padre o il proprio amico, o perché hanno dato fuoco alla propria casa. Nessuna testimonianza di vendetta, ma molta sofferenza e ferite aperte. È per questo che dobbiamo continuare a compiere un percorso per guarire queste ferite con gli occhi e il cuore fissi su Gesù crocifisso e risorto... È questo il nostro compito”.
Di fronte all'attuale pandemia, il vescovo Bianchetti ha sottolineato che il popolo del Guatemala lotta per sopravvivere dignitosamente nonostante le sfide, e che “la Chiesa qui a Quiché, umilmente ma con grande speranza, cammina e vuole continuare a costruire mano nella mano con i nostri martiri cieli nuovi e terre nuove, con molta fede, con molta speranza e grande passione per il Regno di Dio”.