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Far vivere la speranza

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 23/04/21

A colloquio con Antonia Testa del Movimento dei Focolari

di Adriana Masotti

A promuovere il “Villaggio della Terra” a Roma, insieme a Earth Day Italia, il Movimento dei Focolari. Presente fin dalla prima edizione, Antonia Testa, è tra i principali animatori della maratona multimediale con la quale anche quest’anno si celebra la Giornata Mondiale della Terra: 13 ore di diretta televisiva su RaiPlay, e tantissimi contributi in diretta e on demand sulla piattaforma web e social www.onepeopleoneplanet.it.

Le abbiamo chiesto di spiegarci perché il Movimento nato dal carisma di Chiara Lubich, pur non essendo un movimento propriamente ambientalista, si trova assolutamente a casa nel lavorare per l’animazione di #OnePeopleOnePlanet.

«È vero, è un’avventura nella quale il Movimento dei Focolari si sente pienamente a casa. D’altronde, un Movimento che ha per carisma l’unità che nasce dalla preghiera che Gesù ha rivolto al Padre: “Che tutti siano una cosa sola”, non può non spendersi per l’ecologia integrale, e l’ecologia integrale sappiamo che si incentra primariamente sull’ecologia umana. Quindi, vuol dire attenzione alle persone, alle culture — io direi culture sia religiose che non religiose —, impegnandosi con tutte le forze in un dialogo a 360 gradi».

Fonte di ispirazione innegabile per “One People, One Planet”, sono le parole di Papa Francesco. Il suo pensiero interpreta il grido della Terra e dell’umanità di oggi …

Sì, questa maratona è proprio su un percorso che è nato con lui che ci fece la visita a sorpresa nel 2016, al primo Villaggio della Terra a Villa Borghese. La maratona vuole essere una risposta a quel suo invito «trasformate i deserti in foresta». Il mio sogno è che questa maratona — anche se on-line — sia un’expo di speranza. Proprio qualche giorno fa ho sentito Papa Francesco che diceva: «La speranza è la più umile delle virtù, ma è quella che guida la vita», e quindi — immaginando le voci, i colori, le testimonianze di queste 13 ore di staffetta, io spero che sia proprio un segno di quella speranza, segni concreti di persone che vogliono fare il cambiamento. E, aggiungo, mi piace fermarmi un attimo e vedere questo percorso dal 2016 a oggi: è singolare. Siamo partiti da un luogo fisico, questo polmone verde della capitale che è Villa Borghese: lì le persone hanno fatto un’esperienza che non era scritta a tavolino, ma hanno sperimentato che cosa vuol dire mettere insieme sinergie le più varie, forze positive perché l’obiettivo era «mettiamo in luce il tanto bene che c’è». Ci siamo trovati tra le mani un quid che ha dato una carica notevole a tutti noi. Ecco, dobbiamo pensare che per le circostanze, anche assolutamente negative che stiamo vivendo nella pandemia, chi ha fatto quell’esperienza è uscito da quel pezzo di terra per andare a raccogliere persone, cuori, testimonianze e metterle insieme con questa cosa comune: volere essere protagonisti di cambiamento.

Tredici ore di contenuti multimediali, tantissimi i temi che vengono affrontati e, come ha detto lei, il messaggio di fondo è la speranza. Ma, in concreto, potrebbe farci un esempio di una proposta che si vuole lanciare?

Le proposte sono tantissime. Siamo partiti, nella preparazione di questa maratona, con due immagini-chiave: i giovani e i ponti, e tutto questo sotto il grande cappello del Patto Educativo Globale lanciato da Papa Francesco. Per esempio, sarà presente la bambina di Albino di Bergamo, che è stata insignita dal Presidente della Repubblica, Mattarella, perché ha aiutato i suoi compagni nel momento della pandemia; interverrà il bambino undicenne colombiano perché è un giovane attivista — il più giovane attivista, probabilmente —; saranno poi ancora altri giovani a fare una proposta che può sembrare azzardata ma che è la loro proposta, quella dello United World Project, il Progetto Mondo Unito che quest’anno si declina proprio con questa sigla: “Dare to Care”, cioè “osare prendersi cura” nei modi più disparati, dalle azioni più piccole fino agli impegni più grandi sui tavoli internazionali.

Tra i focus, uno è dedicato anche alla triste e purtroppo diffusa violenza sulle donne. Che legame c’è tra questa realtà e il tema della Terra?

Sarebbe ipocrita occuparsi del tema dell’ambiente dimenticando il cuore delle relazioni. E se ci lasciamo sopraffare da una tentazione predatoria, questo è essere contro l’ecologia, essere contro il pianeta Terra che ci ospita. Il possesso dell’altro, lo sfogo della nostra violenza che toglie la libertà, toglie la dignità, toglie il rispetto. Quindi, non si può lavorare per il pianeta Terra dimenticandosi queste relazioni che ci toccano dal vivo, perché conosciamo la nobiltà dell’essere umano, ma conosciamo anche le crude tentazioni che ci possono fare, appunto, possessori dell’altro.

Il mondo sta ancora affrontando la pandemia. In molti abbiamo pensato che questo ci avrebbe cambiati, avrebbe cambiato la politica, l’economia. Un’illusione? Oppure ci sono degli elementi che fanno sperare in questo cambiamento?

Di fronte a questa domanda, penso che il cuore di tanti di noi si senta a volte un po’ strano. Perché, da un lato è innegabile che, per chi vive nel benessere, c’è un rischio notevole di essere schiacciati dal grigio, dalla tristezza; e chi vive invece in luoghi di tragedia, ma anche della precarietà totale del lavoro che non c’è più, o ai vastissimi territori dove non c’è accesso alle cure, in quelle persone può veramente subentrare una tristezza infinita. Dall’altro lato, durante questo anno tanti di noi si sono aggrappati a quelle speranze quasi da sognatori, per dire: «Ma no, adesso cambierà tutto, adesso non saremo più gli stessi…». Io, personalmente, sento che devo avere un forte equilibrio dentro, non lasciarmi schiacciare dal negativo ma nemmeno essere superficiale e credere, così, in un sogno idilliaco. Mi rimetto ogni giorno nel cercare di essere, con altri, realista, capace di far vivere la speranza. E allora questo mi aiuta a dire ogni giorno: «Ma guardati attorno, cogli dei segni, quelli piccoli ma anche quelli grandi». È innegabile quello che può avvenire alla Cop26 a novembre, è innegabile quello che si sta facendo come solidarietà tra alcuni Stati ed è innegabile che John Kerry, inviato degli Stati Uniti per il clima, abbia incontrato la sua controparte cinese e abbia dato segni di speranza. È innegabile che tanti di noi — io in prima persona, con altri professionisti — si stia lavorando anche sul tema della internazionalizzazione dei vaccini. Sono innegabili, questi segni dei tempi, e quindi secondo me non cadiamo nelle illusioni, ma neanche ci dobbiamo lasciar schiacciare dal pessimismo: dobbiamo, appunto, far vivere la speranza.

L’originale su L’Osservatore Romano

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