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Fake News: la narrativa del complotto nell’era del 4.0

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Umberto Macchi - pubblicato il 20/04/21

Perché le bufale su internet corrono così veloci, ma soprattutto non siamo in grado di distinguerle dalla verità?

Prima di tutto le fake news sono sempre esistite, perché è nell’indole dell’uomo andare a cercare altre verità oltre quella raccontata. In merito a questo, filosofi, scienziati e neuropsicologi hanno da sempre cercato risposte alla più elementare delle domande, la quale sta alla base della diffusione (attenzione, non esistenza) delle fake news: perché non credere alla verità?

Perché crediamo ai complotti e alle fake news?

Umberto Eco chiamato ad intervenire sul tema dell’ossessione e delle ossessioni nel 2015 ci riporta una disanima filosofica molto interessante, che riassumo per comodità in questa sua breve citazione:

La psicologia del complotto (nda: e della fake) nasce dal fatto che le spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché ci fa male accettarle.

Appurato dunque la naturale propensione dell’uomo a cercare altro per essere soddisfatto della spiegazione, andiamo di rispondere ad un’altra annosa domanda: perché le fake news diventano virali?

Come nasce la viralità di una bufala?

La risposta ce la fornisce uno studio statunitense che ci proietta all’interno del mondo di Facebook: palcoscenico in cui questo spettacolo dà il meglio di sé.

Lo studio condotto dall’Università della California e la Cornell pubblicato su PNAS, ci mostra come l’emotività sui social sia contagiosa. L’esperimento, svolto nel lontano 2012, consistette nel modificare l’algoritmo di Facebook a 689mila persone ignare, le quali vennero sottoposte a due flussi di informazioni differenti: ad un gruppo notizie positive, ad un altro notizie negative. Le notizie negative furono quelle maggiormente condivise.

La reazione registrata spiega come le informazioni a forte impatto emotivo creino una reazione crescente da parte degli utenti, i quali contagiati dalle emozioni degli altri, e dalle emozioni che una notizia “pericolosa” suscita in loro, fa sì che questa informazione, abbia maggiore possibilità di diventare virale. Va da sé che le notizie negative o “alternative” abbiano una capacità maggiore di suscitare maggiori reazioni emotive.

L’esperimento oggi non sarebbe permesso, grazie alle rinnovate misure di tutela degli utenti, ma non per questo il problema delle fake news non esiste, anzi. Gli algoritmi cambiano continuamente dando nuovi ritmi ai nostri feed, e lasciando passare notizie che non dipendono da una nostra diretta ricerca, questo perché nel mondo dell’iperconnessione (nel mondo Facebook ha più di 2.4 miliardi di iscritti) siamo facili a subire condizionamenti delle proprie emozioni e del comportamento umano, con tutto quello che ne consegue. In pratica, la nostra presenza all’interno della newsfeed dipende in buona parte dall’algoritmo, e da chi “si frequenta”.

Cosa posso fare per difendermi dalle fake news?

C’è un modo per tenere sotto controllo il proprio feed? Certo: prima di tutto aggiorna il tuo modo di leggerlo, andando a cambiare il flusso di notizie tra “Home” in “recenti”, provaci ora, e rimarrai stupito del primo evidente cambiamento. Fatto questo vai nella sezione dei tuoi “Gruppi” e sincerati di essere all’interno di gruppi che realmente hai selezionato e scelto con cura. Spesso i gruppi possono cambiare direzione tematica, andando a influenzare la lettura del feed. Inoltre, tra le cose pratiche che è possibile fare per tutelarsi il più possibile da una qualsiasi invasione di notizie false, è cliccare in alto a destra nell’anteprima dei posts e selezionare “Non desidero più vedere questo contenuto”.

Etica della responsabilità

Facebook è un enorme contenitore in cui le persone hanno la libertà di esprimere sé stessi. Ogni libertà se non disciplinata dall’etica e soprattutto dall’intelligenza di ciascuno, rischia di divenire altro da sé. Questi che vi ho indicato sono solo la prima parte di una vasta gamma di azioni necessarie. Ma come sempre prima di agire è necessario conoscere perché farlo. Comunicare è bello, e non dimentichiamo mai che anche il bene è una spinta emotiva che deve avere lo spazio per divenire, finalmente, virale.

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