Bisogna guardarsi attorno, di questi tempi. La dispensa sembra vuota, mancano scorte di cibo e sovrabbonda la vertigine di essere smarriti. Quando l'incubo del nulla, la tentazione della disperazione, bussa alla porta è tempo di mettersi in viaggio (così inizia quel capolavoro che è Moby Dick). Quale viaggio però? E non ci è forse imposto un riposo forzato, inchiodati a zone rosse e arancioni?
Mi sono guardata attorno e ho scoperto la storia di Maurizio Carucci, frontman della band genovese degli Ex-Otago (ma anche scrittore e agricoltore). Proprio all'inizio di aprile si è messo in viaggio, in bicicletta: attraverserà l'Italia dal Piemonte alla Puglia. Sarà una pedalata da Nord a Sud per ricucire una ferita, quella del rapporto con suo padre. La meta è Taranto, dove il padre è cresciuto, e il tragitto è quello di un uomo che dà anche a noi una scorta di cibo buono per il presente: non siamo soli, apparteniamo a una storia. Apparteniamo a un racconto che comincia da un padre, e da un Padre. Andare a ritroso non per scappare, ma per aggrapparsi di nuovo a una origine. Riconciliarsi è forse uno dei verbi che si può guadagnare da questo tempo sospeso, ferito, cupo.
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Fermi non stiamo mai. Elon Musk si è addirittura messo in testa di conquistare il cielo. E vien la tentazione di salire a bordo di queste navicelle pronte per imprese titaniche verso un altrove, migliore, vergine, intoccato dai nostri fallimenti. Salire in alto, andare lontano.
Il viaggio di Maurizio Carucci va in tutt'altra direzione: «io mi avventuro alla scoperta di montagne 'minori', città e periferie ... Sono un esploratore del conosciuto, dell'esplorato, del noto». Lo racconterà, tappa per tappa, nella sua rubrica Acacie su Radar Magazine. E nel suo passo riconosco un percorso ancora più azzardato di chi vorrebbe toccare con un dito le galassie più lontane. Perché - diceva Chesterton - è l'io la galassia più lontana. Ci vuole un bel coraggio a esplorare il noto. A cercare il proprio padre.
Qui, tra la cucina e il bagno, c'è uno spazio per nulla vergine, logorato dai nostri tanti modi di rovinare i rapporti essenziali. Viene anche la nausea all'idea di stare nei posti conosciuti da sempre che portano ancora i segni di brutte parole e schiaffi. Non mi sono mai saputa spiegare perché, quando sto male davvero, finisco sempre per andare a trovare mio padre, che abita a 6 km da me. Ed è la persona con cui non c'è mai stato altro che un rapporto turbolento. Vado da lui, spesso per rinfocolare vecchie discussioni e finisce che ci rimpalliamo accuse reciproche e cattive. Eppure ho bisogno di fare quella strada.
Forse è per questo che mi ha colpito il viaggio di Carucci. C'è altro viaggio, dentro ogni nostro tragitto, che non sia un viaggio verso il Padre?
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I tempi li dettiamo noi, ecco un'altra trappola. Ma cosa diceva l'Ecclesiaste?
Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. (3,1)
Anche un uomo non strettamente religioso (cioé credente nel senso più comune del termine) se ne accorge: c'è un tempo che viene prima dei nostri progetti sul tempo. Mi pare bellissimo che Maurizio Carucci abbia deciso che i tempi del suo viaggio li decideva la vigna, cioé il campo di casa sua. Si parte quando la vigna è a riposo. Per essere poi a casa quando ci sarà bisogno di seguire l'impeto della maturazione.
Quante volte Gesù usa la vigna nelle parabole? Il contadino lo capisce bene, è un'immagine perfetta per dire ciò che dalla natura passa alla tavola, dal mondo all'anima. Ci nutriamo dei frutti che maturano, e anche noi siamo in cammino per maturare. C'è un tempo, ci è dato un tempo di vita che, lungo o breve che sia, è un grappolo di ipotesi, domande, desideri che matura. Fiducia e pazienza, ci sono alleate. A volte fa bene buttare l'agenda e stare al passo di chi fa fiorire ogni anni i meli, i peschi, e le margherite.
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Ma è un viaggio a norma di legge? Carucci sta infrangendo i decreti vigenti per il contenimento del Covid? Non lo so, immagino che essendo un gesto pubblico ci sia stata una seria presa di coscienza anche da questo punto di vista. E certamente il senso di queste righe non è un'indiscriminata lode a infischiarsene delle zone rosse e arancioni.
Qui il punto non è affatto una fuga, ma piuttosto una riconquista. E' un viaggio che si può fare anche facendo pochi passi fuori di casa, a guardare da fuori i luoghi più abitati di noi. L'impresa buona da fare - anche nei pochi metri quadri di un appartamento - è "andare dietro a un perché". Perché sono qui, ora?. La tentazione sarebbe opposta, quella di scappare su Marte con Elen Musk, mollare la presa sul presente.
La nostra bicicletta potrà essere reale o immaginaria, ma la sudata è vera: c'è da riconquistare pezzo per pezzo quello che si è sbriciolato in questi mesi di paura e isolamento. Questo non è il tempo per sognare mete lontane, ma per riconciliarci con i centimetri di terra attorno a noi, su cui abbiamo pianto e che non riusciamo più a vedere come un campo da coltivare.