Il 2020 si è congedato da noi come l'anno della pandemia, della crisi sanitaria, della crisi socio-economica, dei disastri naturali, ed è stato perfino l'anno di una crisi ecclesiale che ha lacerato il mondo intero.
Pur con la speranza viva e gli occhi fissi su Gesù, non sappiamo cosa ha in serbo per noi il 2021. Il fatto che l'anno sia finito non significa che la crisi sia arrivata alla fine.
Il discorso di Natale del Papa alla Curia Romana è assai pertinente, non solo per i curiali, ma per tutti noi che apparteniamo alla Chiesa, ed è da lì che trarrò le citazioni di questo articolo.
C'è qualcosa che richiama profondamente l'attenzione in questo discorso. Il Papa ci dice:
“La crisi ha smesso di essere un luogo comune dei discorsi e dell’establishment intellettuale per diventare una realtà condivisa da tutti”.
Approfondire ciò che significa la crisi è una delle cose più azzeccate e illuminanti per quest'epoca, visto che ci tira fuori dall'incertezza e dalla paura per permetterci di vedere con chiarezza e pace.
“La crisi è un fenomeno che investe tutti e tutto. È presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione. Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare. Come ricorda la radice etimologica del verbo krino: la crisi è quel setacciamento che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura”.
“Anche la Bibbia è popolata di persone che sono state 'passate al vaglio', di 'personaggi in crisi' che però proprio attraverso di essa compiono la storia della salvezza”.
Tra questi personaggi, ce ne sono due estremamente attuali: Elia e Paolo.
“Elia, il profeta tanto forte da essere paragonato al fuoco (cfr Sir 48,1), in un momento di grande crisi desiderò persino la morte, ma poi sperimentò la presenza di Dio non nel vento impetuoso, non nel terremoto, non nel fuoco, ma in un “un filo di silenzio sonoro” (cfr 1 Re 19,11-12). La voce di Dio non è mai quella rumorosa della crisi, ma è la voce silenziosa che ci parla dentro la crisi stessa (...) E infine la crisi teologica di Paolo di Tarso: scosso dal folgorante incontro con Cristo sulla via di Damasco (cfr At 9,1-19; Gal 1,15-16), viene spinto a lasciare le sue sicurezze per seguire Gesù (cfr Fil 3,4-10). San Paolo è stato davvero un uomo che si è lasciato trasformare dalla crisi, e per questo è stato artefice di quella crisi che ha spinto la Chiesa a uscire fuori dal recinto d’Israele per arrivare fino agli estremi confini della terra”.
Elia ha saputo aspettare e trovare Dio nella crisi, e Paolo si è lasciato trasformare da questa, e favorendola nella Chiesa è diventato il grande apostolo che ispira tutti noi.
La Bibbia è piena di suggerimenti per affrontare le crisi:
La crisi “ci mette in guardia dal giudicare frettolosamente la Chiesa in base alle crisi causate dagli scandali di ieri e di oggi, come fece il profeta Elia che, sfogandosi con il Signore, gli presentò una narrazione della realtà priva di speranza: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita» (1 Re 19,14). E quante volte anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza. Una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire. Dio risponde ad Elia che la realtà non è così come l’ha percepita lui: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; […] Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone, tutti i ginocchi che non si sono piegati a Baal e tutte le bocche che non l’hanno baciato» (1 Re 19,15.18). Non è vero che lui sia solo: è in crisi. Dio continua a far crescere i semi del suo Regno in mezzo a noi”. “È il Vangelo che ci mette in crisi. Ma se troviamo di nuovo il coraggio e l’umiltà di dire ad alta voce che il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, allora, anche davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento, non ci sentiremo più schiacciati, ma conserveremo costantemente un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio”.
È tuttavia di fondamentale importanza non confondere la crisi con il conflitto: “La crisi generalmente ha un esito positivo, mentre il conflitto crea sempre un contrasto, una competizione, un antagonismo apparentemente senza soluzione fra soggetti divisi in amici da amare e nemici da combattere, con la conseguente vittoria di una delle parti”.
La logica del conflitto cerca sempre colpevoli da stigmatizzare e disprezzare e giusti da giustificare, per introdurre la falsa idea che ogni fazione sia indipendente, e che quindi non appartenga a un corpo comune.
“La Chiesa, letta con le categorie di conflitto – destra e sinistra, progressisti e tradizionalisti – frammenta, polarizza, perverte, tradisce la sua vera natura: essa è un Corpo perennemente in crisi proprio perché è vivo, ma non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti. Infatti, in questo modo diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, così lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito ha donato alla sua Chiesa”.
Anche se sentirci in crisi ci fa morire un po' ogni giorno, questo atto di morire segna allo stesso tempo una fine e un inizio. Anche se vediamo qualcosa che è terminato, in quella finitezza si manifesta al contempo un nuovo inizio.
“In questo senso, tutte le resistenze che facciamo all’entrare in crisi lasciandoci condurre dallo Spirito nel tempo della prova ci condannano a rimanere soli e sterili, al massimo in conflitto. Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi (...). Tutto ciò che di male, di contraddittorio, di debole e di fragile si manifesta apertamente ci ricorda con ancora maggior forza la necessità di morire a un modo di essere, di ragionare e di agire che non rispecchia il Vangelo”.
Da ogni crisi emerge sempre una necessità di rinnovamento, ma se vogliamo un vero rinnovamento dobbiamo avere il coraggio di essere disposti a tutto.
Non si tratta di rammendare un vestito, ma di un abito nuovo, perché si manifesti che la grazia non viene da noi ma da Dio.
In primo luogo, la crisi va accettata come un tempo di grazia che ci è stato dato per scoprire la volontà di Dio per ciascuno e per la Chiesa.
“Fondamentale è non interrompere il dialogo con Dio, anche se è faticoso. Pregare non è facile. Non dobbiamo stancarci di pregare sempre (cfr Lc 21,36; 1 Ts 5,17). Non conosciamo alcun’altra soluzione ai problemi che stiamo vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto ci è possibile con più fiducia. La preghiera ci permetterà di 'sperare contro ogni speranza' (cfr Rm 4,18)”.
La crisi è movimento, è parte del cammino. Il conflitto, invece, è un cammino falso, è un vagare senza obiettivo, è rimanere nel labirinto, una perdita di energia e un'opportunità per il male.
“Ognuno di noi, qualunque posto occupi nella Chiesa, si domandi se vuole seguire Gesù con la docilità dei pastori o con l’auto-protezione di Erode, seguirlo nella crisi o difendersi da Lui nel conflitto”.