A 54 anni, in occasione di un test del DNA, Dani Shapiro – newyorkese bionda con gli occhi azzurri, nata in una famiglia ebrea proveniente dall'Europa dell'Est – scopre che il padre da lei tanto amato non è il suo padre biologico. La sua sorellastra, con cui non condivide nulla, non è sua sorella. La terra le trema sotto i piedi.
In questo racconto autobiografico l'autrice racconta il cammino che dovrà percorrere per comprendere quel che i suoi genitori – ormai defunti – le hanno sempre nascosto.
Una menzogna che – lo avrebbe scoperto – avrebbe minato la vita di coppia dei suoi genitori sviluppando la “tendenza a svalutarsi” del padre e “il disgusto” della madre.
Da parte sua, gli indizi ottenuti la conducono assai presto, passaggio dopo passaggio, all'identità del suo padre biologico. Un uomo a cui assomiglia fisicamente e la cui eredità non si limita a questioni di salute.
Quel che c'è di affascinante – cosa che del resto si ritrova in un certo numero di testimonianze – è che al di là della cultura e dell'educazione qualcosa di irriducibile si trasmette per via genetica: gusti, attitudini, modi di essere che fanno sì che un padre biologico non sia un mero donatore di sperma.
In questo senso, la sua testimonianza torna a rimettere in discussione le gender theories, secondo le quali la natura non conterebbe nulla nella costruzione della persona, la quale potrebbe “scegliersi” secondo tendenze che si farebbero nel corso dello sviluppo.
Mentre si cerca di sdoganare perfino l'utero in affitto, il libro pone questioni sulla paternità, solleva interrogativi etici e umani legati ai metodi di procreazione artificiale che lasciano il bambino e i suoi genitori davanti a delle lacune.
Dani Shapiro descrive benissimo ciò che questa scoperta – di un qualcosa che inavvertitamente ha portato tutta la vita – significa per lei:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]