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Credere dopo la crisi: le tre cose da fare

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Don Francesco Cosentino - pubblicato il 07/04/21
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Don Francesco Cosentino ci accompagna con un ciclo di riflessioni su come affrontare i momenti più duri della nostra vita, quando la fede sembra evaporare

Le crisi, nella nostra vita, semplicemente arrivano. La vita ci pone continui interrogativi e ci mette dinanzi a sfide sempre nuove, avventura da affrontare, situazione da vivere, sofferenze e traumi da elaborare e metabolizzare. Senza crisi non c’è vita ma, soprattutto, senza crisi non c’è nessuna crescita, nessuna trasformazione. Ogni crisi è una crepa che si apre dentro la nostra fragile storia, ma è anche vero che una nuova luce può entrare solo quando si apre una piccola fessura, quando il ritmo abituale e forse troppo statico della nostra vita viene in qualche modo scheggiato, provocato, spezzato o addirittura sconvolto. In quel momento abbiamo occasione di fermarci, di ripensare la nostra esistenza, di rileggere questa o quell’altra esperienza, di interpretare in modo nuovo le cose. È proprio quella l’ora della creatività, di una nuova fantasia, di ripartire in un modo nuovo. Con la crisi, la vita cambia. Quando qualcosa si è incrinato o spezzato, proprio allora può farsi spazio una nuova possibilità.

Si tratta di passaggi fisiologici della nostra crescita oppure di esperienze finite male, di progetti falliti, di speranze disattese, di illusioni troppo grandi che abbiamo alimentato in noi e poi sono franate nello scontro con la realtà. A volte si tratta anche di situazioni improvvise che ci vengono incontro: un cambiamento importante di vita o di lavoro, una malattia, la morte di una persona cara. Potremmo continuare a lungo, ma almeno una cosa dobbiamo aggiungerla: noi non viviamo soltanto delle crisi personali. Ci sono crisi che viviamo personalmente ma che in realtà sono crisi della nostra società, dei nostri sistemi, della storia in cui siamo immersi: si prenda come esempio una crisi economica di una Nazione.

In questo ultimo anno la crisi ha avuto un solo nome: pandemia da coronavirus. Nessuno di noi si aspettava di entrare nel 2020 come in un tunnel di cui ancora a fatica riusciamo a vedere l’uscita. Una crisi sanitaria, certo, ma non solo: è crisi economica, crisi psicologica, crisi di uno stile di vita e di un modello di società. Come ha affermato papa Francesco, la crisi ha smesso di essere un luogo comune dei discorsi o un discorso intellettuale, per diventare una realtà di tutti, che coinvolge tutto e tutti.

Ma, papa Francesco ha affermato, prima di Natale, un’altra cosa molto importante: “La crisi della pandemia è un’occasione propizia per una breve riflessione sul significato della crisi, che può aiutare ciascuno”.

Questo è il motivo per cui ho scritto un libro sulla crisi e su “come sta” la nostra fede davanti alle crisi della nostra vita. Perché ogni crisi ha un significato che dobbiamo scoprire. Invece che essere semplicemente una sciagura su cui versare le lacrime delle nostre lamentele e rassegnazioni, dovremmo chiederci quale opportunità e quale occasione si nascondono dietro e dentro la crisi, per la trasformazione della nostra vita.

Con il libro “Quando finisce la notte. Credere dopo la crisi”, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane di Bologna, vorrei anzitutto chiedere: Può essere la crisi un tempo provvidenziale? Possiamo trovare una “buona notizia” dentro l’esperienza traumatica della crisi? Può essere la crisi l’inizio di un cambiamento e un’opportunità di trasformazione? E quale lezione possiamo imparare perfino dalla pandemia per la nostra relazione con Dio, il nostro modo e stile di essere Chiesa, la nostra spiritualità?

Ci sono almeno queste tre cose da fare per cambiare e per lasciarsi cambiare da quanto è successo nell’ultimo anno: imparare un nuovo modo per parlare di Dio e rapportarci con Lui; imparare un altro stile di Chiesa con un’agenda pastorale diversa dall’attuale; imparare una spiritualità incarnata nella vita di tutti i giorni.

Queste “tre cose da fare” nella crisi le approfondiremo insieme in tre piccoli appuntamenti settimanali. Per permettere alla crisi di parlarci e di innescare in noi una nuova immaginazione del futuro possibile.

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