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Conservare le ceneri dei defunti in casa, ecco perché la Chiesa dice no

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Toscana Oggi - pubblicato il 05/04/21
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La legge italiana consente la conservazione in casa delle ceneri dei defunti. Cosa ne pensa la Chiesa?

Con il mio padre spirituale e amico sacerdote mi sono confrontato su una questione che ritengo sia attuale e che, in futuro, potrebbe stimolare un confronto. Premetto che il mio padre spirituale mi ha letto le istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la «conservazione delle ceneri in caso di cremazione».
Il caso è questo: una mia familiare cattolica praticante, quando era in vita ha chiesto alla figlia – dopo la celebrazione della Messa delle esequie - di essere cremata (e su questo non vi sono problemi) e, dopo, che le sue ceneri venissero conservate in casa dalla figlia (che ha accettato questa volontà). Per la Legge italiana, ciò è possibile, purchè le ceneri siano registrate e venga indicato il luogo ove vengono conservate e in caso di trasferimento, ciò deve essere comunicato all’autorità amministrativa.
La Chiesa cattolica italiana non contempla la possibilità di mantenere le ceneri del defunto nell’abitazione. Ebbene, poiché tale fatto non mi sembra sia un «dogma», ma ritengo una regola di comportamento, considerata l’evoluzione dei tempi, la Chiesa potrebbe consentire di tenere l’urna con le ceneri del defunto, ben sigillate ed evitandone la dispersione, nell’abitazione di un familiare, che così potrà onorarne anche la memoria tutti i giorni?
Possono essere previste e date disposizione per consentire di adempiere alla volontà del defunto, senza incorrere in violazioni della Dottrina della Fede?
Lettera firmata

Risponde don Gianni Cioli, docente di Teologia morale
L’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Ad resurgendum cum Christo circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione è stata probabilmente sollecitata dalla Conferenza episcopale italiana che si è trovata ad affrontare questioni inedite (per il contesto italiano) sollevate dalle nuove prassi funerarie permesse dalla legge civile che, a partire dal 2001, prevede in Italia la possibilità di conservare a casa o di disperdere nell’ambiente le ceneri dei defunti dopo cremazione.
Il documento contiene, con qualche novità, una sostanziale conferma di quanto la Chiesa ha sostenuto in proposito a partire dall’Istruzione Piam et constantem del 5 luglio 1963. La nuova Istruzione riafferma che l’inumazione, ovvero la sepoltura in terra (ma si deve intendere anche la tumulazione, ovvero la collocazione della salma in un sepolcro in muratura) è la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale. Tuttavia, «laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, […] la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi» e quindi la cremazione non è vietata, «a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana» (n. 4).

In continuità con quanto indicato da numerose Conferenze episcopali e dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, (Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, n. 254, 214-215), l’Istruzione afferma che «la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita»; si aggiunge però che «in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale, l’Ordinario, in accordo con la Conferenza episcopale o il Sinodo dei vescovi delle Chiese Orientali, può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica». Questo può risultare per certi versi una novità, ma per altri può apparire in continuità e analogia con l’usanza, peraltro rara e legata a privilegi o consuetudini, di seppellire in cappelle private collegate ad abitazioni. Le ceneri, insomma, andrebbero di norma conservate al cimitero, o comunque in un luogo sacro, salvo circostanze del tutto eccezionali e subordinatamente al discernimento e al giudizio del vescovo. In ogni caso «Le ceneri, tuttavia, non possono essere divise tra i vari nuclei familiari e vanno sempre assicurati il rispetto e le adeguate condizioni di conservazione» (n. 6).

Più assoluto, ma in continuità con le indicazioni di numerose conferenze episcopali, appare il rifiuto della prassi di disperdere le ceneri o la possibile trasformazione delle ceneri dei defunti in diamanti tramite particolari tecnologie: «Per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione» (n. 7).

Nella conclusione il documento afferma che «nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana, si devono negare le esequie, a norma del diritto (CIC, can. 1184; CCEO, can. 876, § 3)» (n. 8). In linea con le direttive del diritto canonico, s’invita quindi a discernere e a prendere atto dei casi in cui la scelta della cremazione derivi da un effettivo rifiuto della fede cristiana. L’avverbio «notoriamente», impiegato dall’Istruzione, implica che se le ragioni non sono palesi, ossia non dichiarate per iscritto o fatte presenti a qualcuno che possa riportarle con certezza, il presumere che la scelta della dispersione delle ceneri sia necessariamente contro la fede cristiana comporta il rischio evidente di operare un «processo alle intenzioni». Dunque, non in ogni caso di disposta dispersione delle ceneri si dovrà negare la sepoltura ecclesiastica, ma si dovrà invece discernere consapevoli che in dubio pro reo.

Venendo alla specifica domanda del lettore sulla conservazione delle ceneri nell’abitazione di un familiare, sulla base di quanto affermato dal documento della Congregazione, la risposta è che tale modalità può essere permessa dall’Ordinario «in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale». Tuttavia, salvo sviste (mi sono informato presso l’Ufficio competente della Cei), non mi pare che nell’ambito della Chiesa italiana siano state mai ravvisate circostanze che abbiano indotto a concedere questa modalità di conservazione delle ceneri dei congiunti.

Comprendo la difficoltà di coloro che possano sentirsi per così dire stretti fra due fuochi, ovvero fra le volontà lasciate dal loro congiunto defunto e le disposizioni proibitive della Chiesa. Ma non si può pretendere che la Chiesa conceda la propria benedizione a una prassi che giudica inopportuna e di cui, quindi, non intende avallare la diffusione, pur non prevedendo sanzioni di sorta e per quanto non si tratti evidentemente di un dogma.
Concludendo, nella sensibilità cristiana, la sepoltura tradizionale delle salme, che va estesa per analogia anche alle urne cinerarie, presso i cimiteri o nelle chiese, è stata fin dalle origini espressione del rispetto dovuto al corpo, del distacco ma anche del permanente legame fra vivi e defunti, della memoria amorevole dei morti nei vivi. Ora le nuove prassi funerarie della dispersione e della conservazione privata delle ceneri sembrano inadeguate a esprimere tutto ciò. La dispersione lascia perplessi riguardo al rispetto del corpo perché evoca l’idea del gettare via, ma anche la conservazione domestica potrebbe favorire un esito non rispettoso quando inducesse a percepire quel che resta del defunto come un oggetto collocato fra gli altri. La memoria dei morti nei vivi, che dovrebbe tradursi in preghiera e aiutare a prepararsi alla morte, può essere resa troppo labile dalla dispersione e, viceversa, troppo incombente dalla conservazione a casa. In entrambi i casi, la memoria dei defunti risulta comunque ridotta a un fatto privato, espressione di una preoccupante tendenza della nostra società a privatizzare la morte.

In particolare, la problematicità della conservazione in casa è ben sintetizzata in una riflessione di Michele Aramini in un libro sulla cremazione: «Innanzitutto il fatto di tenere le ceneri in casa potrebbe rendere più difficile l’elaborazione del lutto da parte dei parenti e in particolare del coniuge o dei figli/genitori. Tale elaborazione richiede che ci sia la coscienza di un distacco irreversibile, coscienza che potrebbe essere rallentata dal fatto di detenere le ceneri in casa. Inoltre l’idea di tenere le ceneri di un’altra persona può essere vista come un aspetto di una tendenza preoccupante che si registra nelle società avanzate. Ci riferiamo al fatto che i rapporti personali sono caratterizzati da una certa possessività. Se questa fosse la motivazione, la valuteremmo non del tutto sana. Infine, esiste il rischio che si “maltrattino” le ceneri. Esemplifichiamo con il caso di una donna che tiene in casa le ceneri del marito defunto. […] Una volta morta anche la donna che cosa accade alle ceneri del marito? I parenti magari meno affezionati saranno rispettosi di queste ceneri? Le disperderanno correttamente o le abbandoneranno malamente in qualche posto?» (M. Aramini, 1500 grammi di cenere. Cremazione e fede cristiana, Ancora, Milano 2006, pp. 128-129).

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